Il sole era così schietto che le cose recuperavano confini netti, bordi puliti, senza l’ovatta del vapore.
Si stava bene con quel caldo buono, spostato dal vento sempre un poco più in là.
I grembiuli neri non si mettevano più, sparivano in certi armadi che noi bambini aprivamo non senza sospetto, con il timore (dissimulato a fischi e cantilene) che rotolassero fuori gli oggetti delle paure, le sagome nere, che racconti di nonne e zie ritagliavano fra fornelli e macchine da cucire… Bambini con facce di pelo matto nella culla, vecchie vendicative che chiedevano croste di formaggio alla porta e guai a non accontentarle, e gatte soffione, pronte a partorire fra pile di lenzuola e a graffiare chiunque le stanasse.
Gli armadi scuri anche questo tenevano ben chiuso, assieme all’odore di carta trascolorata e di profumo carezza.
I primi giorni di vacanza rintronavano nella testa, come un’otite mal guarita; nelle orecchie, smerigliati, i suoni della casa erano voci sirena in cui piano piano navigare.
Sparivano gli oggetti della scuola come per autocombustione e restava il TEMPO.
E tempo significava abile ripartizione di pacchetti di giorni: un po’ di qua, un po’ di là, in un roteare di prestiti a parenti che si raggiungevano col cuore sospeso e la vergogna degli approcci.
Ma c’era un tempo che si spendeva nella attesa delle partenze.
Quello, sì, mi piaceva: a scadenza, ma sfilacciato, leggero di programmi, un tempo con le vestine corte.
Scatola poco segreta di questo tempo era il viale, con bambini ad ogni casa, a spiare l’uscita del vicino, nelle ore del caldo, alibi per insistere “Vado fuori anch’io”. A giocare. E la pelle delle gambe faceva zviiiiig scollandosi dalla Frau, dove ogni giorno leggevo di Ercoli, Idre e Ninfe assortite, e scappavo fuori.
Il sonno era lasciato al resto della casa, che alle due si sgonfiava. Niente lavori, niente rumori, solo l’odore della conserva, a memoria di un ragù che aveva lasciato soddisfatta la tavola.
Le fughe si consumano sempre nel silenzio e si portano dietro il profumo di un luogo.
All’uscita il caldo ti prendeva chiaro, come una persona amica, con l’invadenza di un abbraccio che gratta un po’ la pelle.
“Dai, che andiamo alla stazione-porto”.
La repubblica delle bambine – per un sotterraneo sincronizzato tam tam – era già lì, con la sua gerarchia di capi e la sua mappa di luoghi.
I maschi del viale, sogguardati e respinti di giorno, venivano buoni solo verso sera, quando, tutto rilavato, il mondo bambino tornava giù in strada, per altri giochi più quieti.
E poi, chi li voleva i maschi? C’era quello lungo che diceva a tutte “mutanda del mio cuore” e io scappavo in casa rabbiosa dalla ziasarta: “le voglie lunghe, le sottane, le voglio lunghe….”
Alla stazione-porto i maschi non ci venivano.
Dentro il magazzino, su scale di cassette per cipolle, in un leggero svolettare di bucce residue d’oro rosso, viveva, ben organizzato, il condominio delle bambine.
Orma di casa, fetta di casa, in cui recitare il teatro dei ruoli.
Su e giù , fra appartamenti ampi e stretti, panoramici ed oscuri, secondo regole di potere e di agilità: le grandi comandavano e le piccole ubbidivano….
Le grandi davano la trama del gioco.
Quel giorno la bionda, forte dei suoi undici anni, aveva l’ inquietudine di chi le ha appena prese e si muoveva sui suoi sandali a strisce marrone- modello S. Francesco, come se le gambe lunghe fossero molle a scatto.
Io, nonostante i sandali, la rispettavo molto, e un po’ la temevo, per certe storie che mi raccontava, di vecchie col pelo matto in faccia che uscivano di sera a portar via i bambini,con la scusa di guardare i gerani delle case.
“La prova, – cominciò ad urlare, davanti alla stazione porto, col suo bel sagrato lastricato da cipolle marce- ci vuole la prova per entrare qui dentro. Le piccole devono prendere una lucertola e staccarle la coda”.
Le altre grandi ridevano e si davano delle arie.
Le piccole non fiatarono, per darsi un contegno, anzi corsero via, verso il muretto miniera di lucertole.
Io stavo lì, a darmi della stupida per essere uscita di casa: avrei potuto finire la storia di Io, trasformata in mucca, e invece dovevo prendere le lucertole, che, fra l’altro, mi erano anche simpatiche.
Non erano come i rospi, loro, che, se facevano la pipì negli occhi – diceva mia nonna –facevano diventar cieca la gente.
Ma come facevano poi a centrare proprio gli occhi della gente?
Non mi muovevo.
Davanti agli occhi vedevo la pancia giallo- molliccia delle lucertole e la coda a tergicristallo e le zampe.
