Bastava un’imposta da fermare o uno sfiato d’aria da implorare al sonno, per aprire una finestra e vederli camminare: Armando e Nerone, presi in eterni conversari e impennate di pause teatrali. Nel buio che si lascia attraversare da brevi fenditure d’arancione: la brace di una sigaretta, un fiammifero di luce repentina…
Cosa avessero da andare e riandare, parlando tutta notte, restò uno dei misteri della Bassa.
Su e giù per i sentieri a pettine dell’argine, fino alla golena.
Su e giù per la via grande e per la piazza, per poi finire al cospetto dei Due Mori, quando pure gli ultimi nottambuli chiudevano giornata: le biciclette incerte, nel pensiero del vino di domani.
Allora le voci dei due amici picchiavano nell’oscurità come le campane.
A ben sentire, la voce era una sola, tale quale il tocco che diceva l’ora.
Alta e massiccia, sempre sopra il palco, a cercare la luce del lampione e il sì sì di Nerone, unico pubblico e unico applauso.
Anche una biscia sarebbe uscita rotta a costeggiare il lungo discorso dell’Armando, che prendeva nel suo giro ogni muro, ogni siepe, ogni biolca di terra del paese.
Qui c’è bisogno di una strada vera, diceva al suo compagno, una strada che si faccia corta e larga, per arrivare svelta. C’è da tagliare giù per la campagna, stringere la corte, quella a squadra, e poi andare dritti, oltre il loghino…
Le braccia si aprivano nel gesto per spiegare meglio il suo pensiero.
Le mani disegnavano le mappe, carte notturne di transiti nuovi, per passi di sogno e di leone.
C’è che le idee nascevano al mattino, nel caseificio o nella porcilaia, ma solo la notte si scioglievano in parole, che l’Armando allargava, tirava per la giacca e portava dove voleva lui.
In città, soprattutto.
Perché quella era la meta della strada: la città coricata di pianura, morbida e lenta. Coi negozi di pantaloni bianchi e panama con la tesa larga, i tavolini messi sulla piazza, col vermouth fermo nei bicchieri: discorsi e quiete chiacchierate sotto i portici con la pietra vecchia, fra i mediatori di tutta la provincia.
Ma ogni città sarebbe andata bene, coi suoi odori di macchina e petrolio…
La città era fedele morgana di ogni giorno, il senso del pane e del lavoro.
Di notte sembrava più vicina: come un amore da cercare e vivere dal nome.
Le donne coi nomi di città son sempre le più belle, e le censiva, con l’aiuto di Nerone, sotto il fico fiorone dell’Ernesto: la Roma, l’Ancona, la Ginevra, la Parisina…
Forse pensando alla sua Zara, chiara come una piazza sotto il sole, l’Armando salutava il suo compagno con un A n’in parlarem, che galleggiava in aria, promessa di altro tempo, parlato e vagabondo: inarcatura lasciata alle parole.
Un po’ come la frutta raccolta verso sera, acconto e speranza della conserva buona.
Quella di un giorno che ha proprio da venire, fedele a questo pegno.