• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

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Pensieri in fuga 30.

22 venerdì Nov 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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Piace andare per paesi e per strade di mezzo. Fra canneti fossi e case sperse, senza necessità se non di occhi nuovi.
E’ tra-vedere fra il prima e il poi, come il guardare fra i fili delle tende, diradati con le mani.
E’ scoprire l’anima sciolta del cielo nell’onda ritardataria degli ultimi storni, che si slarga e si rapprende, stormo di briciole vive.
E’ capire che anche l’acqua più ferma respira.

C’è una strada parallela alla grande, trenta metri più in mezzo.
Il canale ha pareti di alberi, verso la Bonifica.
La nebbia arriva (non sai se dall’alto o dal basso, ma certo, arriva).
E sbatte contro i muri, a cercare un punto di fuga.
E rotola, rotola a palla sull’acqua, fra sbuffi e scoppi silenziosi.
Si ferma e ristagna, compatta.
Nebbia seduta allo specchio.
Cancella cancella.
Dei pioppi, che si stanno spolpando, resta solo un pennacchio di ruggine, là in alto, sospeso come la memoria.

Poter galleggiare sulla vita con l’orgoglio dei pioppi nella nebbia …

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Pensieri in fuga 29.

06 venerdì Set 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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E’ una sera liquida.
Gronda umidità.
Non si fa goccia né forma, quest’acqua diffusa.
La vedi obliqua e spezzata, nell’aria, senza compiersi.
Picchia sulla spalla, come un avvertimento, poi si dilata e si sfibra, a mezza quota.
Svapora e si perde.
Misteri che accadono in quella terra di nessuno, troppo bassa per gli uccelli, troppo alta per i fiori, indifferente agli uomini, che nulla fanno all’altezza del petto se non ascoltare il cuore.
Resta l’asfalto umido, fra bordi irregolari e opachi.
Un lucore immotivato, neppure richiesto da questo buio senza luna.

E’ così che la vita raddoppia.
Specchiata.
Uomini fanti su una carta da gioco.
Fari che sgocciolano.
Due versi, due capi, una stessa svolta.
La riga, che separa la cosa e il suo doppio, trema e vacilla.

A quale mondo apparterranno mai i pensieri?

Pensieri in fuga 28.

18 giovedì Lug 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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Quando mi impigrisco nel primo pomeriggio, nipotina al computer, fratello ancora sul viale del ritorno, affiorano i ricordi della famiglia grande. Erano quiete, allora, le giornate di luglio, impastate di lentezze infinite.
Le cose, nella tranquillità del dopo pranzo, sembravano figure di cartone col piede ripiegato, in attesa che una palla di stracci le buttasse giù.
Niente corpo. Leggere di colori, nella loro immobilità.
E se da strada un urlo lungo di cornacchia o di bimbo di colpo batteva la stanza, solo in quel momento l’attesa sussultava, ferita.
Tutto tornava carne.
La vita, puntuta, ha il suo modo di farsi sentire, aspro d’amarena o ago di suono.
L’aria che avvolge i pensieri scoppia e non c’è più la confidenza sonnolenta fra il dentro e il fuori; il dentro si ritrae, impaurito.

Il “su andéma” della Dina mianonna era la scossa nervosa che pungolava il dopo-mangiato e rompeva i conversari svagati e un po’ intorpiditi che legavano alla tavola.
Prima del riposo stavano i piatti da rilavare e riporre.
La casa, già calda, bolliva per l’acqua che si voleva fumante e le due nuore di fretta, nello stanzino, lavavano, finalmente d’intesa, e asciugavano i piatti.
Gli altri potevano, secondo contratti e bisogni, usare il tempo del pomeriggio…
Ma chi poteva avere il coraggio di svenare il silenzio che, come un cordone, stringeva la casa?
Il silenzio scendeva di colpo anche fuori, migrava leggero e aveva qualcosa di trattenuto: non era assenza, non era vuoto, era un esserci a bassa voce, di rimbrotti e risatine chiocce, quasi dal volume dipendesse il tacito accordo del viale.
E il silenzio portava la frescura di finestre accostate, di porte con un filo di sfiato.
Niente più voci, zitte le radio sulle ultime note di Capodistria, niente più piatti e ciabatte veloci.
Un silenzio arancione.