Sicuramente avevano gli artigli e graffiavano e forse la pipì la facevano anche loro.
“Dai, muoviti fifona che qui dentro non ci vieni più…”
Le grandi mi parevano odiose, là con le gambe a penzoloni dalla finestra – ingresso per il paradiso.
“Stateci voi, lì dentro, che fa schifo e puzza. Non ci vengo, io. Tanto domani vado via. OCCHI DI MELANZANAAA!!”
E scappai, lasciando nella scia l’offesa più brutta.
Visto che li avevo, li odiavo gli occhi scuri, e, segretamente, continuavo a guardare in alto, appena potevo. Se a fissare il sole ci si abbronza, a fissare l’azzurro qualcosa dovrà pur succedere.
Un raccontino vintage, per dare aria al baule del blog…Buon giorno, a tutti.z
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Buon giorno a te.Mi sono rituffata nell'aria magica delle vacanze di una volta. Andavamo nel Chianti, ospiti di una zia. Una grande casa dai soffitti alti abitati da ragni giganteschi con lunghe zampe sottili. Non riuscivo a fare amicizia con loro, che sembravano rivendicare un diritto di stare lì ben più solido del mio. Ero solo una piccola ospite umana rumorosa. Avevo il sospetto che fosse la zia a farmeli trovare, sempre più numerosi…Era una vacanza di sole donne: mia sorella, mia nonna, mia madre ed io. Poi, finalmente, arrivava mio padre, in macchina, e per me iniziava il "Viaggio"… ma questa è un'altra storia.Ma ti ho rubato tempo e spazio mentre avrei voluto soffermarmi sull'ultima frase, che è un racconto a sé.Un abbraccioP
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Delizioso racconto di vacanze infantili e lontane dal nostro mondo frenetico. Penso con un po' di tristezza ai piccoli alunni della mia scuola che, appena finite le lezioni, sono stati trapiantati al campo estivo, tra giochi, piscina gonfiabile e panini per merenda. Mi viene un po' di malinconia, guardandoli dall'ufficio nel giardino della scuola. Capisco gli impegni di lavoro dei genitori, ma è tanto triste pensare che non abbiano una bella vacanza in campagna o in montagna, dai nonni o da qualche simpatica zia. Dovranno aspettare la canicola di agosto che si porterà dietro, appiccicose di creme solari, le ferie dei genitori, i quali forse avranno solo voglia di stare sdraiati al sole senza pensare a niente e avranno scelto un villaggio vacanze nel quale affidare i bambini agli animatori. Il tuo racconto per quelli della nostra età almeno profuma di dolce rimpianto, gli adulti di domani non si potranno permettere nemmeno quello. Buona giornata, Annarita
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Mentre in casa i grandi andavano a fare il “punsìn”, io e mio fratello si sgattaiolava fuori (quanto scaldava quel sole!), prima sul viale, poi via ognuno con gli amici propri e si andava al canale a nuotare, prima che arrivasse il tempo della vacanzina … ma accipicchia, quegli occhi melanzana che potevano diventare azzurri guardando il cielo, beh, è proprio una di quelle chiuse da segnarsi.Ciao, Zena, a presto.
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(un baule fatto con ottimo legno e perfette finiture, se le cose riposte si conservano belle fresche, col profumo di buono…):-)
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io invece aspettavo le vacanze perchè passavano tante famiglie nella mia casa dalle stanze tante come il vaticano, venivano da milano treviso torino leumann lissone (per andare al mare da noi si pagava poco di pensione ché sottomarina o rosolina mare erano care) c'erano ragazzi della mia età con i quali si andava a scoprire il mondo soffitta il mondo dell'amore delle cotte del mare delle partite a carte nelle lunghe notti ché tanto non ero in pericolo ero nel corridoio rosso della mia casa del sole…che bene che scrivi Zena mi si apre il cuore venir qui e ora che è arrivato il tempo del caldo io corro fuori a veder se è arrivata la macchina di Luciana lei era la mia maestrina quando giocavamo a fare la scuola e io appena in vacanza ero felice perchè lei mi metteva tutti dieci nel libro di lettura dove avevo parecchi sei (non sono mai stata tanto brava a scuola) ma lei era la mia maestra preferita…grazie sempre caracomplimenti ancorae la storia continuail baule nasconde i mille mondi di Zena
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Un baule grondante di ricordi che prendono luce con i tuoi affreschi di parole. La semplicità dell'epoca in cui si vivevano le vacanze accontentandosi di poco.splendido e magico il tuo narrareaffettuosamenteannamaria
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Una delizia di racconto. Bacione,S.
