Era un giovanottino magro.
Di quelli che, se li vedi, pensi alle zampe fil di ferro dei mericanin: hanno l’agitazione addosso e sono le anime inquiete del pollaio. Tutto nervo sotto le penne, carne poca e resistente.
Lo chiamavano Gi, detto due volte in fretta, per fare prima, e lui scattava per un niente, svelto di testa e di parola.
Pareva un uomo e non lo era ancora: lavorava da grande e teneva per fantasia dei castelli di conti complicati.
Correva con la bicicletta lungo le cavedagne e intanto contava i pioppi, che erano le ciglia del canale, li moltiplicava per le pedalate, da qui a là, poi divideva per i nidi della siepe. E se non bastava, calcolava l’area di un tetto, tegole base per altezza (così faceva pure la sua bella sottrazione).
Non c’era tempo per scrivere: chi portava il latte al caseificio stupiva che lui, ragazzo, i conti dei litri a settimana li mandasse a memoria senza un foglio.
Quasi i contadini erano contenti di trovarli uguali, identici giurati a quelli che con croci ed aste gessavano sul muro della stalla.
Quasi un piacere anche per loro, che pure avrebbero annacquato per allungare di un litro.
Gli dicevano bravo e va’, ché la tua strada non finisce qui.
In effetti c’era da inventar qualcosa: le spese c’erano e il padre mica a casa, per via di quella tessera schifata, in spregio al podestà.
Si poteva vendere il siero, ecco, quello scremato.
Si doveva girare in bicicletta e far finta di essere bartali, al mattino, per cercare un caseificio che potesse diventar cliente.
Si parlava tanto della corte grossa, nel paese col leone in stemma: 1000 ettari e mille campi, si diceva, con un maiale tirato su a tosello, 320 chili di gran bestia, e l’asta dei foraggi con cento e passa compratori, che al colpo con la frusta del padrone facevano silenzio e nell’aria sentivi solo i bombici gravare sulle schiene dei cavalli… Numeri grandi, grandi grandi.
Il casaro che poteva dire sì non c’era.
Bisognava aspettarlo, con quel caldo.
La figlia gli portò acqua e limone: restarono lì, a contare le formiche, vicino alla stallata dei puledri.
Sei mica di qui, gli disse la ragazza, non ti ho visto mai sul sagrato, quando c’è il Tano con la fisarmonica e si balla.
Tornare a casa col siero venduto per un anno e negli occhi il sorriso della Lina non era poca cosa. Era il caso d’andarci, a quel sagrato, perché la fisarmonica scioglie le gambe e i fianchi, e la Lina nella voce aveva pur la cantilena da santina, ma le gambe, signur, le gambe non erano secche no, e i fianchi, i fianchi, signur, s’intendevano gloriosi…
Il Tano aveva del signore, anche se suonava in una cesta grande da fornaio: un podio riservato e casereccio. La faceva ridere, la sua fisarmonica soberano, coi tasti di madreperla crème, e poi la faceva piangere. E il sagrato, in un’onda di guizzi e di sospiri, diventava romagna ed argentina.
I ragazzi erano tanti, con sguardi di cova maliziosa per le ragazze a crocchi e a filarini, nei vestiti leggeri di cotone, fresche di bluse ricamate e colletti col nodino.
La Lina era rosa e bella, con la gala di pizzo alla sottana e le ciliegie rosse ricamate sulle tasche: il tremore della risata in gola. E sorrideva, molto sorrideva, ma il Gi era solo un forestiero. Più di tanto non si poteva dire, sotto il tiro imbronciato di sguardi maschi e nostrani: ventitrè, per essere precisi.
Allora il Gi tornò col gruppo degli amici suoi, ogni settimana di quel giugno, per non essere da solo. Rilavati a sera, arrivavano con la riga dei capelli ben tirata, il pettine nascosto nel taschino, per l’ultimo tocco prima della curva e dell’arrivo potente in bicicletta. Per poi sparpagliarsi, battuta pronta e sguardo guastatore.
Il giovanottino magro subito al fianco della Lina, che, benedetta, era sempre lì a fargli una gran cera. Senza mai parlare, però: solo a canticchiargli
Babbo non vuole, mamma nemmeno,
come faremo a fare all’amor.
