La Sefora aveva i suoi pensieri.
A ben vedere, neanche piccolini.
Se gli uomini solo capissero, una volta, il verbo figurare…
Se solo intendessero il disgusto che perdura e sa restare: a macchiare il dentro e il fuori, come certi fondi di ruggine marrone, nei bicchieri.
E invece.
In casa, nessuno a sentire la sua preoccupazione: la nuora, sposa nuova di febbraio, invitata dal figlio a fare la bugada.
La bugada lì, nella corte dei Mortai. Senza chiederlo, come fosse una cosa naturale.
– È lei che vuole, s’era scusato il figlio.
Ma il primo bucato a primavera è quello grosso, coi panni sporchi dell’inverno, che han l’odore del freddo e del marcino. Tenuti a cavallo della trave maestra, su nella soffitta: quattro mesate di camicie, federe e lenzuola, con dentro la febbre sudata della vecchia e gli umori del sonno e della notte.
No, non c’era abbastanza confidenza.
Lei voleva, la Sefora, salvar la dignità: servire a sua nuora il pollo cotto al forno con la legna d’uva (la pelle che sfrigola, insieme al rosmarino e a certe malizie di pancetta fine). E la crostata messa al focolare, con le braci a fare fitto sul coperchio: lì sì che si vede la bravura, nel sapere il punto di cottura solo dal profumo di mela caramella e di biscotto.
Sia chiaro, alla Sefora piaceva lavare a primavera: stare nell’odore della liscia, quando scende calda e lenta, acqua che pare tortorina, con la cenere sciolta e ribollita.
Alla Sefora piaceva stare con le donne dei suoi biolchi, attorno al mastello grande. Grembiale bagnato sotto il petto e dita rugate di sapone.
Ma con la nuora no.
Così giovane e figlia del notaio. Così in su, così in su che la piuma a lato del cappello già pareva toccare il paradiso.
Un pensiero, da farci malattia. Ché, poi, era tutta colpa sua, madre matta a voler far studiare suo figlio da ‘ingignere’ per poi vederlo andare fuori dal sentiero.
Fu giornata di mattina chiara, come sa fare marzo, con l’aria dolcebrusca sulla pelle.
Il paiolo al fuoco al fondo del cortile.
La nuora arrivò da piazza in bicicletta, salutò con la mano, appena intimidita, poi si chiuse un poco nelle spalle, stringendosi il golfino sotto il collo.
– Fa fresco, disse la Sefora e fu tutto.
– State ben in là che butto giù, gridò il biolco dalla finestra in alto.
Dalla finestra del solaio nevicò l’inverno.
Fiocchi di tela grossa, impudichi nell’aria.
Tutta la biancheria di casa.
Nel tacere e nel guardare delle donne, come se a scendere fosse la madonna, il manto e la sua veste.
La Sefora fissava dentro il bianco.
La nuora si mosse per prima: c’era da raccogliere i panni e metterli sul fondo del mastello, strato su strato, prima della liscia.
Discreta, prese dal mucchio la federa con le cifre ricamate, l’ombra del capo appena in evidenza.
– Mama, che bella, disse. Ma s’è staccato un pizzo, vede? Neh, che è meglio darle un punto? Adesso, prima di lavarla, sennò si rompe di più.
E dalla tasca prese ago e filo e si mise a cucire, sul bordo dell’abbeveratoio.
La Sefora sentì nelle braccia un chè di molle e buono.
Il buono delle cose che scorre nelle parole che si fanno racconto … ed è come tornare a casa quando si sentiva il profumo del pane o dell’arrosto …
Un abbraccio, Zena
edoardo
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L’idea della casa scrittura mi è molto cara.
anche per me, Edoardo, scrivere è tornare a casa: stare bene, insomma, nel modo più semplice e naturale, come mangiare una mela o apettare l’odore borbottante del caffé che sale (e non sai bene se è l’ascoltare o l’annusare a far da sentinella).
