Quando voglio ricordare quanto possa/sappia essere atemporale la poesia, certa poesia, riprendo in mano Sandro Penna, perché accostarsi alla sua opera vuol dire superare la tentazione di coglierne un’evoluzione, di scandirne una cronologia di modalità espressive o di variazioni tematiche nel tempo.

Penna è tutto lì, subito, nel primo come nell’ultimo dei suoi componimenti, con un nitore che abbaglia.

Un nitore che ospita in purezza il contrappunto angelico e sensuale dei suoi amori e il gioco d’alternanza fra brevi euforie e tristezze sotterranee, fra uno stato di fanciullezza, che sollecita i sensi, e uno stato di maturità malinconica, che diventa ombra.
In compresenza.
«Bizzarra dolcezza », dice Raboni, e «infinito e squisito assaporamento di un veleno ingerito prima».

La vita stessa pare essere accolta (o captata) sulla scorta di una cheta follia e di una pigra inettitudine.
Con naturale golosità, ma mai aggredita: solo rasentata ai bordi.
Perché la vita in sé non è arginabile.
E non chiede di fare, e neppure di essere.
Chiede di  trasalire assieme al suo respiro.

Il segreto per affrontarla sta nel vario cuore che è, insieme, veicolo del sogno (lo sogno ancora un poco), e mezzo per un inabissarsi nelle cose (lenta l’anima affonda) o per liberare uno slancio vitale inaspettato.
Il vario cuore, ovvero la disponibilità al sentire, è metafora esistenziale della poesia di Penna, che trova la sua prosecuzione nel motivo della pelle, ovvero della epidermicità delle sensazioni.
Cuore e pelle imprimono alla poesia un duplice movimento: un aprirsi al mondo e alle cose, ai caldi viali, al mare tutto azzurro, tutto calmo, all’attesa (Chi ha sete nel sole / lasci la bicicletta / e aspetti la luna), e un chiudersi, morbido e protettivo in una carezza, un nascondersi fra le pieghe del mondo: Io vivere vorrei addormentato / entro il dolce rumore della vita.
In questo ambivalente bisogno di essere pelle da stendere alle sensazioni e di essere cuore dentro il cuore della vita sta la dichiarazione di una tenerissima, diretta permeabilità sentimentale: ciò che passa per gli occhi passa per l’anima.
Da questa confidenza fra esterno ed interno fiorisce il motivo dell’apparizione, involucro talvolta solare, talvolta inquietante entro il quale prendono forma  la figura gentile del fanciullo-angelo e quella ambigua del ragazzaccio-demonio.
La parola che, con grazia classica, ha raggiunto la sua trasparenza, è felice di esserne il veicolo e restituisce la sua gioia, in poesie come questa:

Notte – sogno di sparse
finestre illuminate.
Sentire la chiara voce
dal mare. Da un amato
libro veder parole
sparire… – Oh stelle in corsa
l’amore della vita!

(Sandro Penna)