La bambina sempre sperava andasse qualcun altro.
Col fazzoletto stretto a quattro cocche, a far fagotto per maglie e pantaloni.
Le pareva non fosse cosa bella portare i panni a rammendare.
Aveva un po’ vergogna: quasi il libretto della spesa, le voci sopra tono nella sera, le pecche e le mancanze di tutta la sua casa si fossero annidate nella tarma di un golfino, in un vuoto di lana all’improvviso, dai bordi malcerti e già stopposi.
La bambina era in soggezione già a suonare il campanello.
La porta aveva la targhetta a specchio e un occhio, un occhio fondo e indagatore, un occhio di dio, azzurro e minaccioso come le nubi del giudizio.
La indovinava, la vecchia, dietro quel vetrino e si sapeva dentro quella lente: spiata e sospesa in un limbo di zerbino.
Poi la porta si apriva con lo scatto e c’era il corridoio silenzioso a scacchi bianchi e neri di graniglia, in fondo la tavola, dove sciorinare strappi e sgarbi di famiglia.
La vecchia col collo di tacchino tastava stoffa e lana con mani sapienti e un po’ nervose.
Passava i panni ad uno ad uno e, dopo la rivelazione, li ripiegava con una confidenza mesta, quasi soffrisse nel vederli già segnati.
Si proverà, diceva sospirando, dall’alto di un responso incerto, fatto di sopracciglia appena un poco alzate.
La bambina usciva come dalla confessione, senza sapere se c’era salvazione.
A giorni ci sarebbe stato il rito del ritorno, i soldi accartocciati nella tasca, il grazie da dire tante volte e la prova finale, che la vecchia preparava con gran cura, i panni ad uno ad uno, ben distesi.
Lo vedi, tu, il rammendo?
Bisognava guardare e riguardare: davvero non si vedeva niente, perché la vecchia, i fili, li tesseva con arte di magia e quasi veniva quel pensiero: che il verdetto d’andata fosse incerto per rendere più dolce poi il trionfo.
E ci fu quel giorno.
I passi nel corridoio un po’ appannati, forse di polvere, forse di aria chiusa: la vecchia più curva, davanti a fare strada.
I panni messi in fila per la ripassata, ma punti e nodi tutti in evidenza, per mano di una bimba capricciosa che arriccia e stringe e gioca con il filo.
Lo vedi, tu, il rammendo?
No, disse la bambina.
E si sentì grande, senza più vergogna: immensa, nella stanza in ombra.
barchedicarta ha detto:
che bella zena
le tue storie assomigliano alle favole
da bambina andava dalla rosi, un giorno rosi nel tagliare la stoffa di un vestito di una signora delicata la forbice scivolò e fece un taglio, io e lei nel segreto, siamo andate con il treno dalla rammendatrice che fece un capolavoro.
si vede il rammendo?
no risposi anch’io piccola sartina in erba
grazie zena sempre rimuovi ricordi in me, che rendono meno dolore a questa gobba nella schiena e alla gamba di legno presa da una sciatica
abbraccio forte
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amfortas ha detto:
Anch’io trovo spesso molto di me nei tuoi racconti. In questo caso mi hai riportato ai miei 9-10 anni quando andavo a trovare la nonna, che aveva un negozietto di vestiti e faceva pure la sartina.
Beh, grazie.
Ciao.
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varasca ha detto:
non si sa chi guardare nei tuoi quadri, se l’aura di una sapienza perduta o il bagliore di un’innocenza timorosa, tanto intensi sono i tratti. così spazzi via i dubbi con questa bella coscienza lucente :-)
che bello!
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
cara Cristina, le esperienze di ago e di filo restano impresse. Io tuttora non so reggere un ago, ma sono vissuta in una famiglia di donne incredibilmente brave, in equa sospensione fra ricamo taglio e cucitura. E’ stata la scuola più importante che ho frequentato, una scuola di cui ero la colonna sonora, la voce leggente, anche quando ero piccola piccola:)
Ciao, Cristina: grazie.
