Era l’inverno che s’ammalavano i bambini.
Arrivava la febbre con la tosse, quella cattiva che s’attacca come colla e fa caverne velate nei polmoni. E lo stringimento in gola.
(lo strazio del gattino quando ingoia un boccone troppo grosso)

La bambina era ferma a letto.
Tanti giorni chiusi, coi rumori che parevano lontani, fasciati con il feltro.
Erano venute anche le suore, mentre il nonno di nascosto faceva gli scongiuri.
A portare certi cartoncini bianchi con cani e casine da passare a filo, punto su punto, con l’ago dalla punta grossa: giochi per passare il tempo a letto.
Molti bambini erano scappati dal paese, dal suo cordone di maledizione.
Il dottore diceva Via, portateli in montagna, a cambiare l’aria nei polmoni.
La bambina era rimasta lì: troppo alta la febbre per andare.
Non bastò il brodo di pollo a tenere basso il calore.
Neanche l’alcol sfregato sul torace, che mostrava il telaio delle ossa, perché i giorni passavano digiuni.
Né il chiodo arrugginito che la nonna aveva nascosto nel cuscino.
La febbre saliva saliva e stampava sul muro le paure. Aquile nere e predatrici, topi con la coda che si faceva ragno o forse scarafaggio, mentre la tosse smuoveva tutto il corpo: la  sentivi arrivare dall’addome con un gorgoglio che diventava soffoco.

Polmonite, ormai è polmonite, il dottore sembrava spazientito, quasi la bambina non l’avesse curata sempre lui. Penicillina e tante inalazioni.
La bambina sentiva le cannule di vetro rampicare dentro il naso, gli sbuffi di sapore marcio e avrebbe voluto strappare i filamenti, ma la mamma le teneva tutte e due le mani strette strette.
(mamma nemica, mamma cattiva, mamma che tiene prigioniera)
E le cannule ormai erano serpenti che prendevano la strada della testa e andavano a imbucarsi nei pensieri: il sonno arrivava e poi sfiniva, tutto il caldo stampato sul cuscino e il sudore che svuotava il corpo. Tanta sete. Voglia di gettare le coperte, alzarsi e correre in giardino, coi piedi nella neve, ma la mamma rimboccava le lenzuola e le fermava come bende.
(mamma nemica, mamma cattiva, mamma che tiene prigioniera)
La febbre prese a scendere pian piano: restavano le ossa tutte molli, la fatica a mettere le gambe giù dal letto, il fastidio delle cannule nel naso subite ogni mattina, il freddo del vetro che voleva entrare.
La bambina cominciò a pensare alla storia che sua nonna aveva letto ad alta voce dal giornale, nell’estate.
Una madre infilava di nascosto gli insetti nelle narici di sua figlia, piccolina. Insetti con le tenaglie adunche, quasi scorpioni di pianura: forbicine scure, lucide  e guizzanti, a invadere le strade della testa.
La  bambina adesso guardava con sospetto la sua mamma e non voleva più mangiare.
E se le cannule di vetro altro non fossero che quelle forbicine? Pronte a scavare, scavare nel cervello, a formicolare dentro gli occhi, a graffiare condotti nel silenzio, a scendere nel sangue?
(mamma nemica, mamma cattiva, mamma che vuole far morire)
Meglio fingere di dormire sempre, a pancia in giù, con la testa nascosta nel cuscino. Muta, più neanche una parola. Per giorni e giorni.

Poi una notte sentì un tremito caldo sul suo corpo: sua madre era lì vicino e piangeva con voce di bambina, un miagolio di gatta disperata, tante i i i a pungere il silenzio, le braccia abbandonate sopra il letto, a carezzarle le gambe e le ginocchia. La luce della lampada smorzata.
Così giovane e stanca, con gli occhi pieni di dolore, come avrebbe potuto far del male?

La figlia si drizzò. Ho sete disse, finalmente. E’quasi  primavera?