Che poi era facile fare confusione.

Vederlo in chiesa, prendere l’ostia dalle mani del prete, mangiarla a testa bassa e con la schiena dritta. In piedi, non al banco di mezzo, ma a destra, vicino alla madonna col serpente, il manto celeste e le stelle. A pregare l’agnello di dio che toglie i peccati del mondo, con la sua voce senza latino.

E riconoscerlo, nel corteo del primo maggio, passi pesanti, scarpe da terra dei braccianti. Trovarlo vicino alla bandiera, nelle adunate sulla banca di Po, con la rabbia ferma nelle braccia.
A fare sciopero. A chiedere l’imponibile, per mangiare anche d’inverno. Quelle giornate promesse e filate via col fumo.
(Tante biciclette, poggiate ai pioppi, e gente dappertutto, fin sull’argine, come in un parlamento contadino traversato dall’aria di boschina)

Facile fare confusione, a vederlo mezzo prete e mezzo rosso.
E sempre con misura. A modo suo.
Da solo in chiesa, mai un’offerta.
Di parole scarse coi compagni, che si chiedevano il perché di tanto incenso, di questa conversione all’improvviso.
Ma era un uomo giusto e c’era da tacere. Aveva anche lui da lavorare.La moglie e un figlio, fatto tardi.

Un figlio piccolino, con un nido di ricci per i merli, e questa faccia lustra di sapone.
Piccolino e s’ammalava spesso.
Se lo portava a scuola, le mattine di pioggia. Se lo asciugava bene, se lo sedeva sopra il banco: gli toglieva le scarpe e le calze. Gli dava un bacio sulla pianta nuda. Il bambino non voleva, perché aveva anche vergogna, ma poi rideva per il solletico: in un attimo aveva calze asciutte e pantofole di panno, uscite dalle tasche di quel padre chioccia.

E poi l’uomo andava in chiesa, se era inverno.
A dire grazie.
Per il fatto di avere il suo bambino.
E la scuola lì vicino.
E un paio di calze di ricambio e un paio di pantofole di panno.
Per il suo bambino.
Che, tutto ben lisciato, senza freddo nei ricci e coi piedi al caldo, avrebbe amato la scuola, i libri, la pioggia, la terra, le strade e l’universo mondo, ‘ancor non nominato’.