La chiesa venne su rossa fiammante, coi mattoni cotti al fuoco, sotto il sole.
Dava le spalle alla fornace e ne pareva la continuazione: una vampa che si era fatta soda, una lingua di pietra tenuta dalla siepe. Con i trafori, ché i vuoti fanno luce.
Avevano tanto lavorato, i braccianti e anche i possidenti.
A fare malta e pietre, giù d’orario.
A tirar su i muri e a mettere di piatto il pavimento.
(I disegni del mastro sotto il naso e i vecchi sotto l’ombra, a contare i giri di carriola.)
Nei giorni della stanca, quando la terra diventa tutta secca.
La canapa già a pìroli e mannelli.
Il granturco fermo a maturare.
E tempo avanti, ancora, per arare.
Tutto per portare dio anche lì: in un pezzo di terra di nessuno, in litigio pure col suo nome, un nome di maledizione. In mezzo ai fossi e alle piantate, alle biolche di medica e di grano.
E’ che si era stanchi di una chiesa a prestito, per sposare, nascere e morire.
Meglio sotto gli occhi del santo di borgata: la croce di ciliegio dell’Ulisse e le dalie dell’orto sull’altare, alto come il calvario o come il sacrificio. Con la sua bella tovaglia ricamata.
Si sperava fosse un matrimonio ad aprire le porte della chiesa.
O un battesimo, con l’acqua nella conca nuova.
Invece.
Morì il vecchio Berto, che si fece controvoglia la navata intiera, nel saluto di un prete grande e grosso, dal passo contadino e l’orapronobis mangiato troppo in fretta.
La cosa sembrò di segno strano: un inizio partito dalla fine e con quel vento che veniva dal cortile, alitate di fornace a pizzicare il naso, ad aggricciare gli occhi.
Sul piazzale il lavoro continuava. Non bastava morire per fermarlo.
Così il caldo soffiato nella volta, fra i mattoni crudi ad asciugare, usciva dal camino, sbatteva contro il cielo basso e poi tornava giù, a fare da condanna, a diventare fumo fra la gente, nella chiesa.
Il fazzoletto stretto sulla faccia, la Palmira se ne stava immagonata, con l’anima che voleva uscire dalla bocca, insieme coi singhiozzi tamponati.
No no, si sarebbe pensata no che fosse proprio Berto suomarito a passare per primo fra quei banchi, lui che, la messa, neanche la sapeva e metteva lo straccio rosso attorno al collo, il giorno del comizio.
Ma che male farà, una benedizione, si consolava per questo tradimento.
Levò gli occhi verso il parroco per trovare conforto: due dita in aria, don Enzo andava a benedire, eppure aveva una smorfia sulle labbra.
Non era una smorfia: era una risata.
Rideva, il prete. Lo sguardo un po’ smarrito.
E rideva l’Ulisse. Rideva la Celesta. Rideva anche l’Argia: tutta la borgata rideva sottovoce, in chiesa, durante il funerale.
La Palmira si liberò la bocca e tirò su, forte, con il naso.
Allora capì, perché tornò bambina, quando sua mamma le faceva il grattino sotto i piedi, il solletico sulla carne viva, e il riso le saliva per la gola ed era come i grilli, una colonia di grilli che nessuno sapeva più fermare.
Rise anche lei, che altro mai poteva. Come se a ridere fosse la sua pelle.
Quel riso a pioggia e a serpentina: scherzi del canuin, degli scarti di canapa bruciati alla fornace e soffiati contro il cielo dal camino.
Scosse la testa più leggera, la Palmira, e pensò che questo fosse un bene, la bonaria vendetta del suo uomo.
varasca ha detto:
diavolo d’un berto :-)
ma quel riso è la vera inaugurazione della chiesa, possibile solo fra mura familiari; e queste lo sono, per volontà e sudore.
(argia è un nome nuovo, per me: bello!)
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linodigianni ha detto:
un grattino sotti piedi per il tuo ritorno, e molti trafori per me perche sia fatta luce oggi, primo giorno di messa cantata
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proteus2000 ha detto:
(Sor)ridiamo anche noi, divertiti, commossi, deliziati.
