Le voci del mentre
2.
Lei dice che era bambina e si ricorda tutto. Tutto.
Specie quel giorno di festa di dicembre: ci andava spesso dai nonni e dalla zia, ché la zia era una sarta fina e aveva mani d’oro.
(In giro c’era il dono di certe pelli bianche di coniglio, che quasi erano meglio della lana e avrebbero inventato un bel cappotto, per la cresima d’inverno)
Niente cappotto, invece: divise nere all’improvviso e l’osteria riversata in strada.
Erano le tre del pomeriggio.
Le sedie e i fucili, i bicchieri e gli urli, le lacrime e i silenzi, i piatti e il vino e le pelli bianche di coniglio.
A fare inferno, insieme. Il dentro tutto buttato fuori e calpestato.
I giovani sul camion.
Senza un dove.
(Un mondo sporcato e rovesciato)
Lei dice che c’era, nella cucina grande, quella mattina di venti giorni dopo. Quando il nonno rovesciò la scodella con il latte, un gesto mai veduto, quasi uno sgarbo alla moglie che diceva mangia, che a cercare il figlio finisce che muore il padre…
E la verità era venuta fuori come una biscia nera.
Non c’era più figlio: lo sapevano le gambe che avevano pedalato tutta la provincia, lo sapevano le mani che avevano scavato nella terra e nel ghiaccio di quel cimitero.
Non c’era più figlio.
Neanche gli altri.
Fucilati il 22 dicembre.
Diceva, poggiato alla tavola, con i pugni alle tempie.
(Lei se la sente ancora la corda d’ortica che da quel giorno strinse la famiglia, ficcata nella carne da far male)
Lei li ha bene in mente, i giorni della ritirata.
Gli incendi, soprattutto, che si vedevano dalla casa alta: i tedeschi bruciavano le corti, dopo aver preso motori e biciclette. La coda del drago che batteva qua e là: fuochi, alle spalle, in mezzo alla campagna. Le bestie perse nel fumo. L’odore a vampate, a raschiare occhi e gola.
Un falò di banconote davanti al municipio.
(i bambini a rimestare fra i carboni col sogno di un biglietto intero, ma il fuoco sa tagliare come di coltello: solo farfalline di cenere e angoli di soldi bruciacchiati)
E poi, e poi i carri armati, a venir su dal modenese: quelli col numero ottantotto e con il quadrifoglio.
I ‘merican, qui da noi. Anche quelli neri.
Arrivarono che era quasi sera e puntarono i cannoni verso Po, dove c’erano gli ultimi tedeschi sulle rive, di qua e di là. La gente chiusa in casa col tremore, a sentire la notte fischiare sulle teste.
(Tutti con la madre nel letto grande: sotto il lenzuolo, ad ascoltare il buio e i colpi, ché quella era nottata di fine mondo)
Lei dice che al capo del Pradòn, la lingua di terra, quasi un’isola, proprio in riva a Po, fra i pioppi e i salici, c’era la casa di una famiglia grossa. La mattina i tedeschi s’erano portati via le porte, ché tutto serviva per tentare l’acqua. Ma tanti, il fiume, non l’avevano passato: avevano messo le armi per terra e si erano dati ai partigiani.
Allora l’uomo del Pradòn, il pomeriggio di quel 23 d’aprile, era sceso in golena con il bimbo a cercarsi le porte per la notte: almeno stare al chiuso… ma, dalla spiaggia di quell’altra sponda, arrivò uno sparo.
Morire così, a un passo da casa.
Senza poter dire liberazione.
La tua scrittura ha la bellezza di Fenoglio(e mi tengo stretto, ma è un gran complimento)(se fossero film,sarebbero più povere)(a meno che, ci fosse un pasolini/olmi/reitz/wenders,ma trovarli quelli(va be’,tocca contentarsi dei tuoi film)
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Lino, ci sto mettendo cuore, sai.
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è vero, sei ammirevole.
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Meraviglioso, Zena.
