Non so cucire, niente, neanche un orlo, ma mi piacciono le persone che lo sanno fare. Davanti a un vecchio baule di corredo penso alle mani delle donne, al tempo che è passato fra quelle mani, come un filo.
Nella mia famiglia le donne hanno sempre lavorato con l’ago.
Tre donne in casa, tutte brave: miazia sarta, mianonna ricamatrice di fino, che pure le sorelle Materassi si sarebbe mangiata, miamamma, aiutante di entrambe, ma giovane e ultima nelle decisioni.
E poi tante vicine, lavoranti a turnazione, a seconda del bisogno. Lì, nella cucina laboratorio, tutte a imparare e a fare, fra le chiacchiere e la macchina da cucire col motorino e l’odore del ferro da stiro, che incontra il panno umido e lo cuoce di un profumo biscottato.
A me dicevano: leggi.
A voce alta, se avevo voglia, così mianonna stupiva per gli accenti.
Grande lettrice, non aveva mai sentito dire a voce viva alcune parole, perché non servivano, lì da noi, eppure le giravano in testa e le tirava fuori come conigli, nei racconti: così per tutta la vita, dando aria alle sue storie lette, continuò a parlare di oceàni e di maggiòrdomi, senza mai, per nessuna ragione, spostare un accento.
Io leggevo, ma poi mi stancavo e finivo per ascoltare le chiacchiere e vivere i riti dell’ago, ammessa solo, per grazia speciale, a tagliare l’imbastitura, che lascia le marche sui lembi di tessuto, pelucchi di cotone, erba bianca.
Il martedì era giorno grande.
Dall’edicola arrivava fresco fresco, nella sua copertina cartonata, ma fragile, morbido- rosata, Mani di Fata.
A me piaceva per il nome, che era un programma fiabesco, una promessa di racconti.
Invece non uscivano le fiabe dal giornale che miamamma, la giovane, correva a comprare: uscivano decalcomanie strane, ghirigori pulcini nastri lettere dell’alfabeto sagome di fiori irriconoscibili, tracce di ricami appena in rilevo, blu-viola di inchiostro copiativo, sensibile al calore.
Si usavano a rovescio, si seminavano sulla tela, si ripassavano col ferro da stiro e restavano lì, impresse, in attesa di prendere colore dai fili….e poi da copiare, barattare, correggere…
Era un momento di attesa, quello della timbratura: si aspettava il sollevamento della carta cotta come l’attimo della rivelazione.
Allora le donne, finalmente solidali, commentavano i disegni, in un linguaggio babele fatto di punto quadro, mezzopunto, punto croce, un linguaggio a volte rubato alla natura che fioriva all’ombra di erba e gigliuccio, o ai libri di avventura, tanto i nomi esotici portavano lontano: punto tunisi… punto rodi.
Mianonna, se non c’era miamamma ed eravamo proprio sole, fingeva, qualche volta, di volermi insegnare qualcosa su certi quadratini di stoffa, ma soprattutto tentava di addomesticarmi alla vita.
“Mai star nell’altra stanza, quando mangiano gli uomini, mai. Solo i biolchi di campagna tengono le donne in cucina, però mai metterti a tavola prima dell’uomo, aspettalo, capito? ”
“Mai mettere il cappello dell’ uomo sul tuo letto, che porta male…Fai mica figli, dopo.”
“Se l’uomo brontola, lascialo dire, sai…dopo tanto va fuori e si dimentica.”
“E le scarpe, ah le scarpe se le pulisca lui. Mai pulire le scarpe dell’ uomo: in questa casa gli uomini non hanno mai chiesto alle donne di lucidar le scarpe”.
Forse i miei occhi si facevano grandi mentre l’ascoltavo e allora si fermava, la voce più bassa.
“Pensa se tutti i punti che ho fatto con l’ago fossero dei passi… Sarei andata lontano, veh…”
E io mi figuravo una strada lastricata di punti, fra colline di stoffe e di dozzine, una strada percorsa dall’ago, … tanti piccoli passi uno dietro l’altro, passi di formica come le lettere sui libri….
“Te, cammina, sta’ mica in cucina a puntare, a puntare si muovono solo le mani. Te devi muovere la testa e i piedi… e adesso dimmi la poesia di Ulisse…”
“Itaca, cuor del mio cuore, anima della mia anima…?”
“Sì, quella, quella col mare, che si dice anche oceàno…”
Punti e passi
20 giovedì Giu 2013
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colfavoredellenebbie ha detto:
è una vecchia cosa, ma qualche volta occorre dare aria ai bauli.
un saluto a tutti.
zena
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linodigianni ha detto:
e adesso dimmi la poesia di Ulisse…bella, molto. brava..meno male che scrivere hai imparato come loro a cucire
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facc8 ha detto:
Avere una voce così preziosa e suadente come colonna sonora del lavoro… invidio tuanonna e tutte le altre tessitrici, privilegiate uditrici di chissà quali belle letture. E gli intrecci dei ricami, tessuti con le tue parole come trama, chissà che delizia..
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Mariateresa ha detto:
Che bello leggerti..e’ una carezza per l’anima!!
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poetella ha detto:
Era un momento di attesa, quello della timbratura: si aspettava il sollevamento della carta cotta come l’attimo della rivelazione.
lo stesso momento di attesa che dura eterno, quando leggo il titolo del tuo post e poi…finalmente…leggo!