 

Pensieri in fuga 27.

15 lunedì Lug 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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Amo questa poesia di Walcott.
La amo tanto, perché disegna un tratteggio rosso fra necessità e ineluttabilità.
Dice come si può essere scelti dalle cose, dagli affetti, dalle passioni.
Dice come si può essere raggiunti dalla vita e, di colpo, leggerne la richiesta che dà voce a un bisogno.
Dice come si può essere raggiunti dalla poesia, ad esempio, che, palafitta o cuneo, si inchioda dentro.
E mi viene da pensare che davvero ciò che prende e cattura non galleggia lieve sui giorni, non è occasionale schiuma, ma va al fondo, ad occupare bisogni cavi.
Davvero il tempo non toglie il “bisogno d’ingombri”, né il bisogno di sentire.
Regalo grande, l’ingombro del cuore.
Regalo grande, il sentire.

Concludendo

Vivo sull’acqua,
solo. Senza moglie o figli.
Ho aggirata ogni possibilità
per approdare a questo:

una casa bassa presso l’acqua grigia,
con finestre sempre aperte
sul vieto mare. Certe cose non si scelgono;

noi, siamo quel che abbiamo fatto.
Soffriamo, gli anni passano,
ci liberiamo di tante zavorre, ma non del bisogno

d’ingombri. L’amore è una pietra
che si è posata sul fondo del mare
sotto l’acqua grigia. Ora, non chiedo niente

alla poesia, se non vero sentire,
non pietà, non fama, non sollievo. Sposa silenziosa,
possiamo sederci a fissare l’acqua grigia,

e nella vita che tracima
mediocrità e rifiuti
vivere come roccia.

Dimenticherò il sentire,
disimparerò il mio dono. E’ più grande
e arduo questo, di quanto là passa per vita.

(Derek Walcott, Prima luce, Adelphi,2001)

Pensieri in fuga 26.

24 venerdì Mag 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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Ho ritrovato un cartoccio di fotografie.
Non proprio un cartoccio: una vecchia busta maltrattata, gonfia di figurine.
Dono della Rosa miamamma, come in un passaggio di consegne.
Certe sono così piccole, coi bordi dentellati, da sembrare francobolli del passato.
Altre hanno i colori degli anni settanta, lucidi.
(Andava l’arancio, anche in foto, non solo nei disegni delle tende)
Sono di tempi diversi: lei, ragazza con le amiche, occhi neri e capelli dolci, mio padre, smilzo con la sigaretta accesa, lo zio, col cappello sulle ventitré e lo sguardo che fa innamorare. Io e mio fratello, bambini. Mio fratello, noto martellatore di statuine del presepe, con l’aria angelicata della prima comunione. E guanti bianchi, molto mistici. Io imbronciata. Sorrido un po’ solo nella foto dove sfoggio una vestina a quadretti bianchi e rossi, serpentino-munita. In stile derviscio, sembro in procinto di una piroetta. Mia cugina grande ha lo stesso vestito, ma in versione più adulta: cintura in vita e maniche moderatamente a sbuffo.
Alcune foto hanno quella muffa giallina che fa da collante fra l’una e l’altra: quale sacrificare se ci si attenta a staccare? Molte sono state ritoccate da scarabocchi infantili o ritagliate o ridotte. Anche un po’ strappate.

Le ho lasciate così, solo impilate a pacchetto e legate con l’elastico, che poi si mineralizzerà e si spezzerà, sfiduciato.
Le ho infilate fra il De bello gallico e Il fiume di pietra. Tanto fra un po’ le coordinate cambieranno o me le sarò dimenticate. Di nuovo.

