Qui come altrove, c’è un uomo che accompagna un cane cieco.
Il cane da tanto ha gli occhi spenti, quasi fossero scese, dal centro della notte, tende azzurrine e spesse.
L’uomo non ha cambiato passo o fischio. Neppure strada. Solo gli dice ‘attento’, se un ostacolo fa da impedimento: il cane resta a lato, fermo, finché il sasso, il ramo non cambiano di posto.
A volte l’uomo vorrebbe vedere più lontano e spingere oltre la sua vita, negli spazi che aprono al futuro, ma l’ombra torna a prendergli il cuore, all’improvviso, e a fare marmo di occhi e movimenti. Attorno, i ricordi calano a fittone e le cose sono vortici di foglie e di sterpaglia, spirali e serpi di affanno e solitudine.
Il polso trema nel guinzaglio e la vista si perde.
Il cane sa e guaisce di un pianto che è sirena e lama, così lungo e affilato da tagliare il gorgo.
Allora le cose tornano ad essere le cose e l’uomo riprende a camminare.