Le voci del mentre
3.  
Lui dice che bisogna andare indietro, per capire bene.
Almeno un salto a dieci anni prima, al millenoventotrentaquattro.
Il fratello più grande subito di leva.
Vent’anni giusti, da spendere in Etiopia.
E insieme alla partenza, l’arrivo del mal stare.
Il giovane mandato a far la guerra, senza dire perché,  e il padre a fare i conti con la sua: col caseificio grande chiuso per quella tessera rifiutata sempre, coi figli da tirare su, con le minacce non tanto sotto traccia.
E un formaggio che non voleva più nessuno.
C’era da andare via.

Lui dice che il padre era andato in Francia e sempre scriveva a casa,  anche per dire che errore questa guerra, solo una  smania tronfia di grandezza…
Bastò alla censura nera per chiudere altre porte: persecuzione.
Bisognò inventare altri lavori, tornando nel solco della madre. La rivincita fiorì tutta nel nome: aprì le porte la Trattoria “Alla Pace”.

Lui ricorda quando il fratello grande tornò dall’Africa.
Era il ’39. Cinque anni di guerra.
E di nuovo fu subito partenza: prima al confine italo francese e dopo in Jugoslavia.

Anche il fratello di mezzo era ormai maturo. Vent’anni giusti, da spendere in Croazia, essere ferito e poi ripartire: destinazione Russia, fino alla disfatta e , senza neppure passare dal paese, un po’ di Meridione.
Così l’8 settembre del ’43 cominciarono a venire a casa. A piedi. Uno dalla Jugoslavia, l’altro da Sessa Aurunca a risalire l’Italia.

E c’era la Brigata da organizzare, e c’era la Liguria con le sue montagne, e c’era il formaggio per la Val d’Ossola, e il lavoro “Alla pace”. C’erano i compagni. E chi fingeva di essere e non era.

Lui, l’ altro lui, ha scritto:

“Da ragazzo di vent’anni, in poco tempo ero stato costretto a diventare uomo disincantato; perciò non è stato difficile prendere coscienza, e i fatti purtroppo mi hanno dato ragione, che l’8 settembre sarebbe stata la data della dichiarazione di una nuova guerra, forse la più cattiva, contro nuovi nemici: gli ex alleati tedeschi ma, peggio ancora, i fascisti italiani ancora loro alleati, riorganizzati nella Repubblica Sociale Italiana di Salò. (…)

Nella trattoria ALLA PACE si andavano consolidando lo spirito antifascista e pacifista e il desiderio di ricostruire una vita democratica; si allacciavano contatti con personaggi già inseriti ed attivi nel movimento della Resistenza.

Il 4 novembre del 1943, prima che cominciassero le azioni delle S.A.P., c’era già, presso il Comune di Borgofranco un Ufficio delle Guardie Nazionali della Repubblica di Salò.
Io ed un gruppetto di amici, la mattina, riunitici per ricordare i Caduti della Grande Guerra presso il Parco delle Rimembranze, ci scandalizzammo per lo stato di degrado del luogo: erbacce dappertutto, le targhe coi nomi dei Caduti divelte o sporche, il cannone con la canna piena di terra, le recinzioni sconnesse. Detto fatto, il gruppetto decise di mettere in ordine e fare la commemorazione (…): ripulimmo e ripristinammo tutto, lucidammo anche il cannone, ma lo collocammo a canna in su con dentro un mazzo di fiori rossi.
Per tutti i cittadini che assistettero alla scena quella fu una toccante manifestazione patriottica, per noi quei fiori nel cannone furono l’esternazione di una protesta, l’ufficializzazione della nostra appartenenza al movimento della Resistenza” (da L. Roncada, Dall’8 settembre 1943 verso il 25 aprile 1945, in Sermide 1940-1945, Sermidiana Edizioni-2005)

Come andarono i fatti già è stato detto.
Resta la cosa ultima.
Il padre, proprio il 25 aprile, i ‘merican in piazza, i partigiani anche, chiamò la sua gente, tutta la famiglia, la vedova abbracciata con lo sguardo: si volta pagina, disse. Niente mai vendette.

Ecco, vorrei sapere dove sta la retorica che qualcuno vorrebbe cancellare.
Si pensi a cancellare la guerra, guardando avanti.
I libri dei fatti, dei gesti già accaduti sono da rispettare.
Da rispettare.

(dedicato a Domenico, a Ugo, a Gigi, a Giulio e a chi mi ha aiutato a ricordare)