• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

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A favore di vento

25 domenica Giu 2017

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Gli era sempre piaciuto camminare, sull’argine, per lasciare correre gli occhi sulla terra. E arrivare fin dove le hanno tirato via la prima pelle, per fare i rotoloni.
Quasi si aspettava un verso di dolore, al passaggio della macchina da pressa, sotto il sole.
A Nedo piaceva seguire la sua scia, che diventava piccola e lontana, fino a sparire in fondo, dove, a puntellare il cielo, c’era solo l’orlo dei pioppi cipressini.
E aspettava l’autunno, intanto, ripassando nella testa la rete dei suoi posti buoni.
Perché, in autunno, ci sono i tartufi da svegliare, quando la luce comincia ad essere più corta.
Era il suo mestiere, ormai, e, insieme, il suo piacere delle ore vuote dai lavori dell’orto e del frutteto.
Coi primi freddi. Perché il tartufo, nella bassa, è amico del fresco e dell’umido. Pure del buio.
Ottobre già è un buon mese, con certi cieli a goccioloni, con certi temporali lividi che portano frescura e con le nebbie che arrivano a velluto, morbide e silenziose.
Come se la terra rivoltata mostrasse il suo lato di vapore e rendesse incerto l’orizzonte, a galleggiare sulle cose.

Bastava poco: stivali senza paura della mota. C’è che al tartufo piace stare ai bordi di un campo o di un fossato, nascosto su una riva di Po o in un boschetto rado. Poi un bastone, serviva, per spostare un rovo o un cespuglio. E un vanghino, certo, ma di lama delicata, per scavare con misura, perché il tartufo è in un nido di radici e le radici sono come uova, vanno trattate con gesti gentili.
Sono buoni i pioppi e i salici, i tigli nei pressi delle strade, sui cigli, e le querce vicino a una vena d’acqua, così le radici non si affaticano a cercarla e si piantano un po’ meno..
Nedo giurava che, a favore di vento, l’odore del tartufo, proprio del suo cuore, lo sentiva. E più ancora lo sentiva il cane, uno spinone con le zampe grosse che si era tirato su neanche fosse un figlio, tanto che la Leila quasi era gelosa.

La Leila sì, che era figlia sua, anche se pareva venire dalla luna, smorta come la saliva, con quell’affanno al cuore. Mai corso, in tutta la sua vita: bastavano tre passi frettolosi per vederla con le gocce di sudore freddo. Doveva andare calma, senza far fatica, allora aveva studiato da maestra, nel collegio delle suore: la scuola più alta di tutta la famiglia. Adesso aspettava la chiamata per andare a insegnare chissà dove.
Nedo aveva soggezione di quella figlia che sapeva di latino e parlava tanto bene: a tavola sempre in punta di forchetta e sua mamma che cercava di tenerle dietro.
Lui si vergognava a mostrare le sue mani grosse, coi segni di nero intorno alle unghie. Non s’aggiustavano neanche con la varechina. Così mangiava poco, si infilava la giacca con le tasche e si prendeva il cane: a chiamarlo bastava un fischio prolungato.

Si andava, con lo spinone che correva avanti indietro e poi puntava attento, la zampa davanti sollevata, se una frasca si muoveva, se uno squittio di topo spaventato tinniva fra l’erba cavallina. Abbaiava per fare rimostranza, perché il padrone lo sapesse, si sa mai.
Quando Nedo gli dava la sua scheggia, una raspata di grana dal profumo piccante e saporoso, il cane lo sapeva cosa si andava poi a cercare. E allora era tutto un andare rasoterra, fra l’umido e il verde. A vederlo zampare fitto fitto, con il muso intubato fra i cespugli, a Nedo saliva il cuore il gola, perché lo spinone non si sbagliava mai. Per questo il mediatore della Palazzina, il caseificio, glielo avrebbe comprato a peso d’oro…

Anche quel giorno non era andata male: un grano per dar sapore al riso, all’osteria di piazza, l’avrebbe venduto di sicuro. Ma era mezzogiorno e preferiva andare a casa.
Trovò le donne in pianto e in visibilio.
La Leila con il telegramma in mano.
Il posto, da dopodomani. Nella scuola di Cavo. Ci vado in bicicletta, che la corriera non ci passa più.
La Leila pareva gran contenta, ma la madre guardò suo marito e scosse la testa, con la bocca che tirava in giù.
Nedo non ci dormì tutta la notte: si vedeva la Leila arrancare in bicicletta, con le gocce di sudore intorno al labbro, bianca da far paura.

Sì alzò più presto che poté, chiamò il cane e prese la traversa che rotolava secca dentro la corte della Palazzina. Il cane sembrava ancora addormentato e non faceva la festa neppure alle cornacchie, che tagliavano l’aria in diagonale.
Ritornò con una Topolino color caffelatte un po’ sbiadito.
Da solo.
Da solo senza il cane.

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11 giugno

08 giovedì Giu 2017

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Sono stata parecchio lontana dal blog, negli ultimi tempi.
Moretti direbbe ‘ho fatto cose, visto gente ….’
In effetti è stato così. Anche così.
E ve lo voglio raccontare.

E’ successo che, in mezzo a tanti problemi, ho rinnovato la passione di fare cose per il mio paese, all’interno del gruppo di cui, ormai storicamente, faccio parte: Alla Luce del Sole. Tante storie diverse accomunate dalla condivisione di valori forti, quali il bene comune, l’inclusione, la solidarietà, l’amore per l’ambiente e per una politica pulita, slegata dagli interessi e dal concetto di utile.

