S’era sentita un colpo dentro.
Quando il cuore frana e poi pare poggiare sulla gomma.
Su e giù, a stringersi e a slargarsi come gli storni in volo.
Il podere verso la Contotta non ha più mezzadro, aveva detto il figlio grande. Se sposo, lo mando avanti io.
Certo che sposava.
Per esserci, la moglie c’era. Pronta già da un pezzo: bastava solo dire il giorno, anche a un’ora bassa, e la ragazza ci veniva sì, in chiesa, e senza tante storie.
La Palmira fece segno di niente e continuò a rompere le cime dei cornetti, come se il mondo, tutto il mondo, stesse nel cavo della gonna, fra le sue ginocchia.
Due colpi netti.
E nell’aria galleggiava quel rumore verde e secco. Senza cambiare nulla.
Il figlio così se ne era andato, nei giorni giusti del San Martino.
Anche l’altro, un anno dopo, a tenere la stalla delle Stoffe.
A fare i figli tardi, non li si vorrebbe più lasciare andare.
Uguale, la Palmira muoveva i materassi a settimana, nella stanza vuota dei ragazzi, perché la piuma non diventasse trista.
E le veniva da cercare i pantaloni da ripiegare bene e le giacche da riporre nell’armadio.
(Le tasche rovesciate e scosse, per togliere il tabacco, ché sennò le cuciture.)
Come, tanti anni prima, aveva imparato con la sua bambina: la stanza sempre rassettata, anche se non c’era più. Il pettine in linea con lo specchio, i mobili tirati con il panno, le lenzuola rinfrescate a primavera.
Perché le cose tengono.
E li mostrano, i segni della cura.
Restano lì, se non le cacci via.
A fare una quieta compagnia.
Eppure, in certe giornate dell’inverno lungo, la Palmira non sapeva darsi una ragione.
L’ombra, che arrivava nel cortile, entrava per la serratura e le passava diritta dentro il petto: allora la voce del fuoco si abbassava, gli odori restavano aldilà del muro.
Che ne sapeva il vecchio… Il vecchio se ne stava fuori: le carte, il vino, i conti sul libretto.
Ma lei.
Ogni gesto perdeva la misura. Il mangiare cucinato a mezzogiorno serviva anche la sera e il tempo aveva poca susta, fatto di lana da una maglia sfatta.
Allora lo chiese a suo marito, che l’ascoltò, incerto fra il ridere e lo sbattere la porta.
Voleva un torre. Una torre, come quella dei piccioni.
Una stanza piccolina sopra il tetto o un comignolo grande.
Che ci stesse una sedia.
Per guardare la sera le case dei suoi figli, da lontano: là dove c’era il lampione dell’incrocio, là dove il caseificio non spegneva il faro, là dove il buio sembrava un po’ più chiaro.
melacecca ha detto:
che bello..anche lei voleva la sua stanza per sè…il vecchio, il marito è il vecchio, quanta distanza in questa parola.
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varasca ha detto:
e il vecchio? alla fine glielo fece, un torre alla palmira? una colombaia, quasi, da cui i suoi battiti di cuore potessero prendere il volo, verso i ragazzi..
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§ Caro Varasca, la casa c’è davvero.
Avrà chissà quanti anni.
Piccolissima.
Due stanze giù.
Tre strettissime e basse (si capisce dalle finestre sotto il tetto), sopra.
E la torre, che fa sorridere, vista la modestia dell’abitazione.
E siccome, per me, le storie stanno dentro le cose e solo c’è da aiutarle ad uscire, ho smosso qualche coppo e questa è saltata fuori :)
§§ cara Melacecca, che bello ritrovarti qui. Sì, penso davvero ci fossero distanze ‘filate’ da silenzi e rinunce.
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elisnelpaese ha detto:
Dio, che commozione! Sembra tanto il ritratto della mamma di Luca, lei per consolarsi aveva fatto fare un gabbione per i polli e nel “dialogo” con le galline, da mattina a sera, trovava consolazione… E però un giorno volle la piccola mansarda nella soffitta alta, che le avrebbe consentito di “vedere” oltre le Apuane, verso quel mare del Sud che le aveva “rubato” il figlio :)))
Non smetti mai di emozionare.
