Le suggestioni che nascono da Lungo il fiume di Ermanno Olmi vengono da molto lontano.

Sono il frutto di una filigrana di sovrapposizioni.
Sovrapposizioni non solo di linguaggi (immagini, colori, musica, citazioni…).
Sovrapposizioni di referenti di significazione (cioè di orizzonti di interpretazione, di sfondi per la lettura) in dialogo fra loro, perché è l’immagine stessa del fiume ad appartenere a sistemi culturali diversi e distanti, capaci di operare un continuo rilancio di donazioni di senso.

Quattro fiumi celesti delimitano i confini del mondo originario, secondo l’Antico Testamento.
Un fiume è il confine della Vita, nell’Aldilà.
Nei fiumi vivono i draghi, secondo le leggende cinesi, e grande è l’imperatore che sconfigge le divinità fluviali: da questa sfida acquisisce il suo eponimo più glorioso.
E’ presso il fiume che il Siddharta di Hermann Hesse impara le sue verità….. “Non è vero, amico, che il fiume ha molte voci, moltissime voci? Non ha la voce di un re, e quella di un guerrigliero, e quella di un toro, d’un uccello notturno, e d’una partoriente, e d’uno che gema e ancora mille altre voci?”. “Così è,” ammise Vasudeva “tutte le voci delle creature sono nella sua”.

“L’umanità, con tutti i suoi confluenti , grandi e piccoli, scorre sempre avanti, proprio come fa il fiume, dal¬la sorgente della nascita al mare della morte,- due oscuri misteri all’una e all’ altra estremità, e, fra essi, gio¬chi vari e vari lavori e incessante chiacchierio……… Centinaia di anni sono passati ronzando, mentre si eleva il ritornello del fiume: Io vado innanzi per sempre!” -dice l’indiano Tagore, riflettendo sulla somiglianza fra la vita del fiume e quella dell’umanità, accomunate da un incessante movimento progressivo.

Nell’opera di Olmi torna, dunque, l’elemento del grande fiume, con una ricchezza pluridirezionale di messaggi.
La parola del Narratore, poi, mediata dall’Antico e dal Nuovo Testamento, dal Libro di Isaia, messianico per eccellenza, come dai Salmi o dal Vangelo di Giovanni ( a sua volta, libro di Luce), non fa che infittire questa trama di rimandi, che cercherò di fissare in una costellazione di riferimento, prendendo come cardine il concetto di tempo, di cui il fiume è per antonomasia o per tradizione “ figurazione potente”.

Gilbert Durand, nella sua opera Le strutture antropologiche dell’immaginario, pone l’acqua fluviale che scorre fra “i volti del tempo”, figura dell’irrevocabile, dell’inarrestabile, “clessidra definitiva” .

Da Eraclito agli Stoici il fiume conserva questa connotazione.
Rientra nella galleria dei topoi che cercano di fissare la peculiarità del tempo.
Il tempo
• è profundum, abisso che precipita,
• è punctum, attimo atomo,
• ma è soprattutto flumen, che scivola, scorre.
Il tempo “fluit” e “rapit”….

Per parlare del tempo Seneca usa il linguaggio del fiume, i verbi del fiume che conferiscono movimento, rapidità, impetuosità.

L’opera di Olmi si appropria di questa metafora, la rivisita e va oltre: già il titolo lancia un termine ambiguo, a metà strada fra spazio e tempo; “lungo” , infatti, è vocabolo bifronte, capace di individuare un cronotopo: sa di spazio e di tempo; al primo regala la connotazione di filo, di nastro, e, avverbialmente, l’idea del costeggiare; suggerisce un bordo, una riva da profilare, una riva che si estende come linea, non come segmento. Proprio questa suggestione evoca un’ idea sequenziale, una successione temporale, che produce durata.
Con la parola “ lungo” si procede dinamicamente sul filo dello spazio, che si dipana nel tempo.

Tutte queste connotazioni vengono assorbite e rivitalizzate nell’idea di viaggio, situazione che, appunto, si fa, prende forma attraverso le coordinate dello spazio e del tempo.

E viaggio dall’alta alla bassa pianura, viaggio irregolare e discontinuo ( mai le riprese dell’acqua seguono lo stesso verso….)… è questa ricognizione di Olmi attorno al fiume:
viaggio fra uomini e cose, fra paesaggi che cambiano e riti e gesti che restano;
viaggio che conosce la dimensione dell’orizzontale e del verticale, perché il passaggio dall’acqua- terra al cielo è continuo, suggerito dalle simmetrie di volo degli uccelli, pascolianamente epifanie dell’alto.

