Qui come altrove c’è l’uomo che di notte  ascolta e ascolta i passi. Li riconosce come un vizio suo.
I primi sono  soli e strascicati,  sotto l’arco di aquile già stanche: al mattino troverà una bava di lumaca, sull’umido di pietre e marciapiedi.
A volte li sente rimbombare, sfacciati nella loro sicurezza: passi di tacco, premuti di tallone,  che crepano il silenzio, quasi lo scoppio di un lampione che non c’è.

Quando la notte si è fatta  più matura, attende il tocco di quei passi che, alla stessa ora, picchiettano l’asfalto: sono di punta lieve ed anche un poco incerta, sanno di fumo e di disperazione.
L’uomo non guarda alla finestra,  ma un giorno  scenderà  per risuolarli di sua mano: i passi non possono trascorrere senza lasciare un segno.
Basta un abbraccio, forse, o il regalo di una nevicata da cucire con il filo nero, punto dopo punto.