Aveva un chè, la Dina, un chè forse di tenero e severo: gli occhi attenti, l’espressione buona, ma come dietro un vetro di rispetto.
Non dava confidenza.
Per dire: niente mani, all’osteria, ad accompagnarla neanche per un gioco, niente scherzi.
Era lei, la più giovane di casa, che andava a comperare, dove c’era bisogno d’occhi aperti.
E non provassero a ingannarla con certe galline, grasse e gialle, buone solo a far del brodo e poi e poi… “’Na gallina, ho detto, mica ’n asino, ustion…”, ribatteva al contadino, e il suo ustion disegnava nell’aria un’ostia gigantesca, bianca e sottile: il sacro invocato a ombrello, che per tutta la vita fu il segno universale di ogni suo risentimento.
Non perché alla Dina mancassero parole. Anzi. Solo parlava alla sua maniera.
Si innamorava di alcune, le portava in giro e le addomesticava.
Le piacevano quelle da spiegare ad un “degno uditorio”: nella stalla, prima, e a certi tavoli dell’osteria, dopo. Solo a certi, però.
Erano le parole che leggeva nei Miserabili, la sera, quando le gambe le facevano così male, e lei, a letto, sotto il tetto, con l’armadio schiacciato dalla trave, tutte le ripeteva a voce alta. Con gli accenti ci prendeva poco, perché non è facile far suonare nella stanza le parole di un libro. Si ha quasi soggezione.
E le spiaceva che la Noemi se ne fosse andata; di nascosto le scriveva, là in Costarica, e le diceva, sì, dell’Alda e della Zena e di suamamma e della Nella bella e degli uomini di casa, ma anche di jeanvalejan e di quel che succedeva. A dire il vero, pure cambiava, perché, li avesse scritti lei, i Miserabili o la vita, non avrebbe fatto morir di freddo la Fantina.
Nel mondo nella Dina nessuno aveva da sparire e anche il tirare il collo alle anatre mute era cosa lasciata a Guido suo fratello, pure i conigli con le faraone. Poi, una volta sulla tavola, tutte scorticate e pelate e passate sotto l’acqua, le carni erano come le parole: da far rivivere per una gioia di sapore e allora andava bene.
Ché la Dina inventava storie e piatti alla stessa maniera. Stavano nascoste, le storie, nella pancia delle parole, come nella pancia delle galline stanno gli ovini senza guscio, che, a farli cuocere nel brodo, sono una delizia di caldo e di sale… Il regalo del brodo, come certi ripieni fatti di nulla e pangrattato, con l’anima di prezzemolo dell’orto. La meraviglia del poco.
La Dina spignattava e pensava alle storie che avrebbe raccontato nella sera, di bambini scambiati nella culla, di lattanti con il pelo matto in faccia, di maggiòrdomi fedeli o traditori e intanto, intanto diventava, lei, regina, regina di pentole e padelle fra sfrigoli e fritture, regina di trippe sbiancate e poi arrosate, di stracotti lardellati con chiodi di garofano (quieti a sobbollire nel barolo) e di polente scivolate lievi a sposare il burro e il parmigiano, pronte a rivoltare il gusto campagnolo nel tondo di una punta di tartufo…
E quella sera, fiera di un racconto che era un tripudio di maccheroni col selvatico (voluttuoso di rigaglie e salsa ripassata), aspettava in fondo alla cucina il lieto fino: il piatto vuoto.
Tornarono indietro nove maccheroni.
La Dina scese dal trono. Lenta e decisa.
Andò dritta al tavolo della rivolta.
“Perché?”-disse imperiosa.
“Formaggio. Colpa del formaggio- rise l’altro sotto i baffi, anarchico nell’anima e nel fiocco – S’attacca al piatto. E questo non va bene.”
Il casaro le parlò, con poesia nuova, del latte che diventa grana e dorme nella crosta nera, perché il buio non ha altri colori. La Dina, rossa come un pito, ascoltò la storia dei paioli di rame. Vide le forme ballerine e i riti dell’assaggio.
Le portò il formaggio buono, l’uomo dagli occhi chiari. Un giorno. Come un anello, come una promessa.
