Se l’era portata  a casa, a mo’ di  preda.
Forse da Viterbo: una gran fiera.
(Certe scorribande per vendere e comprare. Vitelli, soprattutto.)
A risalire, un viaggio lungo e storto. Con il treno.
E la paura che patisse aria o sete. Il braccio torno torno, cedevole al ritmo di sbattuta.

La guardava, esile e sguarnita, e già sapeva i frutti, odor di erba tagliata: melette paglierine, del verde agro del fieno, quando ha perso ogni prepotenza.
Le aveva viste al margine di un prato, piccole da sembrare nane.
Mele d’estate, non d’autunno.
Ne aveva assaggiata una: aspra da schiuma in bocca, ma anche delicata, con lo zucchero che spunta. In fondo in fondo.
E aveva pensato alla mietitura: lavorare, sudare, poi tirarsi sotto un’ombra e sentire il fresco di una mela.

Interrò la pianta alla Contotta, ai bordi dell’aia, per infittire il brolo.
Un poco ti somiglia, disse alla sposa, perché era un uomo che aveva poesia, ma la Mabilia se ne restò zitta e arrovescia, ché aveva altre piantine per la testa: tener dietro alla casa, al pollaio, alle chiacchiere delle donne nella corte.

Ci fu da aspettare un paio d’anni: arrivarono i fiori un po’ rosati. Diversi frutti legarono per bene.

L’uomo guardava il verde e il picciòlo che teneva, tastava la polpa appena appena: voleva capire il tempo delle cose, trovare un segno che le legasse al resto e aggiustasse il cuore per l’attesa.
Alla calendra dei giorni di gennaio chiedeva  pioggia e  sole, fino a luglio.
Alla merla il passo della stagione nuova.
Col viburno aperto e bianco sentiva il maggio, prima delle rose.
Cosa avrebbero detto le mele paglierine, le mele di san giovanni?
C’era da aspettare, per vederle cambiare sotto gli occhi.

Non sono da staccare, disse a tutti, per essere ben chiaro. Han da restare lì, finché non son mature. Ché c’è ancora tutto da capire.

Ma qualcosa andò per conto suo.
I frutti parevano malati.
Rosicchiature, ad arte. Fini fini.
Da un lato solo delle mele, quello nascosto, che dava contro il muro.
Vespe di terra? Insetti forestieri?
Non c’eran tracce che dicessero qualcosa.

Poi vide e fu come sciogliersi nel sole del primo pomeriggio.
La bimba piccolina trascinava un mattone sotto il melo, ci saliva e, in punta di piedi, tenendo un frutto con le mani, lo grattava a denti e morsichini.
Appesa senza peso.
Ad una mela.
Non sono da staccare, sorrise al padre.