(divagazioni epiche extra-muros)

Lo sapevo io, non poteva che finire così.
Tutta colpa della notte di venerdì. Da cime tempestose .
Un vento che faceva andata e ritorno: stando a letto, sentivi il lamento delle piante del terrazzo: “Ci potevi almeno concimare, vero? Schiattare così, stecchite e denutrite. Sciagurata, te la diamo noi la seconda fioritura…”.
Dopo uno schiocco sinistro, sbirciata ansiosa dalla finestra del bagno.
Mossa sbagliata.
I bagni non appaiono mai come dovrebbero verso le due di notte.
Il mio è un bagno di nicchia.
Nel senso che nel vano di una ex-porta è stata ricavata una nicchia a vista, coi suoi bravi oggetti di incerta utilità, tutti esposti e visibili: scatole vuote che amo teneramente, bottigliette prese unicamente per il loro colore (contenuto di qualsivoglia specie incrostato in una innaturale staticità), antichi rimasugli di creme che ti spiace buttare: cioè lo faresti anche, ma quando sei lì lì per perpetrare il fatto, senti la voce della Dina tuanonna che dice “san martino è sceso da cavallo per una briciola di pane”, allora ti si rattrappisce la mano e rimandi a un domani da definirsi.
Guardando il siero anti-age avvolto dalla polvere del tempo, è facile capire che non posso più permettermi un bagno di nicchia: devo cedere al mercato.
“Servirebbe un armadio chiuso, nella nicchia…” dico fra me e me, ma non abbastanza piano per non provocare un “Dormi. Domattina Ikea. Così impari”.
Chiamasi colpo basso.
Io ho paura dell’Ikea e la rifuggo: ti risucchia in un  vortice svedese-spendereccio. Già mi vedo sotto il peso di una gigantesca borsa gialla a tracolla (il giallo mi sta malissimo) che mi sega la giugulare, assatanata di piatti, vasi blu, contenitori zincati, e lumini. Pacco da cento. Indispensabili. Potrei illuminare da sola la processione del corpus domini.
Per questo spero che la notte porti dimenticanza.
Ma non è così.
Decisione ferrea: Ikea.
Tento la carta emotiva degli affetti. “Sto poco poco bene…Debole e antibiotica …Son anche caldina…”
“Caldina? Tutta vita…”
Iniziano i preparativi per quello che si annuncia come l’evento mondano della mia estate, mentre il compagno della mia vita misura tutto il misurabile, compresa la mia circonferenza, il perimetro, l’area e la cubatura della stanza, lo sviluppo delle pareti, l’ingombro del lavandino e della porta.
Io, intanto, ho un momento di cedimento alla vanità e, per essere all’altezza della situazione, scelgo deliberatamente certi tacchettini sottilini che slanciano verso il verticale.
Si parte. Destinazione Ikea di Bologna. C’è un cielo maldisposto e sudaticcio, si guardano le cose che si conoscono a memoria.
“Quanto misura la nicchia?”- mi viene, così, da chiedere all’improvviso.
“La nicchia?”- Una lieve, e per altro contenuta, incrinatura della voce induce a pensare che qualcosa sia sfuggito all’impeto misuratore…
Per non infierire (la mia magnanimità mi sorprende, a volte) si opta per l’eccesso: si prenderà un armadio extra-nicchia; son capaci tutti di colmare un vuoto, noi faremo meglio e di più, prenderemo un armadio come si deve e glielo appoggeremo davanti, ecco…Cosa importa se mangeremo spazio prezioso: “ordine” è la parola d’ordine. E per l’ordine ci si può anche sacrificare. Ecco.
Si arriva per un Casalecchio che scalda il cuore al pensiero di risate clandestine in un blog ispirato.
La ridente Ikea è lì, nei dintorni assolati, a bocca spalancata.
Ignari si entra.
Cioè si dovrebbe  entrare …se io non rimanessi incastrata nella griglia dell’ingresso con entrambi i tacchettini, mentre rischio di essere investita dalla porta girevole.
Con nonchalance campestre, esco dai sandali e, per evitare altri trattenimenti, entro a piedi nudi, scarpe in mano fra sguardi severi.
La mia prima volta all’Ikea a piedi nudi.
Ora il gioco si fa duro.
Dopo due ore di pellegrinaggio, in cui, nell’ordine, si è ceduto il carrello ad una anziana signora e se ne è trovato un altro solo dopo 48 minuti, non ci si è nemmeno accostati all’angolo ristoratore (gente a strati alle prese con aringhe con la mostarda), si sono annotati scrupolosamente quei simpatici nomini da attori di telefilm,….dopo due ore due si scopre che l’oggetto del desiderio è esaurito.
A data da destinarsi.
Io ormai mi trascino come un automa: penso alla casa, dove sono stata muratorata viva per due mesi, come a un’oasi di pace. Non ho un armadio, ma potrò mettere lumini ovunque, anche sotto lo scolapasta di acciaio per ottenere effetti psichedelici.
Invece no,  c’è chi non si arrende e deve vincere la sua battaglia, all’insegna della prestanza fisica. Si ricomincia  la via crucis e ci si rifugia in un surrogato. Si decide che una libreria Billy, chiusa con antine di vetro acidato, può far finta di essere un armadio da bagno e basta così.
Sorvolo sul recupero pezzi da assemblare, operazione in cui  L. scarica qualche quintalino senza parere, sorvolo il momento dell’imbarco ormai sotto un sole giaguaro, in cui graziosamente blocchiamo la circolazione. Grazie a mosse strategiche calcolatissime, sotto gli occhi impazienti di chi brama il nostro posto di parcheggio, un volume grande entra in un modesto monovolume con sudatissimi erculei sforzi, mentre io bisbiglio inascoltata “Chiamiamo aiuto, è una brutta età, … si rischia l’infarto, … non è che senti qualche dolorino?”
Evitati inopportuni gesti scaramantici solo in virtù dell’ingombro delle mani, vengo punita e retrocessa al sedile posteriore, con la scusa ufficiale di non rischiare un ghigliottinamento, in caso di frenata brusca, in realtà perché io possa rivestire il ruolo di ancella del “circa-armadio-Billy”.
Devo arginarlo con il ginocchio destro. E con quanto di morbido esiste nei suoi dintorni.
Le strade diventano improvvisamente curvilinee e Billy vive di vita propria.
Mentre ormai la periferia bolognese si ripropone in tutto il suo piattume ed anche le mie onde cerebrali si adattano, imitative, suona il cellulare.
E mi si aprono visioni liparote: spiagge selvagge e incontaminate, bianche e nere a corteggiare il mare azzurro, voci amiche e consolatorie, conosciute e nuove.
E’ bello sognare il lontano, anche con un’antina al fianco.
Sembrano più azzurre persino le spighe malconce del granturco.
Unica preoccupazione: il terrore che L., in piena effusione muscolare, si fermi a mietere qualche ettaro di frumentone. Così, en passant.

:)