§§
Amfortas, non sai quanto mi piaccia questa cosa: è bello seminare pezzetti di specchio ed è bello che qualcuno regali il tempo di una sosta, specie ora, in tempi di blog-stanchezza che fanno dimenticare a tanti quanto sia importante questo modo di comunicare. Serve a riconoscersi, a distanza, in modo trasversale. Ti ringrazio.
§§
Varasca, che bella cosa mi hai scritto: l’idea era proprio quella di creare nel raccontino una tensione sotterranea e una sorta di passaggio che porta alla ‘coscienza lucente’ , ma non mi sarebbe mai venuta un’espressione così intensa e felice. Grazie, sai:)
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arden ha detto:
È un bene, infine, perdere la sbadata crudeltà dell’innocenza, far entrare nel raggio della propria attenzione gli altri oltre che se stessi, e acquistare la gentilezza, la capacità di vedere la debolezza altrui, e la volontà di non ferirla.
Bellissimo, Zena. Come sempre si vede, si annusa, si tocca, si sente ogni cosa delle scene e dei sentimenti che evochi nella tua scrittura.
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Atward ha detto:
Finalmente!!! Con Internet explorer non riesco a commentare, con Firefox sì.
I tuoi racconti hanno il potere di far rievocare. Ricordo una suora dalle mani d’oro. Tutto il paese andava da lei a far rammendare, era brava e costava poco, a volte anche solo una sporta di patate
Grazie Zena.
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linodigianni ha detto:
si, si..c’è dello shining, della luccicanza nelle cose che scrivi..brava come sempre, nella regia del film
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Senza ha detto:
Il filo che usi per rammendare la memoria è sottile, perfetto per indurci a rammentare a nostra volta le sensazioni lasciate lì, scampoli alla rinfusa, nella naftalina, in attesa di essere rivissute.
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cicabu ha detto:
Mi ci ritrovo in molti tuoi racconti.. mi riportano indietro nel tempo …nei miei ricordi c’è anche una rammendatrice di calze di nailon..come faceva non so ma la smagliatura spariva…
Ciao carissima..buon fine settimana…^^
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nowhereman56 ha detto:
Generazioni che si incontrano, forse si specchiano. Venire qui è sempre una sosta riparatrice. Anche senza rammendi apparenti. Un saluto cara Z. (m.)
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Gardenia ha detto:
Sei incantevole
g*
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aitan ha detto:
Un filo, una trama che segnano lo scorrere del tempo.
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nuccina1 ha detto:
i tuoi racconti hanno questo di bello: è facile riconoscere il nostro vissuto dentro storie che sono tue ma sono anche nostre in altri luoghi o in altri tempi.
Se come uno specchio in cui tu stessi ti specchi ma anche io a reazione continua.Mi hai fatto ricordare cose con questo tuo pezzo che erano rintanate nella mia memoria.Grazie
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sgnapisvirgola ha detto:
Sempre un incanto leggerti.
Grazie:)
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quellachenonsei ha detto:
Lo sai usare bene tu quell’ago che unisce i fili di vite lontane nel tempo e nello spazio.
Un abbraccio a voi,
m.
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bortula ha detto:
Immagino polpastrelli bucherellati come i miei da piccola. Un <i>ahi!</i> ogni tanto in mezzo al respiro regolare. E’ la prima volta che entro nel tuo blogzs, tempo permettendo, pezzetto pezzetto, leggerò anche il resto.
ciao
Bortula
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
cara Arden, tu leggi i cuori, sempre. E sotto i tuoi occhi i miei raccontini diventano trasparenti. Grazie, amica cara.
§§
Caro Dado, ma che supplizio la tecnologia, eh:) Quando qualcosa non funziona, io non riesco a salvare neanche la calma: mi iperagito e non capisco NULLA.
