Di lei si ricordano le mani: due copie di pane, coi tagli nei bordi.
E la faccia scivolata in basso: di bello neanche gli occhi o la pelle, scura nel naso e attorno alla bocca.
E la parlata, svelta svelta.
E la fretta.
Sempre andare, sempre fare, anche se non c’era famiglia da accudire, né pentola da mettere sul fuoco: solo chiacchiere e gerani, da scambiare.
In giro, bicicletta e un brio scattante nel collo, anche vecchia, quasi in risposta a un’interna fanfara.
Perché, lei, ragazza, era stata benemerita massaia rurale.
La più benemerita.
Con l’attestato.
E nell’adunata in città, quando aspettava e sperava sfilando e cantando davanti a Benito, con orgoglio aveva teso le braccia e mostrato il grembiule e le spighe e le spillette di merito.
A lui, al duce.
E quello, preso da tanto giovanile e campestre furore, l’aveva carezzata sulla testa.
“Birichiiina…”, le aveva ripetuto, due volte due, accostandosi vicino vicino, benevolo e un poco marpione.
Mille volte la storia fu raccontata e mille volte la distanza fra l’augusto labbro e il trepido orecchio fu raccorciata.
Tanto tintinnò quel “birichiiina” che il nome della donna andò smarrito: nell’erba di qualche cavedagna, in qualche spiffero di madia, in qualche pietra di mulino.
E col nome si perse anche la vita.
Non ci furono nozze né mani d’uomo, nel sogno di un niente accaduto.
La benemerita massaia rurale rimase per tutti, sempre e soltanto, la birichina del duce.
Ché le formule acchiappano le cose per metterle in gabbia.
O in croce.
Bel racconto, mi piace. Complimenti
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Chiedo scusa per l’intervallo di tempo trascorso: non è per indifferenza.
Sono sempre molto grata a chi passa fra queste pagine.
Un grazie di cuore, quindi, e un buon saluto.
zena
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Le formule mettono in croce il più delle volte, altre sono una risacca consolatoria alle inadempienze della vita.
Un abbraccio.
Edoardo
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caro Edoardo, scusa i silenzi: non ho dimenticato, sai, la tua richiesta, ma settembre porta un tale carico aggiuntivo di incombenze che non so da che parte girarmi. C’è da organizzare, fra piccoli e anziani un po’ ansiogeni, il nuovo ciclo di doveri. Il risultato è …. il blogsilenzio.
Un abbraccio, a tutti voi, sperando in un ‘a presto’.
zena
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non dovrei sorprendermi più!…e invece riesci a cavae smepre qualcosa in più dalla mia meraviglia.
mi chiedo come fai a evocare piccoli punti e farne scaturire un disegno, una storia e la Storia…
grande Zena!
un abbraccio carissimo
cri
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carissima, solo belli anche i refusi: qui si può anche pasticciare con le parole, non credi? rende tutto più umano e vero.
Ho approfittato della prima foschia nebbiosa per regalarmi una sosta.
ti abbraccio,
zena
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perdona i refusi, magari correggili, eh?
grazie :-)
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Bello davvero, come sempre. E da ripensare.
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buon giorno, Aitan: buona scuola, anche:)
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Poveretta! Sempre meglio della Gradisca, però… ;-)
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Buon giorno, Guido…
Ehm, magari la Gradisca si è anche un po’ divertita… Un po’, almeno;)
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… senza nome per aver idealizzato… un nome :-)
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Ciao, molto cara Deli…
Ti abbraccio
zena
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hai il dono della grazia della parola. tratteggi e metti anima!
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cara Mitedora,
scusa anche tu tutto questo tempo vuoto: non vedo l’ora di tornare a leggere e a respirare l’aria di ‘casa’ tua.
Con affetto,
zena
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Bellissimo, come sempre, questo tuo quadro dipinto con parole. Ma sei troppo brava….
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Cara Vera,
ti saluto con tanto affetto e ti ringrazio, come sempre…
zena
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Tu invece acchiappi le parole e le scavi, come si scava nella farina il nido per le uova, e lasci che lungo la carrellata delle immagini ( magnifico il ‘campo lungo’ che va dalla “faccia scivolata in basso” a quel “brio scattante nel collo (…) quasi in risposta a un’interna fanfara”) emerga dalla nebbia di accenni e perifrasi sapienti la genesi etimologica di espressioni, modi di dire, come per esempio “fanfarone/a” o “fanfaronata”. Questa volta, poi, lo fai accadere con un piglio graffiante tutto nuovo, che finora non ti conoscevo e che mi ammalia, davvero.
Ciao cara Zena, buona notte e buon tutto.
Un abbraccio, marilù.
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ciao, cara Marilù…
Dai, apri un blog: fammi un favore. Tu hai una magia deliziosa, che appartiene solo all’attenzione del cuore e all’agilità dei pensieri.
Un abbraccio,
zena
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Sei sempre molto cara, Zena.
Il fatto è che sono pigra e ultra imbranata con ogni aspetto e sottoinsieme della tecnologia; a volte anche la mia lavatrice arriva a farmelo notare, e non c’è trucco da apprendista stregone che tenga.
Comunque grazie, con tutto il cuore. Anche per il fatto di esserci, oltre che di continuare a curare con dedizione da vero incantesimo questo giardino sospeso e impigliato nella Rete. Non ti lascerò andare libera che nel ricordo i pensieri i sogni eccetera eccetera.
Ti riabbraccio,
marilù.
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Chiedo scusa a tutti e a ciascuno: sono stati giorni un po’ nomadi, sparsi in giro.
Adesso sono quasi a casa…
Intanto grazie per ogni passaggio e per ogni commento, sempre così generoso.
Un saluto grande e a presto, molto presto.
zena
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Non so il perché ma mi ricordano le storie della mia terra, dove l’è an scutmaj, https://eml.wikipedia.org/wiki/Scutm%C3%A2j
dove il nome va perduto e il sopranome rimane finché la morte non lo prenderà.
Al di là di queste battute, un bel racconto narrato con garbo e piacevole da leggere
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ma certo, nel basso mantovano si dice così e certi scutmaj durano più dei nomi oppure se li mangiano….e sono ereditari.
un saro saluto (e grazie, come sempre)
zena
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Nel ferrarese il nome vero si scopre solo quando muore. Nessuno ricorda, uscito dall’anagrafe, quello col quale è stato registrato. Il nonno di mia moglie ho sempre creduto che si chiamasse Marani, perché l’ho sempre sentito chiamare Maran. Nemmeno lei ricorda il suo nome!
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Manco da tanto dal blog…un’estate strana di staticità e cambiamenti e di sottile malinconia…
Come sempre leggerti mi incanta ed emoziona…grazie
Carla ^^
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Ben tornata Cicabù, ben tornata…
con affetto,
zena
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