• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

Archivi Mensili: settembre 2010

Doreàn

25 sabato Set 2010

Posted by colfavoredellenebbie in effetti di lettura

≈ 23 commenti

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Luisito Bianchi

Ci sono parole che accompagno, su cui mi piace ragionare in termini di linguaggio o struttura.
E ci sono parole che mi accompagnano: le lascio percolare dentro la mia vita, perché si insinuino piano piano e mi aiutino a dare direzione ad intuizioni monche, risvegliate dal loro messaggio.
E’ quello che mi sta accadendo con il più recente libro di don Luisito Bianchi, Quando si pensa con i piedi e un cane ti taglia la strada. Un libro-testamento spirituale che attraversa, in forma di diario, la straordinaria esperienza umana e pastorale di un uomoprete che ha scelto anche la Resistenza disarmata, la fabbrica, lo studio, l’ospedale come accoglienza e testimonianza della Parola e della sua lezione.
Leggere questo libro è come stare sui passi di una camminata pensosa dentro un’intera esistenza. Qui da noi, i grandi vecchi sono soliti raccontare a tavola, non nel salotto buono, oppure per strada, nelle passeggiate, quando i più piccoli si affiancano: i ricordi barattati con un po’ di compagnia, le soste per prendere fiato e saluti.
Don Luisito, “formichino” in tuta e scarpe Reebok, ci parla camminando fra campi e cavedagne (dove fa prova di omelia al mais e agli uccelli) e, insieme, dentro le date e i nodi della sua vita, con l’attenzione rivolta ad ogni incontro, perché l’incontro -dice Martin Buber- ci cambia e ci definisce.
Per questo anche un cane che taglia la strada, così festosamente disposto ad affezionarsi pure a stomaco pieno, può essere l’occasione per definire ulteriormente l’idea guida che informa e dà unità al viaggio, magari fissandola in un nome.
Doreàn chiama don Luisito il cane ricevuto in dono dall’incontro e donato ad una comunità, e doreàn dà nome all’esistenza e al ministero di don Luisito, saldando in una sola sostanza il suo essere uomo e il suo essere prete.
Doreàn significa gratuitamente, in gratuità.
Parola bellissima, questo avverbio greco, modalizzatore potente.
Gratuitamente cambia il verso e il senso di cose e azioni trasformandole in dono, esenta i rapporti da qualsiasi trattativa materiale o monetizzazione, costruisce la gioia e la responsabilità del dare e del ricevere, rende bifronte (e quindi reciprocamente sostenibile) la gratitudine.
Gratuità è fondamento della Chiesa, secondo don Luisito, fondamento da lui vissuto in prima persona, respingendo con fermezza l’istituto per il sostentamento del clero, entrato in vigore il 25 gennaio 1987.
La vita di don Luisito è infatti testimonianza di congruenza, della capacità di far vivere in armonia, a porte spalancate, tutti i livelli dell’io: il pensare, il sentire, il credere, il fare, il dire…
Ma a don Luisito non basta la sua congruenza personale, non basta l’esercizio di un carisma individuale: la gratuità richiede condivisione e coralità, una ecclesia che torni ad imparare la mulierum gratuitatem, il modo, tutto al femminile, di dare vita senza prezzo e senza ricompensa.
Mai ho sentito così vicine le parole di Gandhi: “Devi essere il cambiamento che desideri vedere nel mondo“.

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Mele vizze

19 domenica Set 2010

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 13 commenti

In questi giorni spigolosi mi tornano in mente le mele vizze.
Le ho incontrate  in un racconto*.
Sugli alberi dell’autunno, piccole e trascurate: le ho immaginate di una consistenza cedevole e silenziosa. Fredde di aria e di vento. E accese, pure. Di un sapore anticamente aspro, poi decantato in mitezza zuccherina.

“In un pic­colo spazio rotondo sul fianco della mela s’è concentrata tutta la sua dolcezza. Allora si corre da un albero all’altro, sulla terra gelata, a cogliere le mele vizze e rugose e a riem­pirsene le tasche. Soltanto pochi conoscono la dolcezza delle mele vizze.”

Da allora le ho cercate, le mele vizze, e le ho sempre tenute care, come rivelazioni ed epifanie: segno e misura di presenze che si ignorano o di imperfezioni che sanno guarire. Piccole, rotolanti mele di salvataggio.

Ce ne sarebbe bisogno, ora.

Piacerebbe averne una scorta sotto il letto, a fare tappeto e odore di verde.

Ma non è così.

C’è che è itinerante la dolcezza della vita.

Si raggruma sul fianco d’una mela, poi si distende come un tessuto liso.

Si sfilaccia, si perde via.

Occorre aspettare che riaffiori e far bastare quanto ha già dato.

Così, in certe ore della notte, quando pensieri tempi e cose diventano alte colonne, giova credere che si allenteranno al sonno e perderanno peso: magari basterà una piuma a sgranare i mattoni della torre.

Dolcezza diventa allora un giro di lenzuolo.

 

(da Sherwood Anderson, Racconti dell’Ohio)

Viserbeide 3

09 giovedì Set 2010

Posted by colfavoredellenebbie in pareti

≈ 20 commenti

La notte

Le bambine salirono su per la scaletta, fra passi di formica e salti di cornacchia, un po’ per gioco e un poco per paura, nascosta a conte e cantilene.
Le donne ancora giù, nella stanza di sotto, fra rumori di stoviglie e chiacchiere e pacchi da svolgere, in fretta.
La sera intanto si faceva spessa, come colata giù tutto d’un colpo.

La camera in alto aveva l’odore di bucato e di gomma calda, rimasta sotto il sole, di sandali che sono stati in acqua e di costumi che non hanno perso il sale.
La finestra era aperta sui rami: un quadro chiaro, quasi una lampada di buio.
Mute le bambine, già affacciate a cercare il mare, così nero e lucido, là in fondo, e con la luna sciolta nell’acqua a tremolare, in righe appena mosse.
Non c’era bisogno di parlare. Non c’era bisogno d’accendere la luce. Solo era bello respirare.

Ecco le onde che si mettono a volare, pensava quella piccolina, guardando nel giallo del lampione uno sciame di spruzzi volteggianti, pezzetti di mare alato, scuro e nervoso in aria.
Forse le onde mi vengono a trovare, per fare gli schizzi anche di notte. Porteranno le conchiglie nere…

Il grido della Diana e dell’Ughetta fu un graffio di terrore.
Uno schizzo era entrato attraverso la finestra.
La bambina l’avrebbe toccato volentieri, per trovarlo fresco di luna e d’acqua, ma sentì un fruscio, un soffio molle e peloso sulla spalla destra, vicino vicino all’orecchio. Forse anche all’occhio, che per un attimo restò tutto velato.
Sgradevole come cogliere una prugna, metterla in bocca pensando chissà quanta dolcezza e poi sentirla brusca fino dentro gli occhi.

Vennero le donne con la scopa, per cacciare il pipistrello spaurito.

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