Che poi, lì, era una faccenda d’anima.
Come avesse fatto un’anima incantata a infilarsi proprio in quel corpo senza garbo se lo chiedeva anche la Rosina. ‘Sta figlia grossa e lenta pareva lavata nello zucchero. Certi centrini di cotone bianco e spesso, induriti in un bagno di sciroppo.
Poi le guardavi gli occhi e sapevi che la grazia sceglie le sue strade. Ci trovavi  un mentre trasognato, un dentro presente e separato, la mansuetudine di certe ciambelle che ringraziano il limone, per averle profumate.
A farle male era quasi rubare in chiesa: tutto le allargava gli occhi e le restava a girare nella testa, come le giostre di latta dei bambini. “Ma pensa”, ripeteva.
Chè il mite regala lo stupore.
E lo stupore è scendere le scale, guardar la vita in basso, tra i pieni e i vuoti di un centrino, tra le zampe di una cavalletta.

Così la Rosina aveva i suoi pensieri.
Con l’Alda che viveva coi conigli e non c’era verso di portarla  in piazza, nell’osteria che aveva ereditato. C’era da prender su una pelle dura, da essere svelti anche di parola.
L’Alda no che non voleva, coi cavatori che al bel tempo facevano notte a carte e il vino e le cantate.
L’Alda voleva parlare poco, cifrare le lenzuola, diradare le barbabietole e guardare le galline.
Chè in certi giorni di caldo, con la fatica del mietere nel sole, lei sentiva il giallo dentro e stava bene.

Fortuna grande che venne nella corte un uomo.
La vide trapiantare i suoi mughetti.
I mughetti sono ingannatori. Il bulbo è vischio e ti si sfoglia in mano.
L’Alda, tutta infagottata, con le mani grosse scuoteva la terra piano e la soffiava via, dalle radici di latte, con un sorriso buono.
Le disse: “Te sei del paradiso”.

Che ci si innamori di un soffio di pazienza è cosa strana.
Ma tant’è.
L’Angilin, ricco solo di fisarmonica e di braccia, si portò in chiesa l’Alda e la sposò.

Brutto affare la fisarmonica. Qui lo si sa che chiama il vino. La musica si sganghera, sale per la manica, cerca il collo e la gola.
Suonava e poi beveva l’Angilin, di una tristezza che spaccava il petto, la testa. Scaldava le mani e le faceva pugni. Senza memoria.
L’Alda era lì.
L’Alda era sempre lì.

La mattina, davanti ai segni rossi sulla faccia, agli occhi gonfi della moglie, “cos’è?”, diceva lui.
“La porta. La porta l’è dura”, sospirava l’Alda.
E piangevano insieme, seduti sul gradino.

Son cinque sorelle
son tutte belle
la Dina l’è la più piculina
l’Alda l’è la più granda
la Nela l’è la più bela
la Zena la g’ha la stela in front,
la Noemi al valisin pront.
Son cinque sorelle
son tutte belle.