Io e miamamma, così diverse fra noi, abbiamo sempre avuto in comune questa strana gestione delle foto. Niente album, niente contenitori di metallo ben sigillati, neppure una scatola per le scarpe. Molto spesso neppure le cornici.

In realtà nella mia famiglia estesa ci sono due scuole di pensiero: una invita all’ordine della raccolta.Tutta la storia di affetti e vite amorevolmente custodita, cartoncino dopo cartoncino, diapositiva dopo diapositiva, con le date chiare sulle cassette.
Io ammiro questa scuola, ma appartengo all’altra, quella delle foto finite dietro i mobili, infilate in mezzo ai libri o nei ricettari di cucina, oppure lasciate nelle tasche dei cappotti, dentro le borse che non si usano più, nei cassetti fra le chiavi e le penne che non funzionano, i biglietti della spesa mai buttati e le impegnative scadute per esami non effettuati.
Così, in libertà.
Ci penso, ogni tanto, a questo non saper/voler fare ordine.
E non so dare la colpa solo alla mia pigrizia.
C’è che vivo coi ricordi a porte aperte: in circolazione nella mia giornata e dentro le cose.
Mi piace che arrivino e mi prendano senza preavviso, per essere come i cronopios di Cortazar: “quando un ricordo passa di corsa gli fanno una carezza e gli dicono affettuosi: “Non farti male, sai”, e anche:”Sta’ attento, c’è uno scalino.”
Forse spero pure in un giro d’aria, in un po’ di corrente che scompigli i tempi e non faccia dire ‘prima’, ‘poi’ oppure ‘c’è già stato’.
Un respiro che tolga immobilità.

Sono immobili solo le conclusioni.

Pensieri in fuga 25.

03 venerdì Mag 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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A volte il tempo è una specie di bozzolo avvolgente: te lo senti addosso, con il suo ronzio, e ne indovini lo spessore di ovatta.
Non sembra scandito in giorni e ore, o in fili ordinati come le frange di un tappeto, che si possono contare così bene.
No, è una matassa che tiene insieme Il Tempo Perso, Ieri, Il Tempo Che C’E’ Da Qui A Là (beeello, quello: sembra lunghissimo), Il Tempo Che Ti Rubano Gli Altri, Oggi, Il Tempo Che Ti Rubi Tu, Il Tempo Per Restauri Alla Vita, Domani…

Nella matassa mica c’è separazione: il tempo è tutti i tempi e ciò non è male. Sta lì attorno come una nebulosa placida, come una grossa goccia o un mattone trasparente.

Il male c’è quando ti rincorre, quando le lancette sembrano mettersi d’accordo per diventare spadine, quando fa rumore e balla al passo di tachicardia, con quei suoi piedini ticchettanti.
Allora i minuti fanno la ronda, ad ogni giro d’ora si fanno sentire. Dalla mia cucina cantano con la voce del picchio, del cuculo, e pure dall’allocco, e di ora in ora mi pare che l’intervallo si abbrevi, che i minuti abbiano imparato a procedere a coppie. Vardali lì: persino a piramide, gli esibizionisti, sulla bicicletta. Passati in trentacinque…

Ecco, io sono in questa fase: coi minuti che mi fanno lo sberleffo mentre passano e le spadine e i piedini ticchettanti. Tutto quanto.
Insomma, la mia pigrizia sta subendo un durissimo colpo.
Sogno il bozzolo, la matassa, spero che i minuti cadano dalla bicicletta e che inciampino.

Pensieri in fuga 24

21 domenica Apr 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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Da una domenica all’altra il tempo è un lungo respiro trattenuto.
Il settimo giorno si scioglie, piano piano.
Per questo, nella mia costellazione, ‘indolenza’ è parola della festa. Lenta e in discesa, contiene un poco di pigrizia, un minimo segnale di abbandono, che sfuma in trascuratezza saggia: sapere che il foglio scivolato chissà come (nella fessura più ostica da aprire) può anche restare in quel suo nido. Un altro po’.