Abbracci
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setteparole ha detto:
Non è cambiato molto, ora abbiamo le nostre torri moderne che si chiamano videotelefono e skype, ma cerchiamo sempre di guardare da lontano le vite dei figli che se ne vanno.Forse per le future generazioni non sarà più così (o forse no) ma il distacco è sempre una cosa che la ragione accetta, mentre il cuore fa fatica.
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majara ha detto:
le tecnologie con truffa incorporata (“le distanze si annullano “) ci ruberanno anche il desiderio di una torretta? e no eh?!
:)
(Quel “Perché le cose tengono. E li mostrano, i segni della cura.” si presta come incipit di un’altra storia, o di chi sa quante…)
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isabel49 ha detto:
Un applauso per te scrittrice fiabesca: sei unica! La tua scrittura è cantilenante, dolce, tenera e come in un videogramma scorrono le immagini raccontate, sono tangibili. Anche questa storia è bellissima, sa d’antico, di sussurrato, di melodioso. La tua storia è quella di una mamma che resta da sola con il suo sposo, ormai invecchiato come lei, e vive di ricordi e di solitudine: i figli non ci sono più, hanno una loro famiglia. Bellissime le metafore.
Con amicizia, Annamaria.
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feritinvisibili ha detto:
Beh, bisogna dire che per far saltar fuori dai coppi certe storie ci vuole un certo talento… aggiungo un carissimo saluto
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Grizabella1 ha detto:
Quanta struggente tenerezza nella solitudine di questa donna…
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yetbutaname ha detto:
bello e nemmeno troppo triste
bello
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dadea ha detto:
Lascio un salutino e un buon 2009 anche se con un pò di ritardo.
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Lucycy ha detto:
commovente…
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sgnapisvirgola ha detto:
Non mi piace pulire i cornetti. Non mi è mai piaciuto. Di fretta, senza metodo, tanto che qualcuno rimane beffardo con la punta all’insù, nell’acqua a galleggiare. Ma sgranare fagioli e piselli, quelli sì che mi sembrano perle e ancora ci vorrei giocare.
Ho dovuto ricordare qualcosa di carino per alleggerire quell’ombra che abbassa ogni fuoco e ogni sorriso e fa allineare cose per non morire.
Le cose hanno un’anima a volte si dice. Ma basta pensare a chi sono appartenute perchè diventino le uniche cose a cui teniamo.
E’ l’amore che fa la differenza e questo lo sa bene la Palmira che lo cerca nel chiarore di un orizzonte troppo lontano.
Commovente.
Un abbraccio forte.
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Gretsch ha detto:
Commovente.
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claudioborghi ha detto:
L’intelligenza tenta di dire il visibile. I sentimenti e le cose, i visi e le ombre, il moto e la quiete, i paesaggi e le storie formano il visibile. Quel che accade e quel che appare formano il visibile. La scrittura lo lascia scorrere: lo sfiora quasi senza toccarlo, lascia che la forma si crei da sé, si sveli nell’evidenza del dettato del reale. Questo cercano le tue immagini? Questo cercano le tue parole così essenziali e uniche nel corpo del testo? Cerchi la poesia che si disegna senza sforzo, come uno sboccio spontaneo, come un’emanazione necessaria di rami dalla radice del cuore?
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RepPeaks ha detto:
Molto bello davvero, ciao!!!!
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§ cara Elis, sono convinta che ogni cosa sia già stata scritta perchè già vissuta :)
Tutti in fondo vorremmo almeno un tetto per alzare, qualche volta, lo sguardo, anche se sono convinta che, per vedere, occorra ‘stare bassi’, inciampare nelle cose, e raccontarle, poi, nella distanza temporale, non immediatamente a ridosso:)
Un abbraccio, ancora non esente da bacilli.
§§
Sì, cara Setteparole, non c’è laser o moderna tecnologia capace di suturare i tagli da separazione…
§§
Cara Majara, e perchè no? Una storia tira l’altra, come scrive Clarissa Pinkola Estes: i racconti si fanno domanda e risposta e poi ancora domanda….
§§
cara Annamaria, tu sei sempre così gentile che io mi imbarazzo: ti prometto che cercherò di essere il più possibile all’altezza delle tue parole. Ti ringrazio tanto.
§§
Feriteinvisibili: credo si tratti soltanto di pazienza :)))
§§
Griza,Yetbutaname, Lucy, Gretsch, Sgnapiiiis, spero di non farvi venire la malinconia, eh :).