Babbo non vuole, mamma nemmeno,
come faremo a fare all’amor.
E lui, per non insospettire nessuno, stonava un
Bambina innamorata,
stanotte t’ho sognata
sul cuore addormentata.
e sorridevi tu.
Per sospirare, sospiravano assai.
E si guardavano negli occhi, anche quella sera, quando, al momento del saluto, le biciclette dei foresti erano già in gruppo, pronte alla partenza.
La musica del Tano stette zitta e si aprirono le acque.
Cateratte d’acqua fredda, secchiate improvvise come flagelli: cattive e giustiziere, al grido di “a ca’ a ca’, a ca’ vostra …”, un sottofondo di risate maschie e di stupore femmina. La Lina ferma come un uovo sodo.
Fu dolore, d’orgoglio e di eleganza.
Gli amici partirono in picchiata.
Il Gi, il Gi no.
Solo e bagnato, fermo nel bel mezzo del sagrato.
Con calma indolenza si pettinò il ciuffo bene all’indietro.
Poi posò una mano al petto, sotto gli occhi di tutti, esterrefatti.
Tastò, premendo appena, aprì il bottone di mezzo, ed estrasse una sigaretta asciutta, una di tre Serraglio prese a credito.
Tre, disse, salutando con le dita della mano a piccolo ventaglio, e gnanca ‘na moja. Neanche una bagnata.
L’accese, tirò una boccata come si deve e partì impettito: una scia di piccole gocce sulla strada bianca.
Per un po’, dietro la curva si sentì cantare a squarciagola
Chi va in cerca d’amore
ritrova una fata divina.
È signora del bene e del male
e si chiama Fortuna.
come sottofondo ci vorrebbe una mazurka, suonata da una fisarmonica..come si dice dalle tue parti, tzse propr brava, mo?
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Lo sai.
Se potessi i tuoi pezzi li farei leggere a mio padre e a mia madre.
Loro più di me sentirebbero l’odore.
Un bacio
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§§ Grazie Lino (sempre portato per le lingue, tu :)))…)
§§ Grazie Sgnapis, la dolce.
buona notte buona, a chi passa e non.
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Una fisarmonica, sì… con quel suo respiro-sospiro, tra abili mani.
Canta, Zena, «e sorridevi tu…»
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marooo che voglia di zavattini e di andare a cercare nei cassetti le foto in bianco e nero.
lei, gentile signora, è una lazzarona a farmi trovare certe cose di prima mattina, lo sa?
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Che tenero sollucchero di note fresche & antiche…
Un abbraccio
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c’è una spbrietà nel tuo blog davvero mirabile. qualcosa di profondamente sbarbariano (e credo di averti fatto, usando questo aggettivo, un grande ma non esagetato complimento).
conosci aurelio valesi? è il poeta ligure vivente più vicino all’ “estroso fanciullo” che io, oggi, conosca.
ciao
irazoqui
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ma Zena, Zena, li sente quei nomi, quelle vite che premono sugli argini del ricordo?
Le sente quelle voci che ancora parlano e chicchierano e ridono?
Lo sente, come quei mondi non sono trascorsi mai?
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“La Lina ferma come un uovo sodo” basterebbe una frase così…ma siamo ingordi, ci leggiamo tutte le tue parole messe in fila (ce ne fosse una sbagliata, ma no, niente da fare) e a quella fila ci aggrappiamo come alla coda di un aquilone. Che bello.
Anna
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…con la bicicletta lungo le cavedagne e intanto contava i pioppi, che erano le ciglia del canale, li moltiplicava per le pedalate, da qui a là, poi divideva per i nidi della siepe. .
Stupendo, dovrei riportare tutto il tuo racconto, riga per riga, per quanto è bello.
Baciotto ammirato*
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Zeus restò incantato da Mnemosine, noi, ogni volta, da te.
Un grande abbraccio.
S.
