Mai pensato abbastanza all’istinto tribale dei pioppi.
I pioppi non sono alberi individui.
Sono una comunità mistica.
Un pioppo da solo, sul ciglio della strada, è un errore di natura.
Lui lo sa e patisce.
Si lascia andare, perde slancio e si smaglia in fattezze morbide.
S’inturgida.
Talvolta, per consolarsi, accetta un’edicola piccolina di madonna campagnola ( pomelli rossi e bocca di ciliegia), fa da fianco a un rosaio che rinuncia al sole o diventa rifugio notturno, per trattenere uno sfrigolio d’ali.
(Facile dirlo al femminile, allora, come un ventre che s’arrotonda)
Ma i pioppi, i pioppi in fila…
Si spartiscono l’alto, senza contenderlo, con l’abitudine lieve che li catena.
Colonne che fingono cattedrali di golena, in strette navate fra muri d’argine e fiume.
Uguali nella voce, uguali nella risposta al vento.
I pioppi in fila.
Dicono il lontano, sul bordo del canale, a inventare un orizzonte di confine
Fusi di carta sagomata, in bilico sul vuoto.
E fermi, là in fondo, nell’ora della fiacca.
I pioppi in fila.
Tribù.
Ché, a stare conficcati nella vita, ciglia di una sola palpebra, si respira la stessa musica, si danza lo stesso respiro.