Ciao amico caro.
z.
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torno leggera e incerta a visitare questo tuo spazio pieno di dolcezze, le tue parole, così come le ricordavo, carezze alla fantasia. torno anche a vivere e quindi a scrivere, come torna forse a colpire lo sguardo il bianco delle lenzuola dopo un bucato di primavera. torno con sollievo ad esistere e quindi ad abbracciarti.(kudraincorporated.wordpress.com)
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E io ne sono profondamente felice, perché mi sei mancata.
Ti penso ogni volta che acquisto una mela annurca:)
Un abbraccio d’affetto grande.
zena
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Sai Zena, tu di cose belle ne scrivi tante e scusa se te lo dico. :)
Ma questa storia mi torna in mente spesso – come mi torna in mente spesso la parola (il concetto) ‘pudore’ – e trovo che sia un capolavoro. Di delicatezza, e altro.
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ma daaaai:)
Però mi fa così piacere che ti piaccia;)
(grazie, amica cara, grazie per mille e un motivo, anzi facciamo 8)
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Zena…
Zena…io che temo non sarò mai suocera…
che dolcezza questo brano. Che meraviglia l’ammollamento nelle braccia…
come canti bene di quelle speranze e di quella voglia di “figurare” e di quella paura…e di quel cuore che finalmente sollevato cede alla tenerezza!
Zena!
Sei unica!
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Cara Lucia, pensa, questa storia mi è stata raccontata proprio da mia suocera, di poche e brusche parole. Mi aveva scelto come ascoltatrice e io ho passato pomeriggi a sentire vecchie storie e a prendere confidenza con nomi che non ‘figurano’ più.
Poi le storie cambiano, a passar di mano in mano, come le parole bisbigliate nell’orecchio, quando si gioca al telefono senza fili.
un abbraccio
zena
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un abbraccio, carissima…
due abbracci…
tre abbracci….
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l’ho riletto.
Altre due volte.
Poi è arrivato mio marito. L’ho letto anche a lui. E, mentre leggevo, verso la fine…piangevo.
“Che matta che sei!” ha detto.
però sorrideva…
Sei bella, Zena.
Bella bella
e adesso mi asciugo le lacrime e mi metto a cuocere le lenticchie per cena..
Nel coccio. Ecco.
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Sorrido anch’io, carissima.
(erano buone le lenticchie? io regolarmente strino ogni cosa:))
z
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strino? cosa essere “strino”…?
(erano buonissimeeeeeeeeeeeeeeee!)
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brucio tutto:))))
nel senso che mi dimentico di quello che ho messo sul fuoco, perché mi perdo via.
non è grave, vero?
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ma noooooooooooooo…tranquilla!
beh…notte!
(l’ultimo pensiero..è per te. Chiudo tutto…
Click!)
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ogni volta che leggo mi dà una tenerezza… ma quasi da piangerci di commozione :-)
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E’ perché hai una delle anime più belle e bambine che io conosca.
:)
Un abbraccio, cara Deli:)
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Zena…grazie a Deli ho potuto leggere questo delicatissimo bellissimo brano…ma come meravigliosamente sai scrivere tu…sono anni che non te lo dico :)
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Gianfranca, cara molto cara, ma che bello ritrovarti qui.
Torna eh, ma prima abbracciami tutti, lì in casa.