Sennò sgridatemi, per favore.
A tutti un grandissimo saluto e un grazie, di cuore.
§§
Un saluto augurale a Dadea.
§§
Un grazie a RepPeaks, a cui faccio arrivare anche i miei, di saluti
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
Caro Claudio, mi emoziona leggerti qui e non so staccare le tue parole dallo sguardo pensante e puntuale con cui accompagnavi le mie lezioni.
Io, come allora, non ho tutte le risposte: solo piccole approssimazioni (e corteggiamenti) verso temi tanto grandi da comprendere ogni domanda e ogni possibile strada.
Certo, il visibile è un campo fertile: si anima se lo sguardo che lo sfiora sa coglierne le sfumature, e lo induce, senza sforzi, a dirsi e a darsi.
Con affetto.
z
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multiversum ha detto:
lasciar andare il tempo e le sue ombre, lasciarli andare, i figli,
lasciarsi andare….
quant’è difficile
il consueto abbraccio, più caldo
l.
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sistercesy ha detto:
bellissima storia,
grazie per l’emozione,
cesy
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cicabu ha detto:
bellissima e commovente questa storia..vado via con un groppo in gola…^^
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riccionascosto ha detto:
E’ bello che Palmira cerchi (trovi?) i figli nella luce (sì, anche dove il buio sembrava un po’ più chiaro), contrastando l’ombra che entrava per la serratura e abbassava il fuoco.
E se la torre, come dici, c’è, vuol dire che il vecchio, con le sue carte, il vino, i conti sul libretto, ha ancora orecchie e cuore per la moglie.
Non è sola, Palmira, e non ha solo ricordi e gesti e oggetti a farle compagnia. Anche la luce.
(Quanto ai bacilli, che come sai condividiamo, credo ci facciano compagnia anch’essi, a loro modo. Fastidiosa, si sa, ma a volte ci costringe a un riposo e a una pausa che altrimenti non faremmo )
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Deli ha detto:
è tenerissima questa Palmira. Che i figli lontani non li vuole controllare no. Desidera che il suo sguardo ne abbia cura. Come la capisco :-)
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birambai ha detto:
Le ho conosciute le mamme così, le Mater mediterranee così. E pure la finestrella con la sedia accanto ho conosciuto. Che bello.
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HannaSchygulla ha detto:
Ci si prepara al distacco, ma in realtà non si è mai pronti. Ci si rifugia nei piccoli gesti di sempre per esorcizzare l’assenza. E si cerca un chiarore nel buio, dove far indugiare lo sguardo e riposare il cuore.
Splendido
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linodigianni ha detto:
hanno chiesto a un grande intellettuale cosmopolita come John Berger, quali scrittori italiani ama: e lui tra Leopardi, Calvino e pochissimi altri, ha messo Gianni Celati, che tu da sempre consideri molto. Come si dice in ferrarese/mantovano: Diavolo d’una donna, ci avevi preso!
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stepa ha detto:
storie a grappoli d’emozioni, istantanee in flash che creano il continuum di un ricordo mai vissuto, nei volti e nel singolo gesto, i rumori della vita che scorrono lenti nei respiri, nei rimpianti tenuti nascosti dove il buio si fa più chiaro…
abbraccio.
s.
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cronomoto ha detto:
le cose restano e sì, sono i segni della cura che portano, che hanno portato per tanti anni, a fare compagnia.
Ma alla Palmira, come a noi, questo non basta. (Suo marito credo le sia distante solo apparentemente: la torre c’è!)
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Grizabella1 ha detto:
Buona domenica, Zena cara :)
Sara.
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madeinfranca ha detto:
*…gesti che ancora si perpetuano,
e tu che li perpetui con le tue parole…
…e mi vergogno un po’ di avere ,io,
Skype…
bisousàlasustà!
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Atward ha detto:
Madonne, le ha chiamate oggi a pranzo A., le mogli e le mamme. Luce di mariti e figli.
Grazie per questa giornata, Zena, a te e a Lino, anche da Daniela.
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arden ha detto:
Che cosa bellissima, Zena!
L’idea della torre, di questo inseguire i figli per quanto può la vista di lontano è un’immagine che anch’io ho avuto a mio modo in mente:
Pure la madre, allora, come il vecchio
era rimasta indietro sulla soglia,
anche se poi di finestra in finestra
fino all’alto solaio e sopra il tetto,
protesa in lungo volo di sospiri
lo cercava in cammino lungo gli anni.
