• Pesci di nebbia

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~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

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Archivi Mensili: Maggio 2016

L’intelligenza della specie

29 domenica Mag 2016

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

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Elena Ghiretti, L’intelligenza della specie, Baldini & Castoldi.

Tre coppie si frequentano separatamente in una proporzione armonica, dettata da livelli diversi di conoscenza, di interessi e di affinità. Anna e Marco : Cri e Massimo = Cri e Massimo : Nathalie e Daniele.
Tutto accade quando la coppia mediana decide di far incontrare gli estremi, dopo averne acceso reciprocamente la curiosità. Il gioco dell’armonia si inceppa e propone una nuova, ironica edizione della teoria delle catastrofi, con la destabilizzazione, l’incrinatura e la decomposizione del gruppo.
L’attrazione per Daniele, infatti, intrappola Anna in un tortuoso gioco di seduzione che si avvita su se stesso, staccandosi dalla realtà per diventare un pensiero ossessivo.
A quel punto la proporzione diventa sproporzione: fra investimento emotivo ed oggetto del desiderio, fra virtualità ed esperienza, fra volere e potere, fra supposizione e situazione reale.

Non amo le strettoie delle definizioni, specie quando riguardano la letteratura, eppure l’opera d’esordio di Elena Ghiretti è così particolare e riuscita da sollecitare l’azzardo di qualche marca ‘territoriale’.

E’ romanzo della contemporaneità, spaccato di una società complessa, fatta di ‘caste mobili’, che allignano, come mondi rotanti e non comunicanti, in una Milano non massificata né convenzionale. Una Milano in cui il lavoro è etichetta di prestigio, citato come brand e non come mansione: una città che sa d’Europa, restituita attraverso un tour fra luoghi scelti (la libreria buona, i localini, il negozio alternativo, la bottega bio, il cantiere/ cornice di una festa o di un evento), spazi che i personaggi presidiano come simboli di uno status e di una distinzione culturale.
Seguire i luoghi citati dall’autrice non consente di tracciare una mappa di comunità, ma una mappa d’élite, animata dalle abitudini e dalle inquietudini di trenta/quarantenni creativi, rampanti cultori dell’inedito, che hanno meticolosamente costruito la propria vita come un artefatto, un qualcosa fatto ad arte nel segno del bello e del non usurato. C’è tanta voglia di viverlo, il bello, in una immersione totale: abbigliamento o natura, corpo o arredo, persona o film non fa differenza.

E’ romanzo che minimalizza l’azione e la trama, eppure non statico, anzi scandito in situazioni cicliche e rituali (la cena, il balletto di avanguardia, il cinema, la fuga dalla città verso una Liguria selvatica), ma costantemente indefinite, interrotte o rimandate, fluide negli esiti e nelle implicazioni.

E’ romanzo di s(og)guardo: i personaggi di maggior rilievo, gatto compreso, si osservano gli uni con gli altri nei minimi dettagli, si soppesano, si esplorano senza darlo a vedere: ciò che passa per gli occhi è oggetto di una valutazione continua, perché indizio di un modo di stare nel mondo. Lo sguardo è, infatti, l’attributo fondamentale di Anna, la protagonista, che filtra (e manipola) la realtà attraverso il suo punto di vista centripeto.

E’ soprattutto romanzo di ‘re(l)azioni a catena’, pensate, desiderate, qualche volta agite, e sempre allineate sul filo della seduzione. Sono relazioni in cui lo “stare insieme” all’interno della coppia sancisce una sorta di alleanza nonostante i silenzi, gli attriti, i segreti e le menzogne, e, all’esterno, fra coppie, costruisce uno stato concorrenziale, che colpisce soprattutto la componente femminile, ma da cui non è esente neppure quella maschile.
Se le relazioni non sono amicali ( perché all’amicizia sono state sottratte autenticità, fiducia e confidenza), le reazioni sono addirittura ostili, soprattutto quando vige la sensazione di uno sconfinamento di campo, di un’appropriazione indebita di relazione.
E’ allora che le buone maniere non reggono più e il risentimento rompe la superficie liscia delle apparenze, rendendo necessario il cambiamento.

Un romanzo raffinato, intelligentemente sottile, orchestrato da una regia sorvegliata, che consente alla lingua di scorrere piana, ironica, credibile.
Sono felice di presentarlo, insieme alla sua autrice, il 3 giugno, alle ore 21, alla biblioteca di Ostiglia.