:)
z
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Quando un testo commuove, credo sia perché “ muove “ di noi lettori, la parte col nervo scoperto o, da imparare a scoprire. Nel leggerti questo avviene spesso, perché apri i cassetti dove stanno custodite le cose autentiche, e tiri fuori il mondo, figure dalla perfetta filigrana umana, mai “ personaggi “. Sefora è delineata nei suoi tratti d’umore, nel suo districare pensieri, accanto al quel misterioso verbo “ figurare “…Nessun accenno alla sua fisicità, che arriva comunque, tuonante e decisa in questa riga di straordinaria bellezza “Se solo intendessero il disgusto che perdura e sa restare, a macchiare il dentro e il fuori, come certi fondi di ruggine marrone, nei bicchieri….”. Credo che siamo tutti orfani di storie, o, meglio siamo stati messi a lungo a digiuno dalla parola narrante. Siamo sopraffatti di immagini, senza mistero, senza l’affabilità dell’oro della scoperta del tempo dell’ affabulazione. Tu ce la riconsegni, così come riapri il sipario su certi sentimenti ruvidi e sostanziali, tradizionali, che hanno fatto la storia delle donne, nel bel tempo che è stato e da cui, noi tutti, deriviamo, ahimè, in modo confuso. Nel tuo racconto si svolge un adorabile, raffinato dramma a lieto fine. Un timido, temuto, scontro generazionale che diventa, invece, anello che si congiunge ad anello. Tu scrivi con carne d’anima, cara Zena, custodisci un telaio amorevole. Riporti ai dolori e alle innocenze, guidi il lettore verso il benedetto rischio di dire a se stesso “ Ecco cosa va custodito, cosa è degno di restare in memoria “. E, magari spegne per mezza giornata la TV, esce dall’urlo sguaiato delle insipidezze, e si mette a ricercare nella propria memoria i suoi “ a m’arcord “.
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bellissimo questo commento, se fossi così bravo vorrei averlo scritto io , perché provo le stesse emozioni descritte da Mitedora.
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Cara Dora, la mia famiglia, un tempo grande ed estesa senza nessun rapporto di gerarchia negli affetti, ha sempre usato la tavola come luogo di incanto e di affabulazione. Il dolce poteva essere la torta di pane o il racconto, con lo stesso gradimento. Ricordo dei mezzogiorno d’estate, quelli caldi ma contrastati con un abile gioco di ombre e di correnti, quelli con l’odore di pomodoro nei piatti e con le storie che rotolavano come albicocche sulla tovaglia. Io e la mia cugina-sorella le ascoltavamo e ne chiedevamo ancora per evitare l’imposizione del sonnellino, come Sharazade dilazionava ogni notte il suo destino.
Erano tutti generosi di narrazioni, in casa, e, adesso che i vuoti non sono più rimagliabili coi corpi, le parole fanno quel che possono: sono spilli per trattenere i nomi e anni.
Ho pochissime fotografie in casa, non possiedo album, solo cartocci disordinati: conservo invece piccolissimi fatti, ingigantiti o rimpiccioliti secondo l’estro del momento, segmenti miei o di seconda mano, scampoli in prestito…
Vivono perché ciascun passante, in questo luogo, vi appende qualcosa di sé: per questo sono io a ringraziare con immensa gratitudine. Te e tutti voi.
zena
zena
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sto diventando balbuziente:)))))
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merci madame
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merci monsieur:)
(ciao Michele)
z.
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… la delicatezza è cosa rara, ma ancora più raro è saperla proporre in racconto con tanta leggerezza e delicatezza di tocco.
E quanta ariosità in questa aia del bucato – in contrasto con l’ombra in cui si muovono i pensieri in petto alla Sefora, prima dello scioglimento armonioso del finale!
(il punto esclamativo sta per un abbraccio, Zena)
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Allora, guarda: !!!!!!!!!!!
cara Anna, ero molto piccola quando nel cortile di casa, in paese, la Rosa miamamma, miazia e mianonna, con l’aiuto di qualche robusta signora, preparavano il bucato, che finiva all’una, con la tavola allargata alle aiutanti. Non mi piaceva vedere i panni sporchi, mi piaceva l’odore della cenere che bolliva insieme all’acqua calda… e i cicin (le piegoline) sulle dita.
Ciao, carissima.
z.
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Anche Veronica sentì nelle braccia un chè di molle e buono, a leggerla.
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ringrazio e ringrazio, sperando di incrociarti ancora.
un saluto sorridente.
z.