“Affresco” lo ha definito Piavoli, affresco animato, contenitore di tante diverse temporalità:

• c’è il tempo della natura, scandito dal ciclo delle stagioni, dall’alternanza della luce e del buio, dallo sfumarsi dei colori, dall’avvicendarsi di sole, nebbia, vento e gelo; è il tempo degli elementi, ora amici ora tanto nemici da assumere la forma violenta del pericolo, della piena che tracima e minaccia; si tratta di un tempo auto-regolato, ricorrente, scomposto in una serie infinita di piccoli vettori a sé stanti, tanti quante sono le forme di vita, che fanno brulichio e partecipano al tempo con diverse velocità e con diversi ritmi, reciprocamente prestati e confusi : e allora la danza delle farfalle bianche diventa la danza dei piumini del pioppo che planano a terra e questa, in un gioco di metamorfosi, lascia la sua eredità d’immagine a un greto poroso che si anima di girini. E’ un tempo ciclico che incorpora il concetto di varietà , dove la nascita e la morte sono uguali, identici principi vitali.

• c’è il tempo delle cose, che è tempo dell’uso e del disuso, della rapina e del degrado.
Sulle cose il tempo diventa segno, traccia, ruga : il tempo diventa età. E’ la ruggine degli attrezzi, è la tenda cadente, è la barca sfasciata, dalle doghe slegate, è la facciata della casa che forse suggerisce un passato glorioso, ma ora denuncia il passare del tempo che è soprattutto declino, perdita della funzione, invecchiamento. Non è, questo, il tempo che si rigenera e rinasce, è il tempo della deprivazione e della logorazione: una fila di poltroncine da cinema, senza uno schermo.

• c’è il tempo degli uomini, che comprende uno sciame di direzioni e di parcellizzazioni:
1. il tempo del lavoro e della fatica,
2. il tempo del riposo e della contemplazione solitaria,
3. il tempo dei riti collettivi della festa, col suo strascico di carnevali, e canzoni, e fuochi d’artificio,
4. il tempo della velocità e della tecnica che amplificano la misura dell’uomo e le imprimono il guizzo del canotto, contrapposto alla lentezza indolente della barca.

• e c’è il Tempo del Fiume , che è il tempo del sempre, indifferente alla misura temporale degli uomini e delle cose, eppure capace di contenerli. E’ il tempo dell’ubiquità : “ Il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, nel mare, in montagna…..dovunque in ogni istante” .

Ma è anche il tempo che conosce l’offesa dell’uomo e l’assorbe, che sente la ferita e la rimargina, perché è il tempo della rigenerazione, che nella chiusura del cerchio , nella calata al mare, trova un nuovo inizio.
E’ il tempo del ritorno che produce e completa il ciclo della Vita.
Ed è in questa adesione al tempo della Vita che il fiume si riappropria, grazie al commento sonoro, di un’altra preziosa e fondante figurazione : torna al fiume il mito della sacralità dell’acqua, che è purezza feconda, perché dà vita .
Ed è su questo terreno che classicità e cristianesimo si incontrano e si prestano reciproche significazioni.
La sacralità dell’acqua è valore trasversale alle due culture: è sacra l’acqua del fiume nella cultura latina , sacra come tutto ciò che segna la rottura della continuità della terra, è sacra come lo è lo stretto, il ruscello, il lago , è sacra perché smagliatura che l’uomo non può rimagliare senza empietà….ecco perché , per Orazio, è empia persino la barca che solca il corso, ecco perché è così forte la nostalgia dell’ulterioris ripae transactae….sogno di armonia-unità perduta….., tanto sacra che , perché possa essere violata dal sacrilegio-profanazione del ponte, che congiunge ciò che per destino è stato separato, occorre una figura tutelare, un flamen, dal cappello dal lungo filo avvolto, e un pontifex….ovvero un sacerdote….

E sacra è l’acqua che lava e purifica e toglie il peccato , nel referente cristiano. Acqua che dà la vita e pulisce .
Non stupirà, allora, la sovrapposizione dell’immagine del Po con l’immagine messianica : l’offerta del sacrificio, del tempo della mondanità, del corso terreno per la conquista dell’altro Tempo, che richiede l’offerta della vita piccola per il trionfo della vita grande.

Non credo sia catechesi quella che Olmi offre, piuttosto l’occasione per una riflessione sull’uso del tempo e quindi sull’uso del fiume.
A noi che viviamo nel tempo, senza la consapevolezza, talvolta , del suo essere continuo, ma piuttosto come elementi soggetti a scadenza, come unità discrete, forse potrebbe spettare il compito di arginarne lo spreco.