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Sarà pure vintage, ma risuona fresco e luminoso nella testa del lettore.Mi ha impressionato questo nonnismo cameratesco in versione femminile.Il finale è una vera delizia. Anche se a me piacciono molto gli occhi neri (ma non li chiamerei mai occhi di melanzana, che è l'unico frutto della terra che non mangio…, e sapessi le delusioni degli amici che mi invitano a cena con pentoloni di parmigiane, aubergine a polpetta, mulignane sott'uoglie e berenjenas fritas)
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"…vecchie vendicative che chiedevano croste di formaggio alla porta e guai a non accontentarle…"In Toscana le chiamano "Le Cesarine" non ho mai saputo perché, ma lo sa bene Paolo, ché Luca la usava come arma letale quando non voleva ubbidire!!Ancora una volta i tuoi racconti hanno il profumo delle cose buone; sono veri microcosmi all'interno dei quali la vita si dipana come una matassa che non ha più nodi, intrighi nascosti o segreti.E' come scivolare nella casetta del cappellaio matto, e c'è pure il Tempomanovrato dalla Bionda, vera regina di cuori, e Alice che per una volta non crede alle meraviglie e si sottrae ai trabocchetti della Regina Melanzana con l'uso furbo della parola giusta, che sempre soccorre.Bellissima storia, da raccontare.:)))
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credo che ci sia l'azzurro nei tuoi occhi di melanzana, forse non lo sai, ma è cosìdeliziosamente delicatafelicidadLunaa
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§§cara Hanna, le vacanze sono un capitolo bellissimo dell'infanzia: credo che siano realmente possibili solo allora. Per il distacco e l'ingresso in altri mondi. Quando andavo dagli zii, nella casa vecchia sul canale, dormivo nella stanza in fondo al corridoio, vicino al bagno: non era proprio una stanza da letto, oserei dire che trattavasi di stanza adibita alla nobile conservazione dei salami, in diversi periodi dell'anno… Ma era una stanza immensa e fresca: prima di raggiungerla, la sera, c'era tutto lo spazio per la paura e per i sogni. Bellissimo!§§cara Annarita, io sono l'altra faccia del Grest della piccola di casa:)) Nel senso che, quando non è là, è qua… Noi si è fortunati perchè è una struttura ben funzionante, curata e accogliente: per i genitori, l'estate è un momento non facile da gestire, se si lavora in due…§§caro Atward, io lo odiavo il punsin. Facevo finta di dormire su un fianco, con il libro aperto dalla parte opposta della porta, a terra. Poi la Rosa miamamma se ne è accorta e ha ceduto, così ho potuto leggere in libertà nella frau dell'ingresso: il luogo più fresco del mondo: lo giuro.La vecchia frau, trasferita in Rodiana, ha ceduto solo quest'anno: ma non abbiamo avuto cuore di gettarla…Attende amorevoli reastauri (come tutte le cose belle e fragili della vita).
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§§cara marosit, è il mio sogno che le parole restino a lunga cessione di senso, nel tempo e facciano come le conchiglie: si arricchiscano dentro e fuori, vuoi di vita propria, vuoi delle tracce dei fondali cui appartengono.(un abbraccio)§§Ah Cri delle Barche, quanto mi piacerebbe averla vista quella casa vaticano, piena di stanze e di porte, e quella soffitta, poi…dai, raccontacele, come se tu facessi i pensierini per la tua maestrina delle vacanze… Un abbraccio, grande.§§cara Isabel, contenta che questo baule non ti abbia stancato: qui ci sono solo racconti col fiato corto, e qualche storia sghemba, o un pensiero veloce di passaggio, secondo l'umore del tempo. grazie, dunque, una volta di più…e un carissimo saluto.
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§§cara Sara-grizabella, un saluto caloroso e … accaldato: mi auguro che i tuoi luoghi siano più gentili di questa bassa che oggi, davvero, toglie il fiato. Ma i vecchi dicono: sarà mica una novità, neh….e zittiscono ogni lamentazione, nel nome della pazienza.§§Aitan, il discorso delle melanzane va ripreso in modo serio ed approfondito… Pensale a fettine sottili sottili, dopo qualche ora passata in compagnia con il sale di Cervia, e poi asciugate e scottate un attimo sulla griglia, giusto per colorirle un po', infine animate con una fetta di speck o di bresaola, appena arricchita da un caprino fresco o da un tocco di crescenza… Il tutto arrotolato e chiuso da un filo d'erba cipollina e passato in fondo per rapido intiepidimento…. pensi che potrebbero farti un po' cambiare idea? O la melanzana resta senza speranza? Ciaooooo (secondo te, cosa sto preparando per cena:))§§Elis, amica mia, tu mi hai regalato un nome che non conoscevo, e per di più toscano… Io ricordo una sola vecchietta, per altro sdentata: mi chiedevo come avrebbe fatto a rosicchiare le croste di formaggio… Mia nonna mi spiegò quanto può fare una crosta tagliata a pezzetti dentro un minestrone: tutto sapore aggiunto:)))Ciao, carissima.§§cara Lunaa, grazie, grazie. Molto gradita la tua visita ed altrettanto la tua gentilezza. A presto.
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