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Non potrò mai essere suocera, presumibilmente neanche nuora (o vale anche per i conviventi a distanza?), soprattutto non so tenere ago e filo in mano. Ma so fare la lisciva dalla cenere del camino, forse basta anche questo.
Abbraccione.
m.
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E poi la usi, la lisciva, Momi? tu che sai fare cose fra magia e futuro, secondo me la utilizzi.
Un abbraccione
z.
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La uso e ne faccio sapone per bucato:)
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tenerezze di una volta che non si vedono più adesso
bella bella
grazie zena
un grande abbraccio
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Si passeggiava sull’argine, oggi, e pensavo che, se nello stesso momento tu risalissi il fiume e io scendessi, ci si potrebbe incontrare, a mezza strada:) In uno di quei paesi rivieraschi che mi piaccion tanto. Si deve fare, una volta o l’altra, vero?
Ciao, carissima: abbraccio anche a te.
zena
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Oh come sono contenta! La storia di prima mi aveva lasciata addolorata…
Ma sai che , leggendoti, quasi mi viene una nostalgia di tempi andati, mai vissuti?
Eppure qualcosa di quei tempi me lo porto dentro, sennò non ne sarei così toccata.
Ciao Zena!
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Non li ho vissuti neppure io, cara Lillo… Magari qualcosa di striscio, da piccolina: ma è rimasto un gancio o una predisposizione, non so. Più che i tempi, mi interessano le vite.
Fermerei le donne immigrate per strada, per farmi raccontare le loro storie. Capiterà, un giorno o l’altro.
Ciao, Lillo, e grazie.
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Sì, anche io raccolgo storie dalle mamme dei compagni di scuola del mio.
Non ho la tua penna per ri-raccontarle; ma che tesoro!!
Però, sarebbe bene che scrivessi le mie storie di famiglia, in qualche modo, prima che vadano perse…
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ciao Col! sei forte, nel senso che hai vera forza, e la sai usare con delicatezza. Vien voglia di abbracciarti!
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:)
Che sia la forza della resistenza passiva? tipo tralcio che regge il grappolo? mi sento tanto stanca, ma le tue parole sono così belle che quasi quasi mi convinco:)))))
ciao Senza&M.
Ho voglia di vedervi.
z.
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ho rivissuto i momenti dell’infanzia e ricordo anche che la nonna Teresa ci faceva sfregare ile posate nella sabbia del cortile. Questa operazione mi è tornata utile quando da alpino dovevo pulire la gavetta di alluminio e le posate unte e bisunte della scia di grasso che non voleva saperne di andare via con l’acqua poco dura dei torrenti di montagna.
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La Dina mianonna puliva le pentole di rame con la farina gialla, quella grossa grossa, e l’aceto. Diventavano brillanti.
Adesso è troppo poco il tempo a disposizione: si corre ovunque….e, devo essere sincera, dal lavello scappo sempre volentieri:)
Ciao, Fausto, con affetto.
z.
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e poi ci si ritrova con le lacrime anche solo leggendo i commenti e le repliche..:) GRAZIE!!
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cara maria teresa, riparto da qui, cioè da te: è stato un mese molto intenso quello che si è appena chiuso. Inghiottito dalla cura familiare e da tanti impegni, tutti centrifughi. Spero di non accumulare più un distacco così lungo. Io sto bene, qui:)
un saluto d’affetto e grazie, come ogni volta.
zena
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credo che appartenere a un mondo simile a questo tuo, carissima Zena, sia uno dei doni più importanti della vita.
malgrado i miei ricordi non si tingano di bianco né profumino di caramello e mele, mi immergo nei tuoi che faccio miei, perché mi avvolgono come una sicurezza reale, esistente, ne racconta la Zena, è così.