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Buongiorno sereno con bacio, stanotte leggerò! :)
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Sempre tu ;)
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Bè se avesse le tue storie, Olmi sì che farebbe dei bei film :)
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Ah, è già stato detto da Anna ma te lo ridico. Basterebbe quel ‘ferma come un uovo sodo’ per chiudere le pagine e dire: basta ragazzi, tutti a casa, meglio di così non si può raccontare.
Come lo dipingi tu questo mondo scomparso non sa farlo nessuno, col. Dopo esser passati di qui si torna a casa con l’anima serena.
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sempre tu, come dice PaG, aggiungo: per fortuna che ci sei tu e le cose che scrivi .:)
(mail)
leti:)
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Quanto sei brava Col..che bel racconto!
Una domanda..cosa sono le cavedagne?
^^
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Grazie a tutti
(che bello leggervi :). Grazie davvero)
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Meraviglia!
Il tutto non lo si legge soltanto, lo si vede. Il montaggio, i cambi di scena, i costumi, la musica… Tutto perfetto.
Ci si potrebbe fare un film, da una così breve storia.
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Mi fai sentire la nostalgia di mille cose mai vissute!
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(Sabrina, non le ho vissute neppure io :), ma sono arrivate grazie ai racconti attorno a pigrissime tavole, nel mezzogiorno caldo e arancio, nei conversari della sera sui gradini di casa, quando il caldo è finito sulla pietra e anche lui ha la sua storia. Arrivano anche adesso, magari a pezzetti un poco sfilacciati, perchè la memoria dei vecchi fa come le pare e non tien mica dietro ai desideri, neppure alle domande)
Buon giorno buon giorno
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non è la prima volta che leggendoti mi nasce il desiderio di dedicarti parole di gratitudine…spesso uso quelle di chi molto meglio di me può rappresentarla…
m’è venuta in mente questa,di Gabriella Lazzerini,
“non ho castelli in Perù casette in Canada
quel che possiedo a volte riposa insospettato
il gruzzolo che tengo aumenta ad ogni scambio
posso gridare quanto ho ricevuto
ho ricevuto
da Louise il coraggio di Jo la sua baldanza l’amore per le storie di terrore e orrore
da Agata con il gusto per misteri perfetti la virtù dolceamara della diffidenza
da Jane la ragione dove il sentire invade
da Virginia ghinee moltiplicate
da Ivy signorina occhiali nuovi e spietati
dalla divina Emily paesaggi insospettati vertigini capaci di mostrare l’indicibile
da Annamaria visioni di folli e di folletti linguaggi alati nati compatendo il dolore
da Gertrude una rara America possibile la realtà che sconcerta attraverso le parole
da Elsa la grandezza del luogo della madre potenza smisurata ancora da capire
da Carla il simbolico di un mondo rivoltatoche non è mai più tornato come prima
da Laura che la terra ci domanda l’amore
da Bibi occhi di gatto per scavare parole
da Simone troppo per riuscirlo a dire
da Angeles grandi zie dagli occhi smisurati
da Luisa un discorso che continua
di un mondo da guardare e da donne cambiare
da Lia la forza tenace del desiderio vivo
da altre che la pagina non riesce a ospitare l’allegria faticosa di vivere e di scrivere”.
e noi
da Zena, e attraverso Zena,
tutto quello e tutto l’altro,
suo che si fa nostro.
bisoustoutcourt…ma con tanti grazie.
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Il latte della sera di questa sera avrà il tuo sapore in più.
Olmi, sì, saprebbe farne buon uso.
Un abbraccio Zena.
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Una serena notte per te,
una bella lettura per me!
AnnA :)
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Grz Col del chiarimento..ci dovevo arrivare da sola a capire cosa sono le cavedagne..
^_^
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neanch’io so metter la musica sul blog…ad una frase dei cioccolatini “all’amor non piace che gli si corra dietro”…baci e abbracci fatina
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“perchè la memoria dei vecchi fa come le pare e non tien mica dietro ai desideri, neppure alle domande…”
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O.T.