Ma la strada del figlio si smarriva
nel fondo, polverosa, oltre gli estremi
muretti dei cortili, oltre i fossati
ed i campi, oltre gli eterni ritorni
delle lune e dei soli all’orizzonte.
La madre non scendeva più da basso:
fatta più lieve ormai del suo sospiro,
viveva in mezzo a tortore e farfalle.
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
cara Leti, lasciar andare, lasciarsi andare…Due crocevia cui non si scappa. E’ il primo il più difficile per me. Un abbraccio
§§
cara Cesy: spero sia un’emozione che sappia di buona. Buona notte:) e grazie per ogni tuo passaggio.
§§
no, cara Cica, niente magone: dobbiamo pensare a tutte le possibili torrette alternative:)… Tanti libri impilati fanno già una discreta torretta, non credi? Un saluto grande.
§§
Sì, Riccio, anche una luce può fare compagnia, insieme all’idea che possa esistere, se non una soluzione, almeno un alleggerimento, un gesto che vada nella direzione di un ben essere…
§§
proprio così, Deli: non controllo, ma quieta, silenziosa vicinanza nella lontananza. Un abbraccio, cara amica.
§§
Birambai, lo sai che da piccola mi spostavo sempre con una seggiolina al seguito. Me la trascinavo ovunque, era di legno chiaro, con l’impagliatura. Che fosse vocazione?
§§
cara Hanna, sono molto d’accordo. A nessun distacco ci si sente pronti: magari lo si precorre col pensiero, perchè la separazione non ci colga impreparati, ma ogni volta c’è una garza che si sfalda.
Un saluto.
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
caro Lino, ne parlavo tempo fa anche con Remo: per me Celati è un grande. In Narratori delle pianure i racconti sono così scarni ed essenziali che ogni parola sembra a rilievo, pur restando in bianco e nero. Ciau, neh :)
§§
caro Stepa, sono incantata dalla lentezza, in questo periodo. Mi piacerebbe saperla raccontare. Trovare il modo di dirne la cadenza, imitarne i gesti. Ciao, con affetto.
§§
Infatti, Crono, non ci basta: si vorrebbe che le cose tradissero un segreto, lasciassero cadere parole capaci di spiegare… Per tutta la vita cerchiamo il doppio fondo. O l’altra faccia della luna, che poi, forse, è proprio la stessa cosa. Ti saluto tanto.
§§
cara Grizabella, il tuo augurio ha trovato accoglienza. Io lo rilancio, perchè la settimana appena iniziata sia morbida e gentile. Ciao :)
§§
cara Madeinfranca: comincio a pensare che il telefono sia davvero un immenso regalo. Mia nonna lo accarezza con gli occhi: tutta riconoscenza:)
Un abbraccio grande assai.
§§
Dado, la casa è rimasta piena di colori:) Questa è cosa molto bella, vero? A presto. Un abbraccio a casa, a voi :)
§§
cara Arden, i tuoi versi sono di una umanità così bella e dolente da togliere il fiato. Me la vedo questa madre asserragliata contro il cielo, dalla parte di tortore e farfalle: con la loro stessa fragilità. Un abbraccio.
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ubaldoriccobono ha detto:
Queste madri, delle quali si parla poco e sono grandi. Il tuo post, molto emozionante, rievoca in me memorie sopite, di quando, ritornando da Torino, ero ospite “a casa mia” e ri-trovavo le mie cose in ordine, come allora e mi sorprendevo a recuperare “concretamente” il passato. Grazie, Zena. Buona settimana.
U.
Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle.
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proteus2000 ha detto:
Cara Zena cara…
Ecco perché tutto va in malora in casa mia. Nessuno lascia qualcosa di suo qui. O forse ho buttato via tutto ciò che non mi apparteneva.
Ma anch’io la vorrei, una torre. Alta, con una sola feritoia stretta (per ferire e non essere ferito).
Sono abbastanza patetico? :(
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cioccolatamara ha detto:
Una torre da cui vedere le case dei figli (e delle figlie) che partono… come frecce viventi…
Un’immagine quella della torre da portarsi dentro, una torre da costruire nel nostro cuore e nella nostra mente per i momenti in cui la nostalgia inizia a fare male.
un abbraccio
c.
