• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

Archivi Mensili: agosto 2005

Bagni di nicchia

29 lunedì Ago 2005

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 95 commenti

(divagazioni epiche extra-muros)

Lo sapevo io, non poteva che finire così.
Tutta colpa della notte di venerdì. Da cime tempestose .
Un vento che faceva andata e ritorno: stando a letto, sentivi il lamento delle piante del terrazzo: “Ci potevi almeno concimare, vero? Schiattare così, stecchite e denutrite. Sciagurata, te la diamo noi la seconda fioritura…”.
Dopo uno schiocco sinistro, sbirciata ansiosa dalla finestra del bagno.
Mossa sbagliata.
I bagni non appaiono mai come dovrebbero verso le due di notte.
Il mio è un bagno di nicchia.
Nel senso che nel vano di una ex-porta è stata ricavata una nicchia a vista, coi suoi bravi oggetti di incerta utilità, tutti esposti e visibili: scatole vuote che amo teneramente, bottigliette prese unicamente per il loro colore (contenuto di qualsivoglia specie incrostato in una innaturale staticità), antichi rimasugli di creme che ti spiace buttare: cioè lo faresti anche, ma quando sei lì lì per perpetrare il fatto, senti la voce della Dina tuanonna che dice “san martino è sceso da cavallo per una briciola di pane”, allora ti si rattrappisce la mano e rimandi a un domani da definirsi.
Guardando il siero anti-age avvolto dalla polvere del tempo, è facile capire che non posso più permettermi un bagno di nicchia: devo cedere al mercato.
“Servirebbe un armadio chiuso, nella nicchia…” dico fra me e me, ma non abbastanza piano per non provocare un “Dormi. Domattina Ikea. Così impari”.
Chiamasi colpo basso.
Io ho paura dell’Ikea e la rifuggo: ti risucchia in un  vortice svedese-spendereccio. Già mi vedo sotto il peso di una gigantesca borsa gialla a tracolla (il giallo mi sta malissimo) che mi sega la giugulare, assatanata di piatti, vasi blu, contenitori zincati, e lumini. Pacco da cento. Indispensabili. Potrei illuminare da sola la processione del corpus domini.
Per questo spero che la notte porti dimenticanza.
Ma non è così.
Decisione ferrea: Ikea.
Tento la carta emotiva degli affetti. “Sto poco poco bene…Debole e antibiotica …Son anche caldina…”
“Caldina? Tutta vita…”
Iniziano i preparativi per quello che si annuncia come l’evento mondano della mia estate, mentre il compagno della mia vita misura tutto il misurabile, compresa la mia circonferenza, il perimetro, l’area e la cubatura della stanza, lo sviluppo delle pareti, l’ingombro del lavandino e della porta.
Io, intanto, ho un momento di cedimento alla vanità e, per essere all’altezza della situazione, scelgo deliberatamente certi tacchettini sottilini che slanciano verso il verticale.
Si parte. Destinazione Ikea di Bologna. C’è un cielo maldisposto e sudaticcio, si guardano le cose che si conoscono a memoria.
“Quanto misura la nicchia?”- mi viene, così, da chiedere all’improvviso.
“La nicchia?”- Una lieve, e per altro contenuta, incrinatura della voce induce a pensare che qualcosa sia sfuggito all’impeto misuratore…
Per non infierire (la mia magnanimità mi sorprende, a volte) si opta per l’eccesso: si prenderà un armadio extra-nicchia; son capaci tutti di colmare un vuoto, noi faremo meglio e di più, prenderemo un armadio come si deve e glielo appoggeremo davanti, ecco…Cosa importa se mangeremo spazio prezioso: “ordine” è la parola d’ordine. E per l’ordine ci si può anche sacrificare. Ecco.
Si arriva per un Casalecchio che scalda il cuore al pensiero di risate clandestine in un blog ispirato.
La ridente Ikea è lì, nei dintorni assolati, a bocca spalancata.
Ignari si entra.
Cioè si dovrebbe  entrare …se io non rimanessi incastrata nella griglia dell’ingresso con entrambi i tacchettini, mentre rischio di essere investita dalla porta girevole.
Con nonchalance campestre, esco dai sandali e, per evitare altri trattenimenti, entro a piedi nudi, scarpe in mano fra sguardi severi.
La mia prima volta all’Ikea a piedi nudi.
Ora il gioco si fa duro.
Dopo due ore di pellegrinaggio, in cui, nell’ordine, si è ceduto il carrello ad una anziana signora e se ne è trovato un altro solo dopo 48 minuti, non ci si è nemmeno accostati all’angolo ristoratore (gente a strati alle prese con aringhe con la mostarda), si sono annotati scrupolosamente quei simpatici nomini da attori di telefilm,….dopo due ore due si scopre che l’oggetto del desiderio è esaurito.
A data da destinarsi.
Io ormai mi trascino come un automa: penso alla casa, dove sono stata muratorata viva per due mesi, come a un’oasi di pace. Non ho un armadio, ma potrò mettere lumini ovunque, anche sotto lo scolapasta di acciaio per ottenere effetti psichedelici.
Invece no,  c’è chi non si arrende e deve vincere la sua battaglia, all’insegna della prestanza fisica. Si ricomincia  la via crucis e ci si rifugia in un surrogato. Si decide che una libreria Billy, chiusa con antine di vetro acidato, può far finta di essere un armadio da bagno e basta così.
Sorvolo sul recupero pezzi da assemblare, operazione in cui  L. scarica qualche quintalino senza parere, sorvolo il momento dell’imbarco ormai sotto un sole giaguaro, in cui graziosamente blocchiamo la circolazione. Grazie a mosse strategiche calcolatissime, sotto gli occhi impazienti di chi brama il nostro posto di parcheggio, un volume grande entra in un modesto monovolume con sudatissimi erculei sforzi, mentre io bisbiglio inascoltata “Chiamiamo aiuto, è una brutta età, … si rischia l’infarto, … non è che senti qualche dolorino?”
Evitati inopportuni gesti scaramantici solo in virtù dell’ingombro delle mani, vengo punita e retrocessa al sedile posteriore, con la scusa ufficiale di non rischiare un ghigliottinamento, in caso di frenata brusca, in realtà perché io possa rivestire il ruolo di ancella del “circa-armadio-Billy”.
Devo arginarlo con il ginocchio destro. E con quanto di morbido esiste nei suoi dintorni.
Le strade diventano improvvisamente curvilinee e Billy vive di vita propria.
Mentre ormai la periferia bolognese si ripropone in tutto il suo piattume ed anche le mie onde cerebrali si adattano, imitative, suona il cellulare.
E mi si aprono visioni liparote: spiagge selvagge e incontaminate, bianche e nere a corteggiare il mare azzurro, voci amiche e consolatorie, conosciute e nuove.
E’ bello sognare il lontano, anche con un’antina al fianco.
Sembrano più azzurre persino le spighe malconce del granturco.
Unica preoccupazione: il terrore che L., in piena effusione muscolare, si fermi a mietere qualche ettaro di frumentone. Così, en passant.

