Il bello dell’andare a letto presto era poi quell’alzarsi dentro il buio, chiaro, nel giorno che è sul punto di arrivare: d’inverno è nebbia e latte, col caldo è odore di promessa, di madresilvia o di peonia bianca.

La bambina scendeva per le scale e si sedeva sull’ultimo gradino: le piaceva ascoltare di nascosto suo nonno che cantava dentro al forno con un filo di voce infarinata.
Cosa cantasse non si sapeva dire: c’erano angeli, in giubilo a Betlemme, e un pastore ricco di pecore contente, c’era pure un ceppo secolare e l’antico tentator, armato di furor e inique frodi, forse dentro la forte rocca, e poi mani, mani levate al cielo.
Bellissime parole, che sembravano miracoli o magie, come le rosette, così smorte, in fila sulla pala, e poi, vicino al fuoco, eccole  gonfiarsi e tendere la crosta ( il bottone sul punto di scoppiare).  E prodigio era l’odore cotto, di panni puliti e caldi, di acqua evaporata sul muro dell’agosto.

Perché canti?, chiedeva a volte la bambina.
Per aiutare il lievito a salire, era la risposta.
La bambina lo domandava apposta, giusto per ridere con lui.
L’aveva visto su un giornale vecchio, quell’uomo col turbante: suonava un piffero un po’ strano e i serpenti si alzavano dal paniere con la testa dritta. Anche suo nonno era un po’ fachiro, fachiro di ciambelle e di rosette.

Voglio imparare anch’io, diceva a bassa voce, il pane e gli inni, tutto insieme.
E il vecchio se la prendeva in braccio,  così piccola e scura fra i sacchi di farina.
Il pane te lo insegno, ma tua nonna mica è poi contenta se tu canti  per casa le mie cose. Lei corre dietro a un altro campanino, alle sottane dei preti e delle suore…Lo sai che vuol  comprarsi il paradiso…

Sei magro, allora lei diceva per mandare via i pensieri brutti, i musi o i silenzi o le sgridate dei giorni  che la nonna era rabbiosa per la sfortuna dentro la sua casa, un figlio andato chissà dove e l’altra con la pancia ancora grossa: giusta sacrosanta punizione, da trombe del giudizio, perché mai si era sentito di due fedi sotto lo stesso tetto, due chiese e due bibbie e quelle parole matte. Ché lei era sicura di cambiarlo, per questo se l’era anche sposato, lei, vedova contesa, che portava in dote un cavallo bianco e tele sottili come l’aria. Ma lui invece, macché, sempre nel peccato col suo Valdo…

Son magro perché ogni parca cena manda in letto, e di colpo snebbiava le paure che le leggeva dentro, dai, che tua nonna è anche brava, sai,  e il suo paradiso avrà un odore buono come il mio. Forse lo stesso pane. E adesso  ti insegno a sceglier la farina.

Bisognava pizzicarne un po’ e stringerla forte fra le dita: aveva da restare appiccicata e fare consistenza. La farina troppo sfragolona è debole, quasi non ha susta e il lievito lo sgugna: non tiene niente e non dà niente. Come il tempo speso a litigare.

Ogni sacco veniva visitato nel gioco di spizzichi e presine: il verdetto restava  sulle mani.
Era tutta  buona, la farina.