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
caro Ubaldo, verrebbe voglia di descriverle le mani delle madri: le mie sanno fare poche cose, perchè lavorano di polpastrello, sopprattutto. (Da piccola mi rifiutavo di pronunciare la parola ‘polpastrello’ per la sua somiglianza con ‘pipistrello’: l’ho sempre storpiata, in favore di ‘polpastrini’ :))
le mani delle madri hanno invece molti saperi: s’induriscono ma conservano la capacità di carezzare.
Ricordi, in Conversazione in Sicilia, come il padre di Sivestro si perde nel sogno di mani morbide? Al suo ritorno ritroverà le mani della vecchia moglie, che gli laverà i piedi con evangelica dedizione…
§§
caro Proteus, certo, abbiamo tutti una torretta, stazione d’osservazione sulla vita. Lasciamo, però, che la feritoia serva unicamente per guardare ‘tortore’ e ‘farfalle’, quelle richiamate da Arden, che, pascolianamente e montalianamente, sono forse i messaggi leggeri di un altrove.
§§
cara C., sì: una torretta invisibile per prevenire ogni lacerazione, simile a quella che le voci amiche sanno creare. Abbraccio ricambiato:)
§§§§§§§§§§§§§§§§§
A tutti, un saluto grande
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irazoqui ha detto:
parole per l’inverno lungo. cara zena, ma quando si cominciò a dire MI sposo? o forse, più che quando, bisognerebbe chiedersi dove. forse in città. era così sapiente,invece, quel “se sposo”.
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
caro Iraz, che sai cogliere le sfumature più segrete, nascoste apposta per apparire poco:))
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Gardenia ha detto:
Dove sei nebbiolina?
g*
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PrimoCasalini ha detto:
Questo tenersi dentro le cose era necessitato dai tempi e dai modi. Ma si indossava, diveniva una scelta. Si creava uno spazio interiore forse non consapevole ma certamente esistente. Perché, anche oggi, certe cose, a dirle si sporcano. Ci pentiamo di averle dette un minuto dopo, e non per indiscrezione. C’è un paradosso: proprio chi riesce ad avere la forza di non dirsi del tutto, è quello che ha più cose da dire e che le dice meglio. Il cambiamento c’è stato, ma in gran parte è solo apparenza: di uno spazio interiore tutto nostro e di un piccolo territorio esteriore (che può essere anche solo una sedia, sempre quella) abbiamo bisogno oggi come ieri.
grazie Zena e saludos
Solimano
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dodo712 ha detto:
Eh già. Resta qualcosa appiccicato alle cose. Ricordi ed emozioni le incrostano e col tempo ne diventano parte.
Bellissimo come sempre.
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Gardenia ha detto:
Grazie, Zena, sei stata gentilissima.
Bacio. Grazia*
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amfortas ha detto:
Sai, non mi aspettavo di leggere a quest’ora una cosa così profonda, perciò ora rielaboro con calma.
Intanto mi sono commosso un po’ e non so se è un male.
Ciao.
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Grizabella1 ha detto:
Passo a lasciare un saluto affettuoso :)
Sara.
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elisnelpaese ha detto:
Sai che alla primavera mancano solo (solo?) due mesi :)))
Un abbraccio stretto.
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mezzaluna ha detto:
Ciao carissima…ecco, adesso tocca a me correre in questi giorni! e non ho ancora avuto il tempo di leggerti :((((
Intanto un saluto e l’abbraccio affettuoso di sempre!
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caprettetibetane ha detto:
Io ho la mia torre… la mia casetta di legno alta sul mare come nido di gabbiani, la panchina davanti dove di notte posso vedere le navi all’orizzonte.
Navi da crociera, piene di luci e… immagino… di gente festante, navi portacontainer di cui …vedo… la timoneria, al buio, con la traccia radar che gira sullo schermo, numeri e luci colorate.
E mi ricordo le notti al timone, sotto le stelle, con la sola luce verdastra della bussola e la bottiglia di vino…
Ora sono un uomo di terra, broccoli e fave.
Paolo
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stepa ha detto:
a volte, quando una sottile malinconia si appende al ricordo di ciò ch’è stato, vengo a rileggerti, amica mia. ed ecco che il cuore addolcisce, come quando stanchi si torna a casa la sera.
grazie.
s.
