L’alfabeto della primavera produce i suoi suoni.
È il caldo, che scoppia come un soffione.
È il verso (mai battezzato) della tortora, che chiama la femmina, con il basso in gola.
È la ghiaia, che sgrana i passi, non più impastati di fango.
Si dirama la parola in forma di “lama senza resa”: in attesa del profumo, la madresilvia si sta impossessando della grata.
Il vento non trova pareti in questa pianura.
E la sera, che viene, è in forma di odore.
Un’altra sera che vorrei sciogliere in conversari pigri, quelli che girano attorno alla tavola dei pensieri e dimenticano da dove son partiti.
Una sera senza luci, per favore.
Perché le bastano gli amici e la promessa di un’albicocca.