Giorno di colori e densità diverse.

Stamattina mi sveglio col ghiaccio di certi stringimenti d’anima, che nascono da paure naviganti e spumose: quelle che durante la notte non se ne vanno, battono e ribattono.
Ti aspettano, quasi ti salutano, la mattina.
Piccoli condor da comodino.

Così, per il ghiaccio interiore, è un attimo diventare mattone: metamorfosi domestica e senza pretese.
Il mattone, opaco e corposo, sa dove andare: si colloca fra te e il mondo.

A fare il salto del mattone, pensieri e speranze si stancano subito e allora restano lì, in esilio: ciondolano.
Potendo, si prenderebbero un diversivo, invece macché.
Sul mattone c’è poca vita: stanno lì, aspettando una svolta del destino.

Il bianco grigiolino del ghiaccio interiore si sfilaccia in una tinta ibrida, screziata in tortora, che non è il colore della vita, è il colore della vivenza, quella che perde tutte le preposizioni. Modello basic.

Poi, vai.
Intanto il sole si commuove e saluta.
Vagamente cominci a pensare che è più economico lasciare da parte gli universi irritati inquinati intristiti: meglio farsi prendere dalle cose da fare.
Sposti il mattone e affronti l’arena.
Lì prevale il rosso, che accompagna equamente emozioni e ortiche trattenute, agitazioni da timidezze cementanti e sanissimi istinti di soppressione. Il rosso ha i toni aranciati del fuoco ma sa incupirsi e diventare violaceo.

Poi, torni.
E quando torni dal mondo, niente è mai come prima.
Le paure sono in pausa pranzo, i sacri furori (che convivono con gli alti doveri) escono un attimo.
Hai bisogno di trasparenze decantate e di vuoti appena velati di azzurro, come sanno essere certi vetri che conservano la memoria dell’acqua. Cerchi aquiloni di musica e di parole: ti acquieti sulle tinte della stanchezza buona, che non è spossatezza ma misura del già fatto.

È questo approdo l’indizio. Se cambiano i colori nel gioco delle biglie della giornata, nel trans-ire fra  densità e sfumature, un motivo ci sarà.

Io credo di avere capito: ci hanno inserito nel Segreto Caleidoscopio Galattico.
Siamo i vetrini colorati, i chicchi di melagrana, che ruotano sul piano opaco, a formare meravigliose figure sempre uguali, sempre diverse, combinazioni multiple e cangianti : architetture senza persistenza.
Siamo tracce di colore in movimento.
Ci muovono, ci cambiano, ci sbattono, ci spingono, ci trattengono, ci sfumano, in un vorticare senza fine, per la gioia di qualcuno. Simmetrie di specchi e di destini incrociati.

Ad ogni gentile rotazione del Caleidoscopio, noi urtiamo dolorosamente contro le pareti del mondo.
Hanno previsto ogni cosa.
“Soffre, signora? Rigidità alla spalla? … Artrosi…”