Mi ha aiutato l’interagire con l’energia e il cuore dei giovani, che sanno mettersi al servizio di una comunità, sfatando il mito che li vuole ‘sdraiati’, indifferenti o svogliati.
Non dice la verità, questo mito, naturalmente senza generalizzare, ed è un privilegio scoprirlo.  Un privilegio che scalda e richiede la presa in carico di una responsabilità: quella di esporsi in prima persona, se si vuole essere credibili nel proporre e nel seminare valori e obiettivi.

Così, nella nostra casa – più povera perché non c’è più la parte più importante della mia vita – sono entrate le idee, i progetti, la voglia di fare di tanti ragazzi e non ragazzi, e le risate, le luci accese in tutte le stanze, le sedie occupate. E poi giri vorticosi di mail, squillini telefonici, bozzetti a matita, planimetrie, foto dall’alto… E incontri erratici, qua e là, per capire, per spiegare, per relazionare.

Ci saranno le elezioni, l’11 giugno, nel mio paese che si è appena fuso con un altro: si cercherà di continuare un’esperienza già avviata, con l’innesto di progetti nuovi e persone nuove.
Non so come andranno le cose, ma qualunque sarà l’esito, il frutto di mesi e mesi di lavoro è già tangibile: un NOI bello, articolato, solidale e complementare, un NOI che non ha perso la memoria di chi ha fatto la sua parte ed ora dimora in un altrove, ma ha saputo fondere età, percorsi, competenze, persino orientamenti religiosi e ruoli, nello stesso impegno.

I ragazzi del gruppo a questo punto direbbero: Zena, questo è un pippone.
Sì sì, verissimo … e me ne assumo la responsabilità
:)
Zena

Ps) andate qui, per favore, su fb
Sermide e Felonica Insieme – Alla Luce del Sole

https://www.facebook.com/Sermide-e-Felonica-Insieme-Alla-Luce-del-Sole-358926780799726/?fref=ts

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04 domenica Giu 2017

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≈ 11 commenti

Fu l’estate di Georges.
Nel senso di Calonghi Badellino. Il migliore dei dizionari di latino.
Tutto il sapere tutto, in due volumi neri e pettoruti. Di carta a grana grossa e segni di formica a dire la differenza fra regola ed eccezione.
Bisognava averlo, perché quello di casa ormai cadeva a pezzi e  c’era da inventare: il nastro adesivo per pacchetti (marrone, per altro) già si era  mangiato intere colonne di parole in giunte provvisorie.
Insomma c’era da prendere una decisione.
Il costo del Georges Calonghi Badellino era imponente e si sommava ai libri di greco e tutto quanto, per la scuola alta.

Perché non vieni a dar ‘na mano, la ragazza va in ferie e te sei svelta, disse la Ines del negozio, una mattina: già da piccola ci andavo per cerniere, spagnolette e ogni tipo di grosgrain, sussiegosa per i compiti maturi che miazia, la sarta, da sempre mi assegnava (scegliere il colore del filo da cucire, contare gli automatici due volte, cose che riempiono di soddisfazione…).

In realtà non c’era un gran da fare, nei pomeriggi caldi dell’estate. Però si stava bene.
La bottega era un luogo di frescura: entravi e la luce veniva da lontano, scriveva un corridoio nell’androne, foderato di pezze di stoffa alle pareti, di manichini con le dita mozze e  spilli a modellare improbabili drappeggi sulle spalle.
Il vecchio marmo, che faceva pavimento, dava un frigidino persistente, come in ostaggio fra le ali dei banchi laterali: lì, lì sopra, si  poggiavano richieste di bottoni, sospiri per pizzi e taffetas, svelature di calze e sottovesti, campioni di tessuti che chiedevano spighette in armonia.

C’era in fondo solo da ascoltare e poggiare le cose possibili sul banco: sorridere, anche. Ed essere gentili: scomporre le cartine dei bottoni perché facessero proprio il loro occhio e dare un colpetto con il polso: così la biancheria pareva un sortilegio volato fuori dalla scatola, con le pieghe ancora ferme al loro posto.
Piaceva, alla signora Ines, se aggiungevo frasi un po’ da grande … come ha scelto bene, …  ah, piace anche a me, … l’ha comprato pure la miamamma …
La vedevo assentire con la testa.

Forse fu questo a darle un’altra idea.
Vieni più presto, domani pomeriggio.
Al banco ammiraglio, quello col cassetto dei conti e dei tesori, c’era un registro, assieme ad una penna.
Scrivi, mi disse, ché non ho mai le idee se muore o si sposa qualcheduno. Scrivi, così faccio una figura buona, anche per i battesimi e le comunioni. E’ che ci vogliono parole per tutte le occasioni. Scrivi ben qualcosa pure per gli auguri.

Fu l’estate delle parole in fila, a compensare i vuoti dei clienti con tanti bigliettini in ordine di tema e di lunghezza.
Con nascite e nozze andava a meraviglia, la mistica invece un poco difettava. Ma era nelle frasi di cordoglio (parola sempre odiata con fierezza) che fruttava il lato drammatico di casa. Certe espressioni che sfuggivano a mianonna, certe poesie di Foscolo recitate da miamamma, ritornavano in  frasi piene di urne, di ombre e di celesti doti… Scrivevo e rileggevo proprio col magone quei ‘nel giorno della vita più angusto e doloroso’  e mi veniva da tirare su col naso.

L’estate finì ed io fui ricompensata, moderno baratto fuori norma, con due scampoli di lana e di cotone: prima avvisaglia di simil-sfruttamento che germinò in mute proteste e grandi pianti.
Il Georges  Calonghi Badellino me lo comprò mio padre.

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