:)

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C’è che

26 venerdì Ago 2005

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 20 commenti

Tag

passaggi

C’è che in realtà la scrittura finisce con l’assecondare, talvolta, il ritmo della vita.
Il tuo passo, dentro l’esistenza.

La narrazione è nello scatto dal prima al poi (o dal poi al prima).
Gioca sul filo del tempo.
E del cambiare.
Si dà alla corsa oppure all’avanzare quieto del passeggio (che pure sa di indugio). Muove e si muove, anche nel ritorno.

Ma se resti nel fisso, nel fermo del “durante”, finisci col covar le cose: le guardi, le riguardi, le sogguardi.
I pensieri, i sensi e i sentimenti fanno germe intorno a questi grani, come radici, bianche e volanti, di un bulbo di giacinto.
Succhiano l’aria intorno.
L’aria del durante. Circolare maglia che contiene.
Captano risatine di pioppo e malinconie di ragni a penzoloni. Seconde fioriture e terre rivoltate. Temporali a lento lascito e bave di lumaca.

Al caldo delle cose stanno le vite piccole.
Questione di misura.

La descrizione s’innicchia, un po’ sonnecchia, certo borbotta, stile caffettiera.
Vecchia marpiona.
Prepara lo slancio.
Il movimento incuba.

Antidoto

22 lunedì Ago 2005

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 38 commenti

(sperimentato sabato pomeriggio)

Pomeriggi lenti, ma così lenti che fa malinconia persino la zolletta che cala nel caffè.
Ci sentiremo fra un attimo,  ma non ci vedremo più.
Con la zolletta.
Il danzatore di Rilke è qui, inquilino della stanza accanto: movimenti tronchi, spazio stretto leccato addosso e slanci implosi sulle nocche delle dita.

Saranno tante le linee della vita (o della mano) ancora non vissute?