Alla fine, singhiozzi e riso gorgogliano in gola.
Quei tuoi luoghi stanno diventando per me una specie di patria del cuore, o una patria speculare alla mia, per quanto diversa (i mannelli di grano, poi radunati in covoni, il sangiuseppe di ciliegio di mastru Cola…)
E che dire del racconto, e del modo di raccontare, della meravigliosa duttilità della scrittura, della chiesa-fornace rossa come il fuoco nel paesaggio di canape e mannelli, di quei singhiozzi “tamponati” che si sciolgono in riso…
Come sempre, in ogni tuo racconto c’è tutto un mondo, riconoscibilissimo anche per chi, come me, è nato altrove e “lì da voi” è venuto condottovi da te. C’è tutto il mondo com’era una volta.
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giuba47 ha detto:
E’ sempre molto bello legerti, Giulia
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stepa ha detto:
Si sentiva la mancanza dei tuoi racconti, in questo scampolo di tarda estate. Abbraccio.
S.
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arden ha detto:
Certo che nei giorni della stanca un po’ di canuin farebbe proprio bene. Giusto un pizzico, per risvegliare i grilli:-)
Grazie, Zena, per questo delizioso racconto che apre al sorriso (anzi sono quasi felice al pensiero di questa bellissima vendetta di Berto).
Un abbraccio di ben tornata:-)
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skipper246 ha detto:
A leggerti mi sembra che anche la mia storia di bimbo abbia contenuto quei calori,quella polvere, quei nomi, fai ricordare anche quello che non si è vissuto.
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irazoqui ha detto:
ogni anno un mio zio ottantenne va alla festa di sant’anastasia, tra le vigne e le ginestre di morbello. la prima pietra di quella chiesa rossa l’aveva messa suo nonno (mio bisnonno) minichino der bric.lo stesso minichino che cantava alla nonna teresa ed alla zia nilde, piccolette, “le cose in fantus”, che ho postato sull’aureliovalesi’s blog.
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Deli ha detto:
:-) :-)
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dirtyinbirdland ha detto:
Bentornata– e con questa delizia piena di vento e dio… sono felice che tu sia stata, per me, la prima cose letta d’oggi.
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sgnapisvirgola ha detto:
Sorprendentemente profondo e commovente. Come solo tu puoi.
Con affetto:)
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
sì Varasca, diavolo d’un Berto, che fa il suo sberleffo così: con il canovino:), al posto dell’incenso…
Di Argie qui ce n’erano tante, ma se ne sono andate, insieme alla canapa… Un saluto grandeeeee :)
§§
Che la tua messa cantata procedat, o Lino!!! e abbia tanti trafori come punti di fuga :))
(al grattino io non reggevo proprio e cominciavo già a ridere quando mia mamma iniziava la filastrocca di “manina bela manina, cus’et magnà stamatina, pulenta e cicina…grata grata furmajna…”. La filastrocca, di cui ci sono mille varianti, naturalmente finiva col grattino sulle mani e sui piedi…
§§
Caro Proteus, era proprio col sorriso che volevo ri-cominciare, perchè sorridere rende leggeri, trasersalmente ai luoghi e alle situazioni, con una migrazione mirabile dalla forma alla sostanza delle cose. Un saluto grande (e sorridente, ovvio)
§§
Giuba, che piacere ritrovarti:) Grazie, sai e a rileggerci presto.
§§
Stepa, grazie grazie: è benaugurante ritrovare i vecchi amici. Ti abbraccio.
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colfavoredellenebbie ha detto:
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cara Arden, se penso a come mi fa tossire il fumo di una sigaretta, non so come starei:)). Ma, complice il vento, forse non sarebbe male…
Ciaoooo.