Un abbraccio grande, g.
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Si può solo ammirare e lasciare che il cuore si stringa ravvivando ricordo e sofferenza… Lino ti ha già detto quanto alto voli.
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Il cuore che ci metti si vede sempre, nelle tue parole.
E per questo, per la forza che hanno, a leggere queste due storie – belle come tu solo le sai fare -, mi viene anche tristezza per un mondo di passioni vivo fino a ieri, ma che guardando in giro vedo sbiadire, fino a diventare semplice memoria.
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cara amica,
il 21 aprile è morto, di malattia, un mio amico -uno scrittore -marcello venturi, partigiano.
oggi ho guardato in rete (guardato è proprio il magnifico verbo che voglio usare) la vita di luigi roncada, sindacalista.
con queste due persone in testa voglio augurarti, in un abbraccio, buon 25 aprile.
iraz.
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Iraz, mando in giù perchè mi viene un magone. E’ perchè non vada perso niente che metto qui le voci di casamia. Un abbraccio.
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Arimane, la stessa storia vista da occhi diversi. E ho intenzione di continuare, perchè oggi più che mai mi pare si debba alimentare la passione. Un abbraccio.
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Skipp, dai, va’ sul sito delle mondine. basta cliccare il banner verde… Ciao amico caro :)
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Giulia, ho ricevuto preziose ‘parole padovane’: domani ci ‘lavoro’ su :)
ciao, carissima.
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Livio, ma grazie e che bello incontrarti qui. un saluto grande.
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..che parole..
parole che si toccano, che toccano.
la tua voce dice bene il dramma, e il calore, e l’amore.
e quei scampoli di nero funesto, in divise, carta bruciata, notte..
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“Morire così, a un passo da casa.
Senza poter dire liberazione.”
Quanti drammi in quei fatidici giorni, e quante atrocità e tragedie. Non eravamo nati in quei giorni, eppure riusciamo ad intravederne lo sgomento, grazie alla tua splendida capacità evocatrice. Sì, la memoria è quella che serve a tutti, giovani e meno giovani, ad odiare le guerre, le dittatura, il fascismo, il nazismo. Non bisogna dimenticare, ancora sulla faccia della terra esistono simili atrocità. Grazie per il tuo post e un abbraccio.
Ubaldo
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Sai Zena, commentare i tuoi post é quasi un sacrilegio. Cos’altro si può aggiungere alla bellezza e all’emozione? Niente. Per questo ti lascio solo un saluto. E un abbraccio grande.
S.
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Non si ricorda più come una volta, nei cuori e nelle piazze, e a ricordare non sono i giovani … altro hanno a cui pensare. Ma mentre con la bicicletta m’involo lungo l’argine del Po e l’acqua è finalmente salita (ora sembra proprio un fiume!), mi piace pensare, avere qualcosa davanti agli occhi, sentire le parole nelle loro lingue franche di mio nonno e mio padre … loro hanno potuto gridare “liberazione” … a te, Zena, un ringraziamento speciale. Buon 25 aprile.
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cara ti lascio un abbraccio commosso, si resiste, anche con la Parola! :-)
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Zena, ‘sto zitto,
ammiro, chino la testa,
un po’ per lutto,
n’altro per riverenza
MarioB.
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grazie Varasca, grazie Ubaldo, grazie Stepa, grazie Edoardo, grazie cara Farouche, grazie Mario.
E’ un grosso regalo poter condividere un pensiero e un modo di sentire.
Dedicati a questo giorno.
Un giorno che ci affida una grande, civile responsabilità.
Per questo continuerò a scriverne.
Grazie ancora, a voi e a tutti quelli che passano di qui.
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Grazie, Zena, per queste immagini, gesti e voci che fai vivere ancora.
C’è una grande forza in queste narrazioni.
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grazie, Zena.
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Buon 25 Aprile, Zena.
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a tutti voi, grazie.
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le ho lette tutte, son bellissime.
:)
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