Intanto piove grosso, mentre il cielo si porta avanti col lavoro: corre a destra con nuvole e garze grigiolilla.
Ha fatto tanta strada, sbandando pesante. Si butta di qua e di là: vacillamenti al centro con “stracci di nubi chiare”.
Non resta che seguirlo.
Uscire in coda al temporale, non appena lo strascico si fa di pioggia fine .
Gira in tondo.
Noi anche, sugli argini ad anello, verdi e lucidati.
L’achillea bianca e leggera, come un fiume a parte, sulla banca, delicato. Corolle sensitive in mano al vento.

E’ un vecchio gioco, quello d’inseguire il temporale, fra schizzi alti, il Po che cambia pelle e il vapore mezzano, che non è acqua e non è aria, indeciso fra scendere e salire.

La nostra vita fatta a strati.
Con l’argine a metà, non solo noi, fra altezze senza diritture e curve sciolte.

Si ride col tirotto preso al forno ( due gocce di pioggia in più che male fanno),  nell’auto che va piano e che si appanna dentro, coi respiri. Un pensiero per il pino che resiste fra salici e pioppi, un po’ sfibrato.
(Cantatina stonata in sottofondo.)
Lampi verticali e un po’ agitati: il prossimo è il mio, il secondo è tuo. Il mio è il più bello. Ma anche più nervoso.

Il temporale ora sa di zabajone.

Per dire

16 martedì Ago 2005

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 59 commenti

Per dire come sa essere la campagna, qui, occorrerebbero metri di filo steso, balle di stoffa spiegata e stirata con le mani, senza l’aria a fare gioco.
Bisognerebbe pensare in orizzontale, fermarsi allo strato più basso e scrivere scrivere scrivere su un’unica linea.
Pensare in piatto e in giallo, anche.
Perché pure il giallo è orizzontale, qui.
Si è preso la terra.
Gronda nei fossi, come certo olio denso e lento, che cede alla forma delle cose, e costeggia la ferrovia, in uno slargo laterale.
Avesse una croce da riempire, sarebbe il Cristo di Gauguin, invece scorre in basso, senza slanci. Se ne sta qui, borioso per un niente (un giallo da trombe sfiatate o cornucopie vuote): dove non ci sono i campi di granturco, restano solo, incerte e schiacciate, delle stoppie corte.
Pare essersi mangiato gli uomini, come formiche, e averli nascosti in questi rotoloni che hanno scorticato la buccia della terra per farne paglia.
Rotoloni metafisici.
Fitti, in linea d’aria con la pieve vecchia, in fila indiana lungo la ferrovia, in splendido isolamento e disordine al centro della campagna grande.
Silenziosi e stupefatti, lascito o pedaggio.
Sono un nuovo paesaggio d’attesa, che disegna radure e direzioni allo sguardo.

Fosse caduto il sole, potrebbero essere le sezioni robuste dei suoi raggi da polipo.

Fossero i tronchi di antiche colonne, potrebbero essere i resti di un tempio selvatico.
Sogno di un verticale cui dare forma.

Piace pensare alle preghiere che avrebbero accolto, mentre i cuculi battono gli anni da rincorrere sulle dita, per non perdere il conto.

Temporalia

14 domenica Ago 2005

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 19 commenti

Senza preavvisi, neanche un tuono a rotolare lontano, il temporale sta scoppiando assieme alle campane: sintonia perfetta.
Orchestra di un campanile innamorato e di nuvole bianche che si aprono e si rivelano.
Chi annuncia che cosa?
Finestre pudiche che sbattono: chiedono di essere chiuse.
Nella simultaneità dell’esserci la simultaneità del dire.
Il  cielo ora ha la luce dietro, come certe lampade di opaline, e suoni gentili contro i vetri.
Acqua che sbuffa e canaletti guizzantini lungo la strada.
Argento sbiancato negli occhi.
…Poter  vivere così, all’improvviso, qualche volta, come i temporali chiari.

Pesantezze

11 giovedì Ago 2005

Posted by colfavoredellenebbie in margini, qui da noi

≈ 37 commenti

Qui da noi ci sono giorni che il cielo pare avere voglia di terra, di trovare radici o  impigliarsi in un ramo. Si appoggia, pesante.

Ti faresti bambina, con la treccia sulla spalla, solo per portarlo in giro come un palloncino: una filastrocca o una poesia per filo.
(Non deve esserci urto fra cose, solo tangenza sfioramento e rimbalzo)

Ma mentre lo guardi, così umile e grigio, senza limpori, sai che anche i pensieri, in fondo, tornano a terra.
A memoria dell’alto, la riga scomposta, il ciuffo un po’ spettinato.

