Vicino alla finestra del bagno la madresilvia si arruffa con un profumo lattiginoso.
Lì c’è un nido di merli.
Hanno lavorato sodo: si davano la voce e c’era tutto un cercare cose in giro, nel volare basso.
Noi si aiutava come si poteva: giusto delle piumette da spolverino, giusto dei ciuffi di lana. Certe radichette a cavatappo di cui son generose le viti.
Lasciate in giro.
Il nido ora è solo una macchia più scura, fitta di foglie e di chioccolii.
Impenetrabile.
C’è stato vento in questi giorni.
Tanto vento.
I rami della madresilvia cedono subito: che combattono a fare, con quei fiori che ingialliscono solo ad annusarli. L’aria li convince in un attimo e loro si sciolgono snervati… Sparse le molli trecce… Sembrano lenzuola annodate per un’evasione.
Giù a penzolare.
Credo che il piccolo del merlo abbia colto l’occasione e sia sceso di lì: fuga dal nido, grazie a scaletta di madresilvia, il temerario.
Adesso piange, in rotondo, sotto la panchina, già teatro di liaisons lumacose.
Lo sgridano, con gorgheggi prolungati.
Istruzioni di volo un tantino nervose.
Il piccolo è obesamente grigio e tiene il becco spalancato di rosso, come fermo in un richiamo continuato.
E ciondola, ora su una zampa ora sull’altra: non sa scattare.
Gliele cantano, c’è tutta una mappa celeste nel fischio paterno.
Il piccolo resta per ora lontano dal nido, lontano dal cielo.
Certo volerà, fra un poco, ma non per tornare.
La strada di casa non sempre accoglie il ritorno.
Lo lascia sospeso,quasi un sogno di ricongiunzione.
(E nòstos oscilla lieve come un velario o la promessa di un angelo)