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L’uomo col cane, ovvero le storie di Po

13 venerdì Mag 2016

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

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E poi ci sono le storie di Po.
Sono storie di gorgo e di riva, di sole e di nebbia.

Le tiene l’uomo col cane, che cammina cammina sull’argine.

Vede il Po quando è ruga magra d’estate, spiaggia di zampine d’airone e spire di cappe (lente) di fiume, segrete talpe di sabbia.
Vede il Po quando è gufo che gonfia le ali in autunno e ha voce bagnata e dà righe di muschio ai pioppi.

L’uomo col cane cammina cammina e sa le storie del fiume, che prende chi nuota con mani di acqua e tira al fondo, senza restituire.
Sa le storie che si contano in piazza, ma che nascono a riva, a occhi chiusi, in incontri fugaci, che lasciano rossa la pelle e il cuore sospeso.
Le sponde di Po sono ceste di bisbigli, la sera, a saperle ascoltare.
L’uomo col cane cammina cammina e non dice.

Solo una notte, alle parole che mossero il cespuglio di madresilvia, alla risata che pigolò a riva, rispose col nome di una donna.
E si allontanò.

Una finestra su Carlos Paz (alcune note sui racconti di Marino Magliani)

07 sabato Mag 2016

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

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“Sii fedele alla tua storia”: è Karen Blixen a mettere questa frase in bocca ad un personaggio dei suoi Ultimi racconti.
Quando ho letto Carlos Paz e altre mitologie private, i racconti di Marino Magliani  appena usciti per Amos Edizioni, ho ritrovato il senso di queste parole: ho riconosciuto non solo e non tanto il fondo autobiografico che ogni scrittore frantuma e dissemina nella narrazione, quanto piuttosto le modalità di un approccio che caratterizza la persona/scrittore.
E qui sta la fedeltà alla propria storia.
Mi son fatta l’idea, infatti, che chi ha viaggiato fra vite diverse in luoghi diversi, astenendosi dagli stupori che hanno il sapore del giudizio o della valutazione, chi si è esposto al cambiamento, come ha fatto Magliani, sappia poi usare la scrittura per accogliere tutte le forme in cui si presenta l’incompiutezza dell’esistenza: il suo farsi e disfarsi continuamente, il suo provare ad essere e a trasformarsi, da lingua a lingua (“le parole di un Sud da usare ora per le cose del Nord”),  da mare a mare, da roccia a sabbia, dal reale al possibile.
Il tutto all’interno dell’archetipo per eccellenza dell’inquietudine: il viaggio, un andare per andarsene, senza un motivo necessariamente dichiarato o dichiarabile.
In questo approccio, mai invasivo, alla varietà delle cose, dei luoghi, delle ossessioni private o generazionali, c’è amore per le storie, colte e raccontate senza onniscienza, e  c’è rispetto per i personaggi, mai sovra-esposti o svelati, spesso senza un nome, accennati magari per una provenienza, per un colore o una professione.
Nel respiro breve del racconto, Magliani  lascia spazio, quasi con pudore o con timidezza, all’implicito, che sa sfociare nell’onirico come in Arance, o in una narrazione cumulativa e veloce, come in Carlos Paz, fermandosi  sempre in tempo per non dire  troppo.
Ed è l’innocenza a colpire, una purezza che non viene meno neppure quando la parola, per dirla con Bachtin, incrocia ‘il basso corporeo’, il registro informale (senza disdegnarli) o gli aspetti più minuti, terragni e materici della realtà.
Anzi da lì, dall’assolutamente trascurato, dall’informe, addirittura dal frattale, esce uno dei racconti che io amo di più: Spazzatura.
Una subliminale lezione sul destino delle cose, delle parole, della memoria, attraverso la spazzatura, metafora e lettera non di ciò che resta ma dell’ultima ri-partenza.
Ciascun elemento fa il suo lavoro: vetri, lattine, plastiche si usano, si consumano, le parole si sparpagliano, si combinano, si danno un ordine come in una ruota, ma “ogni tanto salta un dente, e lì ecco, è quando subentra la memoria. Lei rimette a posto i meccanismi del nastro. E quando ha fatto il suo lavoro bisogna gettarla, non serve più, non si tiene la memoria ammucchiata in un luogo, non è conservabile, si può riutilizzare ma ogni volta bisogna cercarla come se fosse la prima volta.”
Si getta la memoria, come si gettano le cose e le parole, anche le trame, anche le storie che hanno viaggiato su una pagina o su un monitor.
Si getta non per chiudere ma per provare, forse, un attimo di nostalgia o di pentimento, e sicuramente per tornare a cercare, rimestando nel circolo (non sempre virtuoso) dell’esistenza.
Ancora partenze e reiterati ritorni, dunque,  per rinvenire fedelmente le configurazioni inedite della possibilità, proprio come quando si fruga nella rumenta : “rompo un rametto di olmo o una canna e mi metto a cercare le forme, i colori, disseppellisco qualcosa e riconosco vecchi nomi e pubblicità”.

