Ci sono momenti in cui si vorrebbe chiedere alla vita d’avere mani gentili e al tempo di tornare indietro, per sentirsi bambini, una volta ancora, al riparo di braccia forti e sicure.

S’è riaperta la cesta degli affetti, questa sera, come accade ad ogni saluto, ad ogni partenza.

E le cose già state fanno sciame. Confondono i tempi e i luoghi, ma non il senso di quanto ricevuto. Sfoglie di ricordi volanti, leggere come i vestiti della Diana, cuciti in casa dalla Iris (trionfi di sangallo e sottogonna), o le chiacchiere di schiuma con l’Antonietta bella e saggia,  nel secchiaio, o i capelli della Rosa, cotonati ad arte e in fretta premurosa, prima della scuola. E certe cantatine per le strade di montagna, al buio coi cugini, quando aspetti che qualcosa accada. ( L’ombra silenziosa del padre da lontano, perché non si sa mai …)

C’era una volta un altro rito: quello del gigante buono, che sapeva addolcire ogni distacco, con la mano  a ventaglio, fuori dal finestrino, fino alla svolta dell’auto, in fondo al viale. Chi restava si teneva quel saluto come la promessa di un ritorno, nel tepore della famiglia grande.

Vorrei vederla ancora, quella mano, perché sarei sicura di un rientro, di una gioia restituita, all’improvviso, in una giornata rossa di conserva.