Solo un abbraccio, da quaggiù, fiorito di mare. Colfavoredelblog
:-*
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sai, pensavo che un certo sguardo si acquista con gli anni. Che quando si è freschi di vita non si vedono le storie, solo improvvisazioni. Poi il racconto si dipana con i suoi eroi, sempre :-)
(a volte mi chiedo: ma dove li scovi? e poi anche mi dico: ci vuole molto amore per poter raccontare queste storie, molta indulgenza :-)
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§§§§§§§§§
Senza voler essere biblica o giù di lì, mi vien voglia di dire che c’è un tempo per ogni cosa, ma quando le cose lievitano e levitano, fino a sovrastare, il tempo diventa un moscerino che ti vien voglia di consolare, per la sua esilità.
Ecco, solo per dire che vorrei imparare l’arte di dividermi e di moltiplicare il tempo.
Quando mi metto qui, a scrivere qualcosa, giusto per assecondare un bi-sogno di intervallo, vorrei avere poi a disposizione almeno il tempo della cura; avrei voglia di soffermarmi sulle parole di ciascuno, perchè il bello del blog, per me, è proprio questo: la non solitudine delle scritture, la loro ‘felicità di compagnia’, per dirla con la Erica di Vittorini.
Perciò grazie e scusa(te) insieme, amici pazienti che non lasciate mai sole le parole, neppure nei momenti di tempo moscerino.
Grazie, tante volte.
Un saluto di gratitudine
a Lino, a Sgnapis, a Majara, a Blanco, a Facco, a Irazoqui, a Effe (sìsì che le sento le voci, anche per altri motivi, temo :)…), ad Anna Ihadadream, a Pattinando, a Stepa, a Farouche, a Paolo Galloni, a Bustrofé, a Dodo , a Leti multiversa amica, a Cicabu, a Proteus, a Sabrinamanca, a Franca, a Momi, ad Anna Portamivia, a Mammagiovanna, a Farolit e a Deli.
E a tutti i passanti che in altri post non sono neppure riuscita a salutare :)
‘notte buona
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Cara Zena,
passo di qui perché avevo voglia di lasciarti un abbraccio.
:)
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e io li adoro i passaggi così :)
(zena occasionalmente davanti al pc in attesa che uno dei numeri della ASL si renda disponibile, almeno prima di ferragosto, ecco.
nel frattempo tututututututuuuuu)
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Che piacevoli momenti si passano leggendoti…
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Leggendoti mi sembra di vedere un film, di quelli belli, dei fratelli Taviani odi Olmi, a colori ma col perfetto clima e atmosfera d’epoca, personaggio dopo personaggio stai dipingendo un vero affresco non solo visivo (anche olfattivo, si sente l’odore della campagna, del paese, del siero del latte..) di un’epoca lontana ma non abbastanza da non farci sentire di avere sfiorato almeno quel mondo. le sigarette sciolte che non si sono bagnate, che personaggio sto Gi Gi.
Brava, bravissima.
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carissima, mi rammarico d avere sempre poco tempo per venire a scoprire i racconti della pianura, ma prima o poi arrivo…
Mi porti a galla quella piccola parte delle mie radici che sbucano dagli argini nel fiume, e mi viene la nostagia del non abbastanza vissuto e conosciuto. Mi pace, raccontane altre
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piace, non pace, anchese pace pu sembrare un lapsus, è solo questa tastiera del pit…
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grazie degli auguri..un abbraccio
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leggerti è un “riposo del cuore”, g*
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nottebuona anche a te cucciola…tenera e speciale
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Buon 25 aprile Col…^^
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Buon ponte ed un caro saluto!
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Amore e fortuna sono effimeri come le albe.
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Romagna,Argentina e tanto Springsteen Bruce,Briciola(dal tuo Bodhisattva ci strappi sempre dalla metropoli tentacolare per riportarci nel bosco dove i messaggeri della psiche,il cervo,il fungo,il gufo,il lupo e il bosco stesso c’impartiscono le istruzioni necessarie per andare avanti.E intanto ci racconti un’altra storia che non si dimentica)
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leggere e vedere i personaggi nella ricchezza del periodo fluido, ben reso in coerenza di ritmo e sequenze. complimenti .
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«Chi va in cerca d’amore…»[..] n. 7 – luglio 2007 quaderni Il Gi (di Zena Roncada) [..]
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