I racconti di Grazia

03 martedì Mag 2016

Posted by colfavoredellenebbie in accompagnamenti

≈ 12 commenti

I racconti di Grazia Giordani (Pelle di ramarro, Il Cerchio) sono brevi lampi letterari che della letteratura conoscono a fondo la lezione: il valore della parola accuratamente scelta, il ritmo che non indugia, il dosaggio misurato e controllato delle situazioni e dei dialoghi, la seduzione degli incipit.
Sono racconti capaci di suggerire atmosfere, in una sinestesia continua fra elementi visivi e uditivi, per cui le voci, in Dissolvenza, sono luminose, “brillano nel buio” secondo fasci di diversa intensità, per poi disfarsi in opalescenze, fino a diventare ‘interiori’, in diretta comunicazione con il sentire.
C’è una tale corrispondenza fra il dentro e il fuori dei personaggi che basta all’autrice intagliarne con pochi tratti carattere e fisicità per farli continuare a vivere nei pensieri di chi legge.
A questo scopo la scrittrice ne consente addirittura brevi fuoriuscite surreali, perché abbiano vita al di fuori dei romanzi, da lei precedentemente scritti, ed entrino nei suoi racconti. E’ quanto succede a Ginevra, protagonista del romanzo Signora a una piazza, che rivendica una libertà d’azione fuori dai confini del libro in cui è nata per animare anche uno dei racconti più imprevedibili, Frenesia.
Basta questo esempio per capire che i racconti di Grazia non sono mai la cronaca che ripercorre semplicemente un accaduto, non hanno l’azione al centro della trama, ma, di volta in volta, racchiudono un gioco di wit, un guizzo di ingegno creativo, di invenzione letteraria che spiazza il lettore con una svolta improvvisa della narrazione: a volte è un paradosso (come un amore che resta nelle chiose ai margini di una pagina, o come una seduzione affidata ad una fotografia o a una voce), a volte è l’intreccio  metafisico dei sentimenti, metafisico proprio perché va oltre i limiti della realtà, ne intacca la solidità, e lascia intravvedere una dimensione che si alimenta di ricordi, di relazioni postume e di affinità elettive.
A volte è un incontro, predestinato o casuale, sempre un colpo d’ala del destino che  non diviene banalmente motore di una felicità, ma di un rovesciamento, di un cambiamento che segna: una tangenza che non necessariamente si prolunga in storia, ma in cui qualcosa di entrambi i soggetti resta reciprocamente impresso nell’altro, in forma ora di nostalgia, ora di rimorso, ora di inquietudine irrisolta.
L’incontro non è soltanto un motivo ricorrente: è la sintesi, tradotta in elemento tematico, di un modo di leggere il flusso delle cose; ci dice quanto la vita sia uno sfiorarsi casuale di esistenze, dentro a un caleidoscopio di combinazioni  continuamente in movimento.
I racconti di Grazia accolgono con eleganza questa imperscrutabile oscillazione e  la traducono in possibilità.
Per questo, spesso, le storie narrate valicano i limiti di una conclusione ed hanno bisogno di dilatarsi in finali diversi, in cui l’autrice riprende o continua il racconto, in armonia con la complessità della vita.
A segnalare quanto, in essa, tutto possa svolgersi in più modi, alterni e divergenti, seguendo le strade dell’ amore e  del disamore, della realtà e del sogno, dell’essenza e dell’apparenza, della fine e dell’inizio.

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