Appuntavo le cose a fogli immaginari, ieri mattina.
In automobile, mi si lasciava guardare o pensare. Senza obbligo di parola.
Niente montagne, in fondo.
Peccato.
Piace quando la pianura regala questi slarghi.
Le distanze degli uomini viste con gli occhi degli uccelli.
In aria.
Distanze possedute con lo sguardo.
Solo una foschia, invece, ieri mattina. Appesa alle sagome dei pioppi, in ordinate fila.
E forse anche questo è bene: i pioppi a chiudere, a dire del reale.
Ciò che è lontano torna ad essere lontano.
Distanze a misurazione arborea.
In terra.
Distanze in metro-resina.
Pensavo queste cose per perdermi per strada, per mettere altro fra il mio viaggio e l’arrivo.
Eppure.
La mappa dei riti non ti tradisce mai.
Si costeggia il canale e si è già lì.
Per ricordarli insieme, i morti partigiani.
Fanfara, strisce tricolori, allori e ragazzi.
I saluti, i gesti, le parole.
Noi.
Arrivati con l’apprensione che ci leggiamo in faccia.
Si fa presto a contarci, ora.
Tutte le altre volte in questa presente e viva, tutte le musiche, i racconti di battaglia partigiana, il freddo, i pianti nascosti dietro il fazzoletto, i garofani rossi della zia, la voce dolce dell’altra, la fierezza degli uomini di casa, il braccio di mio padre e la sua mano.
Non ha distanze, il cuore.
Sono tutti qui: sovrapposte presenze in accumulazione, abbracci fitti di altri abbracci.
E, fedele alla consegna, la puntualità del dolore.