§§
Skip, secondo me, questo è il regalo della scrittura, indipendentemente dal suo valore: la circolarità, il passaggio che diviene prestito, di un senso, di un affetto, di una parola…Ciao, amico carissimo :)
§§
Iraz, le cose in fantus sono una scoperta meravigliosa…Son già tornata in più giretti a leggere e ad ascoltare. Ti ringrazio tante volte, fino a risalire a Minichino (che credo corrisponda al mingon-Domenico che, vedi un po’, era il nome di miononno).
§§
Deliiiii:):)
(hai visto come funziona bene la mia posta?)
§§
Dirty, e tu mi hai portato la tua poesia, stamattina, che non finisce mai di prendermi e stupirmi e commuovermi, ogni volta.
Grazie, sai…
§§
Sgnapizzz… sul ‘solo tu’ ho fortissimi dubbi, ma intanto me lo tengo, a stimolo per far meglio :)
Ciao, con affetto.
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riccionascosto ha detto:
Ma poi si sa, che ai matrimoni si piange e ai funerali si ride… che l’emozione prende strade sue, e la vita si prende sempre la sua rivincita sulla morte.
(viva, la chiesa di mattoni rossi; e ci voleva un sorriso, per ricominciare. Sì, ci voleva proprio).
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aitan ha detto:
sorrido anch’io
quasi beato
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elisnelpaese ha detto:
Il riso e il pianto: credo che Berto abbia soffiato tanto, indispettito di dover inaugurare la chiesa, da stimolare il riso nei presenti.
Cosa c’è di meglio di un allegro passaggio all’aldilà?
Pitture le tue descrizioni!
Abbraccio
:)))
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Pattinando ha detto:
Incantevole come sempre, baciotti settembrini :-).
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colfavoredellenebbie ha detto:
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Sì, Riccio, è il gioco di un mondo un po’ rovesciato e un po’ pirandelliano. Attento a cogliere, con la stessa preoccupazione, i segnali che vengono dalla terra, dal cielo e dai sogni.
§§
Oh Aitan: ci si sta ritrovando e questo è bello :) Ciao, col sorriso.
§§
cara Elis, pare proprio che la corteccia di canapa in cui restava parte di tiglia, avesse proprio questa caratteristica…esilarante. D’altra parte le vecchie che raccontano i giorni del canuin assicurano che si rideva tanto, nonostante la fatica. Forse anche in presenza di un dolore… Un abbraccio.
§§
Pattinando!!! Che cosa bellissima rivederti. Ti abbraccio:)
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elisnelpaese ha detto:
o.t
entro venerdì si conclude il gioco sul telaio: prevedesi già il vincitore…
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ArimaneBis ha detto:
Lo scarto, il paradosso, l’impensato, l’inopportuno: la radice che genera il sorriso vero; quello che cura il pianto, suo fratello.
(E poi c’è la Storia in filigrana)
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Senza ha detto:
Fai! e tu hai fatto…:-)
e adesso aspetto le altre storie, chè so che ci sono…
e saranno senz’altro belle e commoventi come questa.
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PortamiVia ha detto:
Bellissimo racconto… sembra un dipinto.
Col, c’hai il dono!!!
Abbraccio,
Anna :)
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habanera2 ha detto:
E’ bello il senso di comunità che si respira in questo racconto: costruirsi una chiesa per sposare, nascere e morire senza dovere più andare in prestito.
E poi ritrovarsi a ridere tutti insieme, ad un funerale…
Bello!
H.
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Gardenia ha detto:
nebbiolina son tornata a lasciarti un grandee smack!
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zaritmac ha detto:
Tu accarezzi. Come il riso lieve fa con le labbra senza forzarle in rughe.
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dodo712 ha detto:
Mi mancavano questi tuoi racconti così garbati e sorridenti.
Bello rileggerti. :)
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colfavoredellenebbie ha detto:
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Elis: è stato un gioco molto bello, anche se, come haipotuto ampiamente constatare, il livello della mia intuizione è molto simile alla depressione caspica. :) Ciao, carissima: aspetto ottobre, allora:)
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Sì, Arimane: il gioco del racconto era quello del paradosso e, insiee, dell’ossimoro, che sono i motori che governano, sempre più, la (non) libera concatenazione degli eventi. Un saluto molto caro.
