I terrazzi fra muri non danno per scontati i prestiti di sole.
Si accendono anche di cieli incerti, belli di attesa, ma, quando la luce arriva e si apre come una pesca, allora è festa. I terrazzi fra muri la fermano, la stampano sulle pietre e ne accudiscono il tepore.
Torni pure il grigio, torni pure il freddo: la luce in conserva sarà cristallo, nel tempo.

I terrazzi fra muri si affezionano alle cose.
Tengono i segni, per tanto tempo: macchia d’umido o zampine di cyssus, non importa.
Lo sa l’edera, che ha radici nell’aria e tenta, sarmentosa, un’improbabile fuga.

I terrazzi fra muri abbracciano la pigrizia di certi risvegli d’estate, la domenica, quando il tempo fa come il lumino: resta lì, impaludato nella cera sciolta, a girare su se stesso.

I terrazzi fra muri accolgono colazioni e passaggi: pensieri spalmati col burro, sul pane, risatine quiete e assaggi d’uva fragola e melagrana.

I terrazzi fra muri s’incantano delle voci e dei ricordi: li nascondono fra le fessure.
Chi parte si accorge che dovrà tornare, per riprenderseli.
Non sta bene lasciare parole e memorie in giro, come corallini scappati dal filo.