Si era in giro, a mezzogiorno.
Sulla strada che va oltre il Po, vivaio di poiane arcigne al palo e di aironi piantati a bordo fosso.
Guardavo le case che muoiono d’inverno.
(La linea del tetto che si ammolla, quasi il tempo picchiasse sopra il collo. La trama che cede in crolli silenziosi. Caverne d’aria scoperte di mattina, senza testimoni)
Case vecchie e vuote, forse sorrette da geni solitari, come certi altarini campagnoli con l’ulivo scampato ad ogni fiato.
Tutte uguali.
Eppure, sui coppi che resistono nella corte lunga, un’apparizione.
Non macchie di umido fiorito, neppure muschi affumicati.
Un biancore a placche: discreto e palpitante. Spalmato sopra il tetto. A partire proprio dal crinale.
Colombi. Una colonia di colombi.
Gonfi e accartocciati.
A sorbire quel filo di sole inesistente, vendetta sulla nebbia del mattino.
A godere di quel tetto senza crolli.
Come certi pensieri del mattino, rotolati dal buio e dalle notti inquiete.
Cercano la luce, sul tetto della nostra parvente realtà.
poetella ha detto:
Che i tuoi pensieri del mattino siano sempre bianchi come come colombi!😘😘😘😊😘
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colfavoredellenebbie ha detto:
Io non so se mi merito dei lettori così cari, ché sono ‘slandrona’: sempre in ritardo, poco presente, col tempo che mi scappa e io a rincorrerlo….
Grazie, amica bella.
z
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Amanda ha detto:
La nostra parvente realtà: l’effimero
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colfavoredellenebbie ha detto:
Basta un attimo per scioglierla: un filo d’aria su un soffione:)
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newwhitebear ha detto:
leggendoti si vedono le immagini e i personaggi, anche se qui sono gli uccelli, poiane, aironi ma in particolare colombi.
Sei in grado di accendere l’immaginazione e tutto appare come un quadro dipinto da un superbo paesaggista.
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colfavoredellenebbie ha detto:
E’ il mio mondo, Gian Paolo: potrei essere solo di pianura:)
saluto grande.
zena
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newwhitebear ha detto:
un mondo che ami.
Un abbraccio
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nuzzomonello ha detto:
Ci sono vie di case vecchie. Che hanno anch’esse nomi vecchi, nomi che risucchiano i secoli, quando il paese nacque, il paese della povera gente. Ra gintuzza. Mentre i palazzi, più in là già risuonavano di luci e dello scalpitio delle carrozze. Quelle case vecchie, dagli uscì obsoleti e i muri scrostati, hanno le finestre aperte, rifugio del fico selvatico che cresce che cresce e in estate da pure i suoi frutti, che però nessuno raccoglie. Ci si passa sempre da quelle strade e lo sguardo di posa indolente sul passato. Vuoti simulacri vivi di una vita che ancora risuona in quelle stanze battute dal vento e ornate dall’edera. Monito muto per ogni passante seppur distratto. A prestissimo, mia cara. Corrada
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colfavoredellenebbie ha detto:
Mi sembra di rileggere una pagina di Brancati, carissima, e risentire la voce del vento di Pachino!
Un abbraccio colmo d’affetto, Corrada.
zena
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nuzzomonello ha detto:
Grazie, non so se merito cotanto riconoscimento, ma Grazie
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