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Senza! Ad un Fai non si può resistere, in effetti. E io son così docile, ma così docile :))))
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AnnaPortamivia!!! Ma dove l’hanno messo questo dono, eh? :))) L’avevan poggiato qui un attimo fa…e adesso, mah, chissà….
Ti saluto con tanto affetto.
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colfavoredellenebbie ha detto:
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Habanera carissima, in effetti, se pregio può esistere, nel paese piccolo, questo risiede in un sentirsi avvitichiati alle vite degli altri: se non diventa laccio, si fa rete, anche di salvataggio, certo di connessione multipla. Un abbraccio.
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Cara Gardenia, è bello saperti tornata. Ti immagino abbronzata e pimpante:) A presto, eh; intanto un abbraccio proprio grande.
§§
Grazie, Zarit: quando ti vedo qua ne sono così contenta…
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Dodo :)) Bentornato. Ti ritrovo con gioia: grazie.
A tutti buona notte buona :)
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usermax ha detto:
un abbraccio e buona domenica, M.
:)
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naima2 ha detto:
Ridere a un funerale… Lo considero un invito. Ognuno di noi ha un funerale a cui ridere. Io per esempio: ho compiuto gli anni eppure ho riso e mi sono lasciato upgradare il computer (anche quello è una specie di funerale con incerta resurrezione finale).
Adesso ho pure un monitor grande come un televisore. E’ un piacere leggerti, si vede tutto il post.
Magnifico racconto, commovente. Leggendolo viene un nodo alla gola e poi… bendetta risata, benedetto sorriso di Zena.
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ubaldoriccobono ha detto:
“Ma che male farà, una benedizione, si consolava per questo tradimento.”
Quanta umanità, nel tuo umorismo leggermente pirandelliano, smitizzante direi. C’è una sorta di comprensione che va oltre la morte. La morte non diventa la fine, ma è un’occasione per trovare un legame con la vita. E’ bello pensare ai cari che non ci sono più e immaginarli allegri nel perdonare i piccoli tradimenti a fin di bene. I tuoi racconti trasudano umanità, perchè tu sei grande maestra di umanità.
U.
Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle.
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Gardenia ha detto:
sei magica, zena, almeno quanto la trua scrittura, smack
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elisnelpaese ha detto:
Qui, oggi, festa del patrono… di seconda classe…
Le chiese non fanno più din-don-dan, ma sparano alle sette del mattino certi colpi che sembrano di cannone, per avvisare i fedeli della ricorrenza:-)
Ma se uno è infedele [me per esempio], come fa a salvarsi dagli avvisi inopportuni?
Dici che bruciare nottetempo corteccia di canapa può servire?
Un abbraccio domenicale e…santificato ;-)
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ameya ha detto:
bello scritto
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Deli ha detto:
Madame, monsieur, savez vous planter les choux ? ;-)
http://it.youtube.com/watch?v=JVJIrpgHAW8
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colfavoredellenebbie ha detto:
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Maaaax, ti ho visto in mezzo al blu :)). Buona notte, dunque.
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Naima Naima, tu sapresti dare leggerezza e allegria anche a un menhir:) E già ridere il giorno del compleanno ne è una riptrova convincente. Ti saluto tanto.
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In effetti, caro Ubaldo, questa è zona di mescolanze… I santi si mescolano ai fanti, il sacro al profano, la vita alla morte, il riso al pianto: caleidoscopio di varia umanità. Un saluto affettuoso.
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Gardenia, la magia sta in certe riapparizioni di fine estate:) Bentrovata, amica mia.
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Elis cara, si può sempre provare, magari sul fornello di casa :)) buona nooootte….
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Benvenuta Ameya, e grazie per la tua lettura. Arrivederci :)
§§
Madame Deli, je vis pour l’apprendre :))))
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vera.stazioncina ha detto:
…un riso bonario e sereno anche sulla morte…non c’è nulla di più unico e assoluto come un riconciliarsi alla vita.
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