Ah, zena!
(anche mianonna era magnifica coi ricami. Ho ancora un suo lenziolo di lino pesante ricamato forse dall’angelo che viveva sopra le sue mani,
Non oso usarlo.
non posso.
E’ troppo bello…
Finirà con l’ingiallire…
ma…)
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newwhitebear ha detto:
Spiccioli di un passato che pare remoto ma che invece non lo è. Eppure sembrano passati anni luce dai que momenti mentre in realtà sono pochi, qualche decina.
Un post fresco, riflessivo e senza tante nostalgie. Semplici memorie che affiorano dal mare dei ricordi.
Un caro saluto
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falconieredelbosco ha detto:
abbiamo bauli simili, però come li sai aprire tu è proprio una magia. Ti scrivo solo che nel cortile della forneria c’è la sartoria di Afra che compia ora 92 anni cuce senza occhiali, mangia come un uccellino tutto quello che sua sorella Orsolina 91 anni le prepara. Ho passato bellissimi momenti in quella sartoria, so anche attaccare i bottoni (certo è un rampognamento vergognoso, ma non si staccano più).
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senza ha detto:
Bella l’immagine delle donne in cucina, a cucire a fuoco lento…
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melogrande ha detto:
Ero bambino, vedevo mia mamma fare quelle cose con le zie.
Tu vuoi farmi venire il magone dalla nostalgia, dillo !
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memoriedalpo ha detto:
andavo dalle suore a imparare
erano fenomeni di ricamo loro
giovani donne venute dal sud comandate dalla grazia di dio dicevano…
ho ricamato tanto e tanto che gli occhi ancora fan male
persino le espadrillias quelle colorate con la corda sotto che se pioveva pesavano due chili l’una…
bella la tua famiglia di donne
non mi ricordavo di questa tua
dolce ricamo la tua scrittura
ciao zena
buona estate
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Gretsch ha detto:
Sempre bello leggerti. Un abbraccio.
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marilumari ha detto:
Che bello inseguire le orme sottili di pernice sulla neve mai sciolta della pagina o del lino, sotto il chioccolìo fitto dei consigli e delle risate, su dune tatuate dal punto tunisi e disseminate di cappelli e brontolii, come di rovine distratte, che nessun nodo previdente ha mai potuto trattenere più a lungo di un’impronta sulla riva.
Che bello perdere il filo e ritrovarlo sempre a una fine che assomiglia all’inizio, solo con l’accento un po’ inclinato sulle ventitrè.
Ciao cara Zena, un fervido augurio di buona, tenerissima estate anche da parte mia,
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Lilla Ria ha detto:
Caspita, quanto è bella miacugina.
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germogliare ha detto:
e con questa io inizio la giornata, che con il sole fuori, dopo la pioggia mi conduce al calore della mia casa, quand’ero bambina e non sapevo ancora cosa voleva dire l’inverno. grazie Zena. Stammibene
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Deli ha detto:
top bel :-)
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vicinoallalampada ha detto:
mianonna, miamamma, scritte così ben imbastite alle tue trapuntate parole, riaccendono atmosfere lontane_vicine. la memoria condivisa fa sì che nulla si perda. la tua scrittura rivela una devozione aggraziata che sa dilatare il tempo. che bella che sei!
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katherine ha detto:
Anche mia madre e le sue sorelle sapevano cucire. Mia madre era la migliore, sapeva fare tutto. Così io non ho imparato niente ( mi diceva: “Faccio io, tu devi tenere le mani sane per suonare, finiresti per cucirti le dita sotto la macchina da cucire…”) e adesso lei ha dimenticato tutto. Quanto sapere perso e quanto desiderio di poterla rivedere con le mani sul cucito!
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verastazioncina ha detto:
Quante storie simili e quanti ricordi ricamati con fili di seta e di rammendo; anche mia mamma cuciva e io l’aiutavo, ma poi mi diceva: ” Leggi …” . Un abbraccio grande
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cristina bove ha detto:
e se tu avessi imparato a ricamare come loro, forse non avresti saputo ricamare queste meraviglie che vai scrivendo…
i passi a volte sono lettere, e portano lontano, in mondi che altrimenti sarebbero dimenticati.
e tu conduci per sentieri dai profumi inebrianti, e ci sorprendi sempre con i tuoi fiori-ricordi.
grazie
ti abbraccio
cri
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Giovanni Monasteri ha detto:
ciao, Zena carissima.
Eccome se sai cucire! Questa sapienza, questo modo di imbastire il racconto punto a punto, e di andare e portarci lontano e dentro le le storie, punto dopo punto… Conosci quell’arte meravigliosamente bene.
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cicabubu ha detto:
Bellissimo…è come esserci stata in quella stanza..i ricami sono come miracoli che escono da mani fatate ..io sono sempre stata negata per il cucito…poi tua nonna una grande…^^
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colfavoredellenebbie ha detto:
che bei commenti mi avete regalato…
mi siete tutti cari e vi ringrazio, di cuore.
mi assento qualche giorno, per riprendermi un po’: ci sono fatiche a lenta cessione nel tempo.
aspettatemi, eh…:)
con affetto
zena
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massimolegnani ha detto:
Bella “mianonna” e il suo ocea’no cocciuto
ml
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amanda ha detto:
anche la mia nonna Erminia aveva i suoi accenti: balàustra, oroscòpo
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