Quanto ai ricordi, è bello sapere che sono fatti ad uncino: sono ganci a cui ciascuno appende il suo. E così abbiamo agganciato anche la suora dalle mani d’oro:) Ciao, carissimo.
§§
La luccicaaaanza saaaai è come il ventoooo :))) CIao, caro LinoAlp. Luccicanza è parola che amo tantissimo. E grazie.
§§
Senza, è proprio così: rammentare, rammendare…. rimembrare come restituire un intero, là dove i buchi della memoria hano dissestato, separato, aperto varchi bisognosi di filo. Saluto grande.
§§
Una fine rammendatrice di calze fine, cara Cicabu.
Le calze fine, noi le chiamavamo così , le calze di ‘nailon’, erano il lasciapassare per l’altra età, quella che consentiva persino due centimetri di tacco.
Le mie prime calze fine furono abbinate, dopo un conciliabolo a distanze fra zie dislocate, ad un’ultima sera dell’anno: festina, la prima festina, di cui ricordo ogni cosa…
Beh, disse mia zia Iris, occorrono le scarpine scollate.
Bene, arrivarono delle decolleté nere e di pelle intrecciata, con un’ombra di tacco. Il pomeriggio del 31. Bel-lis-si-me: tanto che le volli provare subito, così per prendere confidenza: erano le cinque…faceva buio e in cortile centrai una pozzanghera. Le scarpine furono messe ad asciugare ……nel forno. Un odore sinistro ci disse che ce ne eravamo dimenticate. Sono tragiche le scarpe arrostite…. Alla prima festina della mia vita andai con i soliti, eterni mocassini di vernice nera: da uomo:(
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PrimoCasalini ha detto:
Sono mestieri che esistono ancora, un po’ a macchia di leopardo: a Parma non c’erano ormai più ciabattini e rammendatrici, a Monza ci sono tuttora, legati, collegati, all’importo dell’esborso iniziale.
Mentre il mestiere che ha fatto mia zia per tutta la vita, la ricamatrice, non lo vedo più.
Il non dire, né manifestare con gli occhi (cosa più difficile) l’essersi accorti dei segni del degrado senile nelle persone, resiste ancora, dove c’è un tessuto connettivo di vicinanza e di frequentazione anche non amicale.
Ma rimasi sbalordito alcuni anni fa quando lessi che i giapponesi avevano fatto un programma di charter per l’esportazione dei vecchi in altri paesi, tipo Filippine. Tutto organizzato, con le condizioni al contorno studiate, niente di che… solo che… niente, proprio niente. Se la globalizzazione arriva a questo, fra un po’ sarà il caso di trovare un paesello dove infrattarsi, sperando che non ci sia il delatore.
Nella mia esperienza di quotidianità non siamo messi male… ma … ma … la Florida è piena di vecchi, vecchi yé yé, in brache corte e magliette coloratissime.
Speremm!
grazie Zena e saluti
Solimano
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colfavoredellenebbie ha detto:
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NM56, il vero rammendo è quello che non si vede:):
non è solo arte dell’ago, è arte del filo, che ha da essere sottile sottile e resistente… I racconti attorno alla tavola sono stati l’alfabetizzazione affettiva della memoria: il filo che cuce.
Un saluto e un grazie.
§§
Gardenia, molto cara: un abbraccio per dirti grazie.
§§
Sì, Aitan: il tempo va accompagnato, in controcanto: andare avanti, anche guardando indietro. Platone diceva che per darsi futuro (che è tempo che ancora non c’è) occorre riprendersi la coscienza di ciò che è stato… Un saluto grande.