“le parole fanno quel che possono: sono spilli per trattenere i nomi e anni”…
le parole cuciono insieme anche destini lontani, esistenze che sono accomunate dal filo dello spirito.
un abbraccio grande
cri
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I tuoi ricordi, cara Cristina, sono guizzi e lampi e poi ancora squarci, discese in profondità dolorose e risalite nel segno dell’ironia.
Io li tengo profondamente cari.
un abbraccio
zena
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E’ come immergersi in un tempo andato, di quando tutto era spirito di sacrificio e nessuno si lamentava, ma sorrideva e accoglieva ogni cosa con gioia. Il tuo racconto scorre armonico, trabocca di dolcezza e si tinge di poesia. Bravissima!
un abbraccio domenicale
annamaria
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cara Annamaria, credo siano stati tempi di sofferenze e mortificazioni, soprattutto per chi aveva la sensazione di nascere con un destino prefissato, senza slarghi e prospettive.
Sempre cara e gentile, tu:)
Un grazie e un abbraccio
z
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il profumo…il profumo di biancospino, quello che sentivo nei racconti della nonna, e il vento di lillà che passava veloce sui panni candidi stesi sull’erba…ecco, li ho ritrovati qui
intatti
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Grazie, Ventisqueras.
le tue parole portano sempre poesia.
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e torno a leggerti…
meraviglia!
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cara Poetella: arriverà qualcosa di nuovo: appena si potrà.
A volte la scrittura diventa un lusso:))
z
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sei sempre nei miei pensieri…
S’aspetta buoni buoni….
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Userò parole già dette..commovente…sentimenti veri..ieri come oggi…
..sei una grande Col..^^
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cara Cicabu, torno, sai…
ne ho una gran voglia:)
z
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Anche qui la scrittura si dilata, a mettere a fuoco i particolari, a risentirne l’eco, sempra attenta a non dire il di più, ad evocare/invocare i sentimenti. Fra tante bellezze, mi ha incantato quella indiretta analogia fra il molle della liscia e la simpatia improvvisa verso la nuora, alla fine.
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La ‘liscia’ o ‘lescia’ o liscivia mi attirava moltissimo, da bambina: per l’odore, il colore e la consistenza. ‘Na spremuta di nuvola, sembrava:)
Un saluto grande.
z
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Quanta grazia e quanta bellezza in questo piccolo mondo antico!
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hanno qualche privilegio i mondi piccoli, se non sono sopraffatti dai confini…
Un abbraccio, caro Aitan, e una carezza alla piccolina.
z
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Carissimi tutti, mancherò qualche giorno.
Un saluto e un pensiero d’affetto a ciascuno.
E come sempre grazie per le vostre parole.
zena
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C’è sempre un buon profumo, qui. Questa volta di bucato.
Dopo aver inspirato profondamente l’aroma di cose antiche e buone lascio un saluto.
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E’ un saluto che ricambio con molto affetto, Dodo.
E tornerò presto a leggerti.
z
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Buona domenica Col..
:*
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buon domani, Cicabu:)
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:-):-)
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:):):)
dai, Deli, esageriamo coi sorrisi:):):)
(abbraccio)
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come vanno le cose?un abbraccio portafortuna
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Diciamo che vanno, così, senza avverbi…
mi prendo abbraccio e portafortuna e restituisco:)
z
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è un testo che parla di un mondo che non esiste più.
in cui non c’era nulla, ma c’era tutto.
levare i cenci di quattro mesi dal solaio, emananti quel caratteristico afrore di “bestìno” e di “relénto” e lavarli tutti in un giorno, il rituale marzolino, facendosi un culo come un divano…
oggi facciamo le lavatrici quotidianamente, ma il pollastro con la crosta al rosmarino e la crostata fatta a quel modo, cicca.
però abbiamo i fasfùd e fèisbuc.
(quante ossa si rivolteranno nelle tombe, se c’è una sopravvivenza dell’anima)
la moto è quasi pronta. vengo a trovarvi.
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Questa è cosa buona:)
ti aspettiamo.
z
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