Io mi ammalo all’improvviso e nei momenti meno propizi.
Per le festività importanti, ad esempio.
Tutti a divertirsi e io in pigiama, sguardo fisso sulla tisana e intermittenti occhiate meste a chi mi vive accanto.
A cena indetta o ad appuntamento atteso e prefissato.
Telefonate vergognose per disdire, sempre in odore di scusa menzognera.

Adesso ho la bronchite. Fuori stagione. Ad organetto. Con accompagnamento musicale del raffreddore e del tamburo – testa vuota.
La tosse sale da profondità ingombre, che non riconosco: che abbiano aperto un pub fumoso nel mio bronco sinistro? La vedo già l’insegna: “Al bronco di Z.”
È un dubbio che viene, nella notte.
La voce, di suo, non collabora: si è arroccata su toni cupi e alquanto sinistri. Per illudermi, l’infama, ogni tanto parte quasi normale, poi tracolla e si affloscia: mi lascia così, senza fiato.
Mon mari mi suggerisce un interessato “Riposala, riposala… Riposati”.

Ma io…
Io ho imparato una ginnastica per alveoli.
Me l’ha insegnata un’amica, un’amica che mi cura spesso con creme al cavolo, con tè balsamici, bagnoschiuma, simili a inalazioni boschive, e caramelle buonissime.

Io mi farei sempre curare così.
Anche con le erbe magiche di un altro bon ami lontano.

Allora ho preso un bicchiere alto, molto alto e l’ho ragionevolmente riempito di acqua.
Ho immerso una cannuccia (lilla, per la precisione).
Ho cominciato a soffiare piano piano e in modo prolungato.
Non so se ho respirato meglio.
Forse sì.
Certo hanno respirato meglio i miei pensieri, ipnotizzati dalle bollicine in gorgoglìo.
Tutte diverse, tutte in corsa centrifuga.
Alcune a botte e a mongolfiera, cupole e campanili…
Certe piccoline e brulicanti in forma di mora, attorno a uno spruzzo a cattedrale, verso l’alto.
Una bolla a balena, un’altra a delfino…
E, ancora, a cloclò, come certe stoffette leggere dell’infanzia.

E io a soffiare, come una bambina.
A sorridere anche (e con fatica), perché ogni cosa insegna e dice.
Ad uno stesso stimolo risposte differenti, pari lo spazio ed il momento.
Scoperte da bicchiere.
Diamanti d’acqua e di respiro: morbidi e curvi, a prestito lento di pressione.
Stupore della varietà e della differenza.
Bollicine.
Pronte a svanire, come pesci di nebbia.
Quando tace il respiro.
E le cose tornano ad essere solo cose.