§§
Nuccina, mi fa tanto piacere quello che dici. Abilità dello specchio è quella del moltiplicare… E io credo nella moltiplicazione dei pani e delle storie :))
Con affetto…
§§
Cara Sgnapis, grazie a te:) La cosa bella sta nel capirsi e nel capire, aldilà di distanze e differenze. Vero? I racconti sono strade che portano anche a questo: strade ‘frizzanti’ e pure ‘balsamiche’ :))))
§§
Cara Momi, bisognerebbe che ago e filo arrivassero a Torino e ti portassero qui: ragionevolmente, sarebbe ora, neh? A presto, dai…
§§
Benvenuta Bortula e grazie: spero proprio tu possa ritrovare la strada e ritornare; coi polpastrelli bucherellati è facile riconoscersi:))
§§
Sì, Primo, hai ragione: le ricamatrici di professione non ci sono più. Il ricamo è la pazienza del tempo. Chiede l’ investimento e insieme il regalo delle proprie ore. E’ silenzio e concentrazione. Noi viviamo nei tempi brevi, ci spazientiamo se una connessione tarda di un secondo… E c’è tanto rumore, tanto.
Grazie e un saluto.
§§
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colfavoredellenebbie ha detto:
Dimenticavo…
Buona notte buona a tutti.
z.
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Gardenia ha detto:
(domattina pensami)
grazia*
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Grizabella1 ha detto:
Delizioso. Un bacione :)
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isabel49 ha detto:
Quanti ricordi questo magico racconto? Cara Zena le calze da donna che ora se c’è un buco gettiamo via, un tempo si portavano a rammendare e ricordo in vetrina una gamba finta e sopra una calza e poi la scritta: "Si rammendano calze!" Io conosco una signora che ancora ricostruisce buchi o strappi, è una sarta molto brava e se il capo merita è una fortuna recuperarlo. Sei bravissima cara, non mi stancherò mai di ripeterlo, la tua prosa è musica.
Un caro abbraccio
annamaria
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giuba47 ha detto:
Incantata come sempre
Giulia
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hobbs ha detto:
che meraviglia.
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albafucens ha detto:
sei incredibile.. l’atmosfera e l’armonia che riesci a creare con le tue storie è davvero stupenda..
un abbraccio
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MrCounselor ha detto:
da quanto tempo non passavo… ma la sensazione di accoglienza e di "casa" è sempre la stessa… speedosorriso
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ubaldoriccobono ha detto:
Un abbraccio
U.
Amici di Pirandello, Sciascia, Empedocle.
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colfavoredellenebbie ha detto:
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cara Grazia: altroché… A vederci e a sentirci presto, cara.
§§
Cara Griza gentile, contenta che il racconto ti piaccia.
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e’ vero, Annamaria, ora viviamo nel tempo del’usa e getta. Scriveva Meneghello nel suo Libera nos a Malo che la caratteristica fondamentale degli oggetti del passato (recente) era la riparabilità. La riparabilità crea quasi un legame affettivo con le cose: è la non rinuncia, la fiducia in un ‘sodalizio’ durauro con gli oggetti, banco di prova per la fantasia dell’ ‘aggiustare’… Un verbo, quest’ultimo, che sta sparendo… Un caro saluto.
§§
Giulia-Emilia, sono così contenta quando ti trovo in queste pagine: la tua lettura mi è sempre cara. Grazie.
§§
Hobbs gentile: un grazie grande e un arrivederci di pari dimensioni.
Col sorriso.
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
Albafucens, ti ringrazio. Le tue letture sono sempre così incoraggianti che motivano a continuare. Un saluto grande.
§§
Speedo, mi hai detto una cosa bellissima. Qui la porta è sempre aperta, con lo stesso piacere di accogliere. Ricambio il sorriso.
§§
Un abbraccio a te Ubaldo: preziosissimo passaggio. Grazie!
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cristinabove ha detto:
grazie a un’amica, mi affaccio e leggo. meraviglie.
:-)
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
cara Cristina, questa tua visita mi fa molto piacere.
Grazie.
Le amicizie sono proprio zattere transitive.
Anch’io leggo spesso, in silenzio, le tue poesie, ammirata della tua umanità e del loro spessore.
A presto.
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