Qui da noi ci sono donne sirena, con petto di rosatea e fianchi accoglienti.
La più bella era bruna.
Alle nespole d’inverno aveva rubato la pelle dorata: a guardarla ne sapevi la polpa nascosta.
Non chiamava, non cantava, ma, se rideva, se guardava e rideva di gola, non c’era male, non c’era dolore che restasse identico a prima.
Un riso di latte e di miele.
Lo sentì il suo ulisse, risalito dall’altra sponda del mare, fra le nebbie del fiume, vagabondo senza mappe e senza mestiere.
Lei lo lavò, lo vestì, lo prese nel letto, nella casa del caco esploso d’arancio.
Lui dipingeva su vecchi assi d’armadio: nel noce, nei muri, nella brina sui rami vedeva marine velate, trine di schiuma e conchiglie e conchiglie.
Con questa moneta pagava. E le case fiorirono di squame azzurrate, collezioni di sabbie, zaffiri d’onde e marosi…
Se ne andò, lo straniero, senza dire dove e perché.
A noi restò il mare sui muri e una donna sirena, senza latte né miele.
Perché l’amore ha radici nell’aria.