Era la sagra del paese. Andò nella cucina e disse: “Si balla, nel cortile”.
La Dina la regina, la Dina la severa disse di sì com’era, col grembiule a quadretti e le ciabatte.
Fu un valzer lungo e malandrino, braccia morbide e un bacio a tradimento, dietro la pesa.
Durò più d’una vita.
Che bellissimo regalo di fine anno. Un caldo abbraccio e un augurio sincero. Baci
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Che dire, non so mai decidermi quale delle sorelle mi faccia innamorare di più :-)
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La Dina è veramente una regina della buona tavola :-). Baciotto*
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Affettuosissimi auguri di ogni bene.
Bacio
grazia
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durò più d’una vita…
questo mi piace e lo sai
e poi adesso vado a mangiare che c’hai pensato tu ad aprirmi la strada.
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Una storia per ogni sorella, e per farci sognare e assaporare un gusto d’altri tempi. Un abbraccio, Annarita
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La crosta e la sostanza delle donne, in tutta l’interezza avvolgente del fare e disfare quotidiano. La fertilità dell’acume campagnolo, il saper scegliere il pezzo migliore al mercato, l’affascinante teatrino gesto_parola per provare che sì è esperti di vita, di terra e animali, del trasformare il brodo di gallina in una raffinata zuppa per palati degni. E, la mescolanza magica delle parole, la trama e l’ordito per ogni sogno, anch’esso come atto creativo e di forte generosità. Potrei dire altro, legato alla semplicità e nel contempo al mistero delle donne che ci lasci conoscere, ma sono talmente belle che parlano da sole. Così come la memoria di loro, delle loro vite che tu ci consegni, in ogni rigo / ogni rigo è un passaggio di scrittura dosata, attenta, “Non perché alla Dina mancassero parole. Anzi. Solo parlava alla sua maniera. Si innamorava di alcune, le portava in giro e le addomesticava.” “Con gli accenti ci prendeva poco, perché non è facile far suonare nella stanza le parole di un libro”.
Ché la Dina inventava storie e piatti alla stessa maniera. Stavano nascoste, le storie, nella pancia delle parole, come nella pancia delle galline stanno gli ovini senza guscio, che, a farli cuocere nel brodo, sono una delizia di caldo e di sale “ /Etc etc. Mi commuovo leggendoti. Si muove la mia parte emotiva e la mia naturale esigenza del bello, dell’armonia. Ti sono grata per questa “ regina di trippe sbiancate e poi arrosate “, generosa, regina, che impastava giornate e amore, fantasia di “ stracotti lardellati con chiodi di garofano (quieti a sobbollire nel barolo). Magnifico!
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“La meraviglia del poco”, eh?! :)
(Certo che ci vuole un uomo uomo, a far valzare una donna che sa suonare le parole e le pentole alla stessa maniera…)
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Mi sento commosso, stavolta.
Forse perché sono cresciuto nella cucina del ristorante dei miei e ho imparato cogli occhi l’abilità di mia madre nel fabbricare cotolette unendo tanti piccoli pezzi di carne di vitello, quelli che si scartano per presentare più decentii saltimbocca alla romana o le piccate di vitello. Anche mia madre, come la Dina, credeva di saper tutto di cucina e dovette ricredersi.
Ma questa è un’altra storia.
:-)
Il fatto che sia commosso non significa che, allo stesso tempo, non sia sempre di più incantato dal tuo scrivere.
E, sai, mi piacerebbe leggerti sulla carta di un libro.
Buon anno.
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Auguri di Buon anno e felici giorni
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Bella tosta la Dina…e fortunata…..forse che la fortuna la si deve un po’ cercare ?
^^
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Auguri di un bellissimo e sereno 2012!
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Per un anno che davvero riscatti le fatiche di questi ultimi :-)
Un abbraccio :-)
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A tutti voi un giro di affetto e di auguri.
Tornerò a conversare con ciascuno, ma ora scusatemi: sono presa dall’esercizio della cura. La Rosa miamamma ha bisogno di me.
Vi lascio con l’ultima delle sorelle.
Buon anno.
zena
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Che meraviglia! e mi tocca nel profondo, non sai quanto.
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