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E’ per una vecchia passione che ho cercato ‘bastardo’ sul dizionario etimologico: sono convinta che a sbucciare le parole escano i semi, i sensi delle storie o, almeno, le direzioni per ripercorrerle.

Fra le tante accezioni, ho rubato una suggestione forte: ‘guasto’.

Forse è questo il termine  per ripensare alcuni possibili significati suggeriti dalla lettura dell’ultima opera di Remo Bassini, Bastardo posto: un libro intenso, che non abbandona, un libro dove, in forma di romanzo scuro, si racconta, appunto, il lento guastarsi della vita, l’inquinarsi delle sue ragioni e dei suoi modi, l’ammalarsi di ogni gesto quotidiano, pubblico e privato.
Lo spazio assorbe questo tralignare, ne resta permeato: effetto o causa, non è possibile dire.
Totale coincidenza, questo sì.
Bastardo posto, dunque.

E allora bisogna pensare alla provincia e alla sua notte, ai portici che corteggiano negozi chiusi, bar e vetrine opache, bisogna pensare a un manichino convitato di pietra, cui si prestano parole mute, all’umidità nebbiosa delle città del nord, quella che intacca ogni cosa, anche i pensieri: si gonfia, come un’ossessione, o s’insinua, come una vena di malinconia capace di diventare una crepa, anzi una ragnatela di crepe.
E bisogna collocare dentro questa provincia e dentro la sua notte una geografia umana che la vita sembra incaricarsi di abbassare, con lima di grana grossa, in una degenerazione progressiva: per i personaggi il dolore si trasforma in assillo che toglie la possibilità di sopravvivere, il ricordo in veleno corrosivo, il dubbio in tarlo, l’amore in un tormento chiuso nella gelosia. La frustrazione dei desideri diventa vizio e allora il potere si fa ricatto e arroganza, il silenzio connivenza, la coscienza rimorso, il segreto sospetto e ridda sotterranea di voci, mai aperte, mai chiare, sullo sfondo di una memoria pubblica che insabbia e frena.

E’ nel flusso di questi passaggi che l’esistenza mostra tutta la sua disarmata fragilità: non è cedevolezza, capacità di modellarsi ai colpi interni o esterni delle cose, ma è destino di frantumazione, sulla scia di quelle crepe che, metaforicamente, sono l’irradiazione del racconto in segmenti secchi di storie, tante quante sono le forme dell’umana vulnerabilità.

Il sasso lanciato ad incrinare il vetro è la morte di una donna, Marina Castori: una ferita, figlia del dolore, che riapre vecchie cicatrici, scoperchia dubbi irrisolti, crea connessioni nella trasversalità del male, a toccare quanto di scabroso e di disperato può incancrenirsi sotto i perbenismi di facciata.
Ed è una ferita che, soprattutto, artiglia l’anima del protagonista, Paolo Limara, in un corto circuito dell’esistenza precedente.
Sui suoi passi, il lettore entra in un presente d’angoscia, riassunto nelle parole-goccia ‘ora’ e ‘adesso’, che martellano insistenti le prime quaranta pagine del libro e ci immettono in una fenditura di tempo senza futuro, in cui il passato arriva a dosi intermittenti: una fenditura lunga cinque notti.

Remo Bassini, Bastardo posto, PERDISA POP