Che siano i sogni a prendere la mano è cosa buona.
I sogni hanno  fili così lievi, diversi dalle corde dei doveri: hanno un estro vagabondo e repentino, che trova per amico solo il vento.
Fernando lo sapeva che avere un sogno era cosa buona.
Per questo l’aveva tirato fuori dalla tasca, una mattina, e se ne  era andato via. La valigia con due maglie e poco altro, per tenere dietro al suo pensiero: voleva perdere la terra sotto i piedi,  fare le strade per  vedere il mondo. O almeno un pezzettino.
A cominciare, per esempio, da Torino.
Per via del Carosello, la giostra vista da bambino: gli era sembrata la meraviglia in terra, con la musica di carillon  e il movimento lieve dei cavalli che andavano su e giù,  in morbidezza, con una grazia e una melodia  capaci di restare dentro.

Gli stupori che ti prendono bambino crescono  a cercare la seconda volta.
Nel tempo, il ricordo sa aggiungere qualcosa quando il cuore vi ritorna, finché il desiderio si stacca ormai maturo e rotola come pesca nell’agosto: c’è solo da seguirlo, senza mappe e senza pensamenti.
Così fece Fernando. A Torino c’era Malagò, il padrone della giostra bella.

Torno presto, disse in famiglia, ma prima ho da vedere delle cose: poi vengo a casa e mi sistemo. Se Bigìn vuole, lavoro anch’io nel forno.

Fra camion e corriere un po’ scassone, a piedi e dormendo nei fienili, non fu difficile raggiungere Torino.
Piazza Vittorio, prima ancora di sbucare da Via Po, stava già tutta nell’odore dello zucchero, messo a cuocere nel rame, insieme alle nocciole, e nel bruciato di castagne nel braciere, e nella nuvola che si alzava dai bacili, promettendo dolcezze di frittelle.
Fernando seguì l’onda dei profumi, contando in tasca quel che rimaneva.
Se la fame vince i  desideri, la bellezza però non ha rivali.
E su Fernando la bellezza calò dal cielo, in forma di sirena. Su fragile altalena, soggetta ai colpi del destino: tre soldi per un tiro di freccette, un centro per farla profondare sotto, nel mare di un telone. Coi suoi capelli biondi, i fianchi morbidi di scaglie e un guizzo di coda che pareva un volo. Pelle di giglio, chiara chiara.

I soldi servirono a  Fernando per comprare il diritto a non tirare: tutte le frecce tenute dentro al cuore, in adorazione della ragazza sospesa a mezza via. Per salvarla dall’acqua e dagli scherzi che i giovani urlavano ai bordi.
Sì, l’avrebbe tenuta sempre là, come le madonne di campagna fissate nella nicchia di un pioppo generoso.
Nilde la bella guardò  il giovane che bloccava il giro e uscì dal suo guscio di sirena per chiedere ragioni, ma già aveva capito, perché dall’alto si vedono le cose.

Ci sono decisioni che rompono gli indugi: tutta la vita dentro un gesto solo.
Quello, ad esempio, di chiedere lavoro al seguito di una giostra coi cavalli, per stare vicino a una sirena dalla vita doppia: di giorno a rischio d’immersione, di sera stella del bersaglio…
E quando il luna park  mosse le tende, Fernando non pensò a tornare a casa.
La dote della Nilde fu una vecchia carovana, al seguito del grande Carosello: un gancio al camion come firma del contratto, le fedi scambiate in una chiesa, il guscio di sirena ceduto a una cugina.
Ma sulla carovana c’era tutto quello che serviva: fare l’amore sottovoce, le tendine doppiate per pudore, sognare un nuovo tiro a segno, ideare un gioco con gli anelli dai premi favolosi e forse persino un gran serraglio, fra donne ragno e serpenti rampicanti.
Intanto si sentiva la terra scappare sotto i piedi, le strade srotolarsi come bisce: la vita che si amava, nello strappo silenzioso di radici.