C’è che le rivolte sono cose strane.
Nascono da un niente e il niente, d’improvviso, non è un niente.
E’ la vita che si mostra e che si dice, senza incanto.
La Rina non era mica bella. Neanche brutta, però.
Aveva le spalle larghe da rasdora, di una che non si tira indietro e si tiene tutte le fatiche addosso, il busto un tempo glorioso e adesso un poco sfatto, dopo i figli.
Ci stava così bene nella sua corte a porta morta: la casa di qua, con i servizi, e le bestie di là, col barchessone in mezzo, per gli attrezzi. Il Landini no, quello stava nel capanno, perché non si sa mai: vento, pioggia, e poi il motore ingrippa.
La terra sapeva prendere per dare e, adesso che le angurie erano finite, c’era da aspettare ancora un poco per il grano, nei campi là di dietro, da ripianare e dopo seminare.
Per quello bisognava che tornasse suo marito.
Al resto pensava lei, e con soddisfazione.
Pure le bestie ripassava col bovaro, ogni mattina, adesso che i figli ragazzi erano in collegio.
E a tempo perso preparava la casa per il freddo: gli ultimi pomodori in salsa, la conserva di prugne dentro le bottiglie, con la polvere bianca per farle un po’ durare, le verdure sott’olio e sott’aceto.. Anche le dalie aveva rinforzato, coi bastoni, per separare l’orto dal cortile,
Al pomeriggio restava solo da guardare le galline.
Se le teneva come un diversivo.
Le piaceva vederle in corsa, dietro i grani di frumento grosso lanciati in aria, a mo’ di pioggia.
Il grembiule ne teneva tanto e tanto lei ne avrebbe dato, insieme coi resti del radicchio, certo pane duro che ormai non si mangiava, un po’ d’orzo e le bucce di patate e di fagioli.
E’ il becco che fa buono l’uovo, lo sapeva.
E lei, le uova, le voleva gialle e grasse, non come quelle della Eda, che invece risparmiava anche sul mangime.
Lei sì che le sapeva ben tenere, le galline.
E ci metteva l’aglio nel pastone, e anche la cipolla, per cacciare i vermi dalla pancia, e l’aceto fatto con le mele.
Per questo suo marito gliene portava sempre una a casa, quando tornava dopo un viaggio.
Eh sì, una gallina era un bel regalo…
E stavolta tornava da lontano, l’uomo: da Recoaro, dove aveva passato le acque, dopo la stagione, quando i campi han già dato tutto e persino il padrone poteva riposare.
Due settimane con la camicia bianca a bere l’acqua che fa bene.
Come Giuseppe Verdi, lui lo diceva sempre.
Naturale che lei doveva stare a casa.
Mica si poteva andare in due. La casa, le bestie…
E poi là c’erano signori e donne fini: bisognava parlare bene l’italiano.
Lui sì, lui sapeva stare dappertutto. E dire che non era andato a scuola e a ben vedere non era niente bello. Aveva una gran chiacchiera, e le donne, si sa, ci cadono con niente.
Una volta nel taschino aveva trovato la foto di una vestita da gran dama.
C’era scritto qualcosa… A saper leggere, magari. Ma chiedere a un figlio non le sembrava cosa buona. E poi era passata.
Anche l’odore sulla giacca era passato. Profumo di violetta.
Comunque adesso ritornava.
Gli avrebbe fatto la frittata di uova e di cipolle, per la sera, che a Recoaro non la sapevano fare come lei.
E poi si sarebbe messa la camicia da notte che piaceva a lui, non di quelle grossolane della dote, ma quella leggerina, che pareva seta.
Pensava e guardava il gallo, intanto.
Quello, l’aveva scelto lei.
Piccolo e nero, con la cresta diritta e prepotente.
Come suo marito, che girava per la corte pettoruto, su quelle zampette corte corte, e tutto squadrava e tutto controllava, le mani sui fianchi come ali. Sempre in movimento, a dar ordini e a dire cosa fare. Il naso a becco, in aria, ché la testa non l’abbassava mai.
Pran fina la fritada, aveva detto. Visto che bella la gallina. L’è ‘na liurnesa.
Poi era andato a letto, girato sul fianco, verso il muro.
Lei gli aveva fatto una carezza e lo aveva cercato con il piede.
Lassa star, che pasar li acqui l’è na gran fadiga.
La mattina la Rina voleva ben vedere la livornese nuova. Bianca di latte.
Se la guardava e riguardava, la sua gallina bella, che girava nel pollaio tutta sola.
Poi, dal cespuglio di rosmarino, venne fuori il gallo.
La livornese gli andò incontro con le ali in aria.
Con la cresta tutta accesa e le piume gonfie di speranza,voleva la sua festa.
Il gallo la guardò e le girò le spalle.
La Rina si sentì la rabbia dentro: ehi, galet, ma s’et a stà a Recoaro anca ti?
Raccolse un sasso bello grosso e lo tirò contro il gallo.
Fece centro.