Ci si rendeva conto che l’autunno non era soltanto la nebbia quando, per via della scuola, si percorreva la prolunga del viale, per arrivare alle medie.
La scuola nuova era in una casa del prete, almeno per la parte riservata alle femmine, e nell’asilo di una volta.
Qui stavano i maschi.
In mezzo, frontiera e barriera, un muro, scalato durante l’intervallo dai ragazzi, che sbucavano a mezzo busto, come burattini di carne, per gridare qualcosa.
Era vicina la scuola, appena spostata a destra, dietro il monumento, tanto che cominciavi a vederla, se rasentavi il muro della casa col giardino staccato.La strada si strozzava a intervalli irregolari, e, superata la casa della bambina col ventaglio, si stringeva proprio in bocca ad una casa piccola, la soglia sull’asfalto e il giardino dall’altra parte, col suo bel numero pari sul muro e un continuo travaso della famiglia: un po’ qua e un po’ là, a seconda del tempo.
D’estate, a passare per quel segmento stretto fra case grigie o coi segni di un qualche giallo, era come entrare nelle piccole vite.
La signora dei bottoni e la camiciaia chiudevano il viale, ma continuavano nei sarti della casa col giardino staccato. Con la porta sempre aperta e la finestra sfacciata, che quasi sentivi l’odore misto e leggero del caffelatte col pane, che non è amaro e non è dolce, la mattina.
In ottobre le finestre si chiudevano e io, che ormai arrivavo a specchiarmi nei vetri alti della cabina della luce, alta abbastanza per sbirciare anche in casa, non potevo più giocare a indovinare il colore della vestaglia della vecchia o se il vecchio con le spalle strette mangiava nella scodella in canottiera.
Dietro le finestre chiuse, ciascuno si riprendeva la sua vita. Senza più confidenza con il fuori.
Solo l’estate fa teatro.
Ai giorni freddi restano il pudore e gli odori forti, i fritti che sfiatano dalle imposte e gravano nelle strade strette.
Come vecchie abitudini.
L’unica finestra aperta nei giorni d’ottobre era quella della casa d’angolo, con le inferriate a ricamo e la ruggine ferrosa a scaglie piccoline.
Dietro la finestra era sempre seduta la vecchia grossa, di cui io sapevo solo il soprannome, quello che le donne dicevano ridendo, facendo intendere che la vecchia era sporca e un poco matta. Ricca e un poco matta da quando la figlia si era sposata lontano e a lei era andato il sangue alla testa per il dispiacere. Il sangue alla testa.
“Ve’ chi putina”.
Sempre la voce col lamento chiamava. Ma il lamento non faceva che rendere più vere le chiacchiere delle donne.
E il sentirsi tanto forti da non rispondere costruiva piano la distanza del disprezzo. O forse la repulsione. La repulsione verso ciò che vecchio e non gradevole, verso ciò che è vecchio e non è di casa tua.
Ci si può abituare alla dentiera dentro il bicchiere, rosa e impudica sopra il comodino o alla pelle sottile delle gambe crespe, come sfogliate, o a quella che grinza dal gomito al polso, se si accompagnano ai riti del mattino , quando il vecchio di casa tua è anche bello di profumo e strano nel suo bere la Ferrochina Bisleri nel caffè, la camicia bianca che sa di sapone.
E’ il vecchio dalla stilografica col pennino d’oro, che ti fa sentire piccola perchè ha spalle forti. E ti lascia ciucciare, strusciandolo tra l’indice e il pollice, il lobo dell’orecchio, che è morbidofresco del fuori, della nebbia o del buio.
E scrive a svolazzi verdi giustificazioni che ti fanno arrossire, ogni volta che sei stata a casa da scuola. La bambina è stata a casa perchè c’era il sole e siamo andati a fare un giro sull’argine. La bambina è stata a casa per salutare Bigio che è venuto apposta a raccontarle l’opera di Verona.
E’ sentirsi grandi coi vecchi la cosa terribile.
Sentirsi forti, di fronte al loro bisogno, sentire il fastidio dei grandi che odiano la debolezza, perchè la propria forza non è ancora così ben rodata, da essere magnanima….
“Ve’ chi putina”
Scappare veloci, fingendo un punto lontano da inseguire, inventare un amico all’orizzonte e dirne forte il nome e fingere di corrergli incontro, mentre uno strano disagio urta lo stomaco. E non sono farfalle di sorpresa.
“Ve’ chi putina”
Scappare veloci, avendo negli occhi tutte le storie strane di quel giardino col muro alto, di quella casa, tutti i racconti di gatti spariti per far dar concime alle peonie, rosse e carnose.
“Ve’ chi putina” …
colfavoredellenebbie ha detto:
“Ve’ chi putina”
Vieni qui, bambina…
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iorandui ha detto:
si… questo tempo che passa e ci rende come quel che si osservava. E ci controlliamo ogni tanto per non essere o per accettarci, così come si trasforma il nostro fuori, mentre dentro… Si guarda al mondo con incanto e disincanto sapendosi e sapendo.