Stranezze

07 domenica Ago 2005

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 44 commenti

(divagazioni anarchiche delle cose)

Si scivola sulle abitudini come su una pagina bianca. Col piacere della pigrizia e della lentezza.
Tutto uguale.
Ci si ferma solo ai bordi di un graffio, di uno sgorbio, di una piega.
Da piccoli bastava poco: a pancia in giù, a tener d’occhio il mistero di un buco di formica nella terra del cortile.
Ora, abitudini inceppate & grinze dell’orizzonte fanno strani i giorni.
Nel senso di  non addomesticati.

Assisto, con sguardo sospeso, alla ribellione delle cose: niente fa il suo lavoro come dovrebbe.

La luce va e viene: si prende pause, senza avvertire.
I due condizionatori  hanno deciso i turni: perché darsi da fare entrambi, insieme? Meglio una staffetta, che diamine.
I numeri telefonici provvisori sono in crisi mistica: rifiutano di riconvertirsi, vogliono vivere così, precari e transitori.
Un vasetto di vernice (verde) si è gettato dal balcone schizzando la parete appena ridipinta: non era stato pagato per far questo, diciamocelo francamente.
In compenso la polvere ha dichiarato che, dopo una vita nomade, praticamente ai bordi, è  per la stanzialità: sta bene qui e ha chiamato sorelle e cugine. Tanto c’è posto.

Nei lavori di casa è sparito un muretto- zoccolo- cornice.
Non è poco.
Una porta sta meglio se ha i muretti-zoccolo -cornice da entrambi i lati: si sente conclusa e in buona compagnia.
La mia adesso ne ha uno solo, a destra.
Gli interessati giurano che l’orfananza c’è sempre stata.

E il tempo…. magari credendo di fare cosa gradita, il tempo è sceso repentino di quindici gradi.
In una notte. La pioggia che mai poteva fare a questo punto? E’ arrivata, ma dopo un sole splendido che aveva circuito e convinto a lavare tutti i vetri di casa. Tutti.

Mica facile vivere coi giorni strani. Hanno un brutto carattere e non sai da che parte prenderli.
Le persone allora si adeguano: diventano uguali. :)

Restauri

05 venerdì Ago 2005

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 22 commenti

(divagazioni plateali)

È opportuno sapere che, qui, la piazza ci tiene.

Le aquile della torre aspettano all’ingresso: sono sfuggite ad un restauro in plexiglas (della serie teloprestoioquelchenoncè) e continuano a fare famiglia in terracotta.
La gente passa volentieri sotto la volta: non per la Madonna, neanche per i Caduti (con annessa lampada votiva e fiori); ci passa per via di una bava d’aria fresca fresca che solo lì, in uno sbieco, fa venire voglia di un golfino, quasi fossero le aquile a sbattere le ali.
Passa e si specchia nella vetrina del tabaccaio o nelle lenti dei suoi occhiali.

In piazza le case hanno bella cera: sono colorite (festoni di nastri e mele sotto i tetti) e nascondono brutti balconi con colate di petunie lilla.
Vivono nella speranza: i negozi riapriranno, presi da tanta bellezza nuova, quelli di fuori torneranno a fare spesa, gli uffici si faranno piccoli; i cartelli “Vendesi” saranno un brutto sogno.
(Stanno così bene le case coi negozi: una tendina spostata, d’inverno, per vedere la gente che va e che viene)

L’edicola  da tempo si è adattata per essere all’altezza degli eventi: non è più il chiosco di legno col becco dentro il forno (cosa sa fare la cipolla cuocendo nella schiacciata di pane unto, cosa sa fare…).
Ora ha fregi di ghisa e sguardo lungo: arriva all’argine, in fondo, dietro le statue del Cavalmarino (due stelle), unico ippocampo di pianura.

C’è attesa..
Fra un po’ avverrà il miracolo del porfido: pelle nuova per la piazza, rivestita e spianata, pavimento ai tavolini del bar, quelli col cerchio di bicchiere ben impresso sul compensato, a imperituro ricordo di granatine all’amarena e al tamarindo.
Ci sarà passeggio sui tasselli nuovi, nuovo risorgimento.

Intanto passerelle di legno sui buchi dell’asfalto, reticolati a suggerire transiti in percorsi.
Il gatto della Ferramenta fa prove d’equilibrio sulle assi, a coda ritta.
La Banca non dice niente.

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