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Amici cari, solo una cosa, e pure piccola, per stasera.
Questo voglio dirvi: vi leggo e vi sento sempre preziosi, assolutamente necessari.
Grazie.
z.
Un saluto
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flaviablog ha detto:
Sì, le cose “tengono” se le si accudisce, che hanno anche loro le loro belle esigenze del cuore.
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habanera2 ha detto:
Sai quanto amo i tuoi ritratti di donna, Zena cara.
Ecco un’altra magia scaturita dalla tua penna, un’altra storia che non si dimentica.
L’assenza dei figli pesa sul cuore delle madri ma anche i padri la sentono e ne soffrono, magari in silenzio.
Ti ringrazio e ti abbraccio forte
H.
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Gardenia ha detto:
Bacionotte, Zena carissima, g*
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cicabu ha detto:
Cia..buona settimana…^^
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
Dove sono, cara Gardenia? Qui, purtroppo, assai poco: lavori in corso, cura a tempo pieno, distribuita a diverse fasce d’età portano via da qui :) Ma quando si torna è come ritrovarsi a casa :)) Un abbraccio
§§
caro Primo, quel ‘tenersi dentro’ fatto di riservatezza e pudore, l’ho conosciuto da vicino. Conteneva anche tanta sofferenza, un non avere le parole per dirsi, un non saper dare nome ai sentimenti che si provavano. E, al fondo, una paura di disturbare le vite degli altri. Mia nonna è stata una donna così; la generazione delle mie madri e delle mie zie ha invece cominciato a trovare/provare le parole del ‘dentro’, preservando però la confidenza con quegli spazi interiori di cui tu parli. Un saluto grande.
§§
caro Dodo, sì: le cose sono adesive… Richiamano la capacità del vischio:) Un saluto d’affetto.
§§
Amfortas…verrebbe da riconiare un vecchio slogan: commozione è partecipazione:)) A presto, con un saluto
§§
cara Grizabella, mi prendo il saluto del passaggio e rilancio con affetto.
§§
Elis, carissima, ma come quest’anno aspetto primavera, con tute le speranze stese ad asciugare, comprese quelle di viaggi e spostamenti :). Ti mando tanti pensieri belli.
§§
Lunetta, cara, ma io ti aspetto, senza fretta. Non correre…
§§
Paolo delle caprette, carissimo…Io penso che la tua casetta sia più di una torre: è un anticipo di paradiso&poesia. Un abbraccio
§§
Stepa, amico caro, io ti ‘trovo’ sempre.
§§
Sì Flavia- Rossana, hai scuramente ragione: la vicendevolezza della cura… le cose hanno bisogno del nostro sguardo, della nostra protezione e del dono del tempo per poter continuare a parlarci.
Un saluto sorridente
§§
cara, molto cara Habanera, mi pare di vivere dentro a un rammendo che ogni giorno apre smagliature nuove. Riparare interiormente le assenze, le distanze, le mancanze mi sembra davvero il lavoro sotto-traccia della vita. Ti abbraccio.
§§
Un saluto cara Gardenia, un saluto cara Cicabu e grazie, come ogni volta.
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§§§§§§§§§§§§§§§
Rileggo i miei commenti ad opere confecto:)))
Signuuuur, c’è una catena di ‘caro’, ‘cara’ e superlativi assortiti…: ecco, vorrei dire che questa ‘caritudine’ diffusa non è di maniera. In queste case di parole ci sono modi del ‘consentire’ che rendono ‘familiares’ le persone, vicine e dialoganti. Care, insomma.
z
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LivioCiccione ha detto:
hai fatto i confetti? buoni!
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Deli ha detto:
smuacchete entre soins à tout le monde :-)
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mezzaluna ha detto:
Ecco…finalmente ho letto. E mi si è formato un nodo in gola denso come certa nebbia su da te! E’ bellissimo sentirti vivere tra le pagine!
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vera.stazioncina ha detto:
essì…lasciar andare…
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Grizabella1 ha detto:
Passo a lasciarti un sorriso :)
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pispa ha detto:
Palmira è la nostalgia e anche la madre, come la capisco.
non poteva contare su molto, viaggi, telefono o cellulare.. meglio una sedia in cima al cielo.
che tenerezza ‘sta Palmira :)
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triana ha detto:
Un’altra piccola, tenera meraviglia, cara, carissima Zena.
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