Un abbraccio ma proprio grande mia cara commovente amica :-)
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colfavoredellenebbie ha detto:
Sto ripercorrendo gli sguardi con cui ho guardato alla vita.
L’incanto e il disincanto ancora stentano a soppiantarsi reciprocamente: convivono, in questa età che non cancella le altre, ma le accoglie, con una venatura di malinconia.
Un abbraccio grande grande anche da qui.
zena
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atward51 ha detto:
le tue descrizioni, Zena, sono ricami raffinati che sfidano il tempo.
Un abbraccione
edoardo
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colfavoredellenebbie ha detto:
Grazie, caro Edoardo: spero in momenti un po’ più tranquilli per dedicarmi a ‘certe’ cose che mi stanno a cuore. Contaci!
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poetella ha detto:
leggerti, zena… che fortunato, meraviglioso privilegio!
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colfavoredellenebbie ha detto:
cara, generosa amica…
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poetella ha detto:
<3
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Piero ha detto:
Attendo le altrettanto belle altre parti e poi commenterò. Ma sono già sicuro che sarà stato un racconto appassionante. Ciao, Piero
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colfavoredellenebbie ha detto:
é un pezzetto di vita ‘in vares’, si dice da queste parti…per indicare lo stato di un frutto che non è acerbo e non è maturo:)
ciao, Piero.
Grazie!
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Piero ha detto:
Allora non mi resta che attendere la maturazione. È stato un piacere. Ciao, Piero :)
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elisabetta19MR ha detto:
Ecco, l’avevo detto altre volte e sempre mi ritorna in mente: parafrasando un titolo di Lucio Magris, questi tuoi racconti sono MIcrocosmi al’interno dei quali scorre la vita passata e presente del tuo paese e della tua gente, vita che la (tua) memoria conserva intatta e che restituisce a noi (fortunati tuoi lettori) attraverso la (tua) meravigliosa scrittura.
:) :)
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colfavoredellenebbie ha detto:
Succede che a volte ho voglia di casamia, quella dell’infanzia…
E la memoria è una chioccia così gentile da tenere al caldo, sotto l’ala, quello che c’è stato.
Un abbraccio, amica cara.
z
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brigi1969 ha detto:
…di quell’orologio con le lancette pazze, a forma di forchetta e cucchiaio, appeso senza troppo sbaglio in dispensa: quelle posate erano vuote e pulite, nulla a che vedere con il calore della minestra della nonna, quella buona buona!
…di quelle corse a perdifiato che pensi di non averne ancora negli occhi per farti bastare la danza della candela, la sera, al centro del tavolo, mentre papà racconta alla mamma la giornata e spicchia con lei le fave dure per la zuppa che voleva somigliare a quella della nonna Nina…
Generazioni, ticchettìi di una vita che a volte senti breve quanto una giornata, per via dei ricordi…
(un abbraccio grande)
brigi
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colfavoredellenebbie ha detto:
cara Brigida, tu, con pochi tocchi, riesci a regalare persino il rumore secco delle fave che si spuntano. Grazie per questo transito.
Abbraccio
zena
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amanda ha detto:
Zena, questa volta mi hai fatta piangere
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colfavoredellenebbie ha detto:
noooo, ti prego!
C’è che è un ottobre un po’ malinconico, questo: mi viene da confrontarlo con altri, così totalmente amabili… e allora scappa qualche racconto in armonia con gli stati d’animo….
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amanda ha detto:
non va mica male versare lacrime per delle parole scritte, vanno a “raspare” e scoprono nervi silenti che forse non ricordavi di avere, ti riscopri un po’ più intera
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chiamamip ha detto:
È il nostro autunno, Zena cara, che ci sembrava tanto lontano…
Sono qui, ma non sono ancora tornata.
Ti abbraccio forte
Patrizia
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colfavoredellenebbie ha detto:
Dai, torna, perché sento la tua mancanza.
Ti saluto con tanto tanto affetto anch’io.
zena
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newwhitebear ha detto:
La traduzione serve – non a me che l’avevo compreso benissimo – ma è tutto il racconto che si snoda lieve e intenso con gli occhi duna ragazzina che si sta affacciando al mondo. Dunque i muri dividevano i maschi dalle femmine. Mai capito questo voglia di tenere lontani i due sessi.
Sei una formidabile narratrice e leggerti è sempre un momento speciale.
Felice settimana, Zena
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colfavoredellenebbie ha detto:
caro Gian Paolo, quasi conterraneo, grazie!
putina è una parola bellissima: anche le lacrime bambine, quelle che non crescono e restano per commozione nell’angolo dell’occhio, si chiamano così….
al g’ha li putini ai occ…
un caro saluto,
zena
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newwhitebear ha detto:
Hai la bambina negli occhi!
E tu lo dimostri.
Ciao e a leggere la seconda parte
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cristina bove ha detto:
si entra nelle tue atmosfere con la stessa delicatezza con cui tu le racconti.
un grande abbraccio
cri
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