E’ come pennellarsi attorno uno strato di gomma sottile e avvertire le cose da lontano.
Gli urti si fanno più gentili e lo scatto vitale arriva ammorbidito: quando te ne accorgi, è già passato e allora lo saluti con la mano.
Forse poi ritorna.

A volte si ha bisogno d’ indolenza per fermarsi ed ascoltare: docile accoglienza del senso delle cose, fiducia che ci sia del tempo per capire, per trovare varco e pausa.
Piccoli lussi per entronauti casalinghi, che non escono dal bordo del tappeto.
Per ora si tiene ferma pure la speranza che, di suo, è tanto faticosa: ama progetti e proiezioni, viaggi di lungo corso in un domani incerto.

Fuori, le campane viaggiano distese.
Buona Pasqua.

Pensieri in fuga 23.

05 venerdì Apr 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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La  meraviglia del parlare d’arte in una splendida città d’arte, con le mensole che si offrono come polene incantate e cavalli al galoppo.

E’ un ritrovarsi nella rete delle idee e degli affetti che durano e curano nel tempo, dolci e profumati come tralci di gelsomino.

Se la pausa potesse figurarsi, dovrebbe avere la luce della pietra di Noto, il sapore delle mandorle di Avola, i colori di Sant’Elia, il sentire espanso di Nuzzo, che affiora in forme di argilla ed è forza capace di muovere mondi, e la sapienza antica e carezzevole di Corrada.

La pausa è un corrispondersi amico.

Si torna arricchiti, con qualche paura in meno e con i pensieri cedevoli a stimoli nuovi, quelli che arrivano freschi di primavera e già hanno il ronzio operoso delle api.

(dedicato a Corrada, a Nuzzo, a Maria e ai loro amorevoli amici, per non dir di Jackie)

Pensieri in fuga 22.

11 lunedì Mar 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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La strada di mezzo costeggia il Tartaro, ora non grasso di rane né di lenticchie d’acqua, così ramarre nei giorni di sole.
E’ spirituale, il Tartaro, per via di certi aironi lividi alle sponde, perfetto aplomb in ogni stagione, indifferenti ora a nuvole moschine ora all’erba che ghiaccia.

Sembrano gigli di terra povera, gli aironi, esili di zampa e nobili di becchi pistillo.
A vederli spiegati, ti chiedi come tanta ampiezza, come tanta grazia possa restare incollata e silenziosa, quasi appuntata al corpo, prima del volo. Trattenuta dallo spillone del collo, ad arpa.
Movimento covato nel chiuso.
O inceppato.
Poi, questo venir fuori improvviso.
Aperti, gli aironi sono il volo largo. Modulazioni d’aria.
Il collo perde piano la curva dolce e si tende, come dietro a una musica.
Lenti aironi in lenti cieli, senza superbia.
Facile pensare a quante cose, a quante idee, ferme in terra, diventino vaporose e mobili, in alto.
Srotolate e libere, come il fumo.
In espansione.
Hanno bisogno di aria le cose idee, anche se è un’aria color carta da forno. Densa e insonnolita.
E pure, e pure… sai così doloroso il riplanare, tanto conosci la ferita del richiudersi che, dell’alto, conservi intatto il sogno non speso.
Resta imploso, il tuo volo: intalpato nel ripiegamento noto di ogni giorno, mentre a fanali accesi stai nella strada di mezzo, che non è terra e non è acqua e neppure cielo.
Fino al prossimo airone.

Pensieri in fuga 21.

05 martedì Mar 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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Si era in giro, a mezzogiorno.
Sulla strada che va oltre il Po, vivaio di poiane arcigne al palo e di aironi piantati a bordo fosso.
Guardavo le case che muoiono d’inverno.
(La linea del tetto che si ammolla, quasi il tempo picchiasse sopra il collo. La trama che cede in crolli silenziosi. Caverne d’aria scoperte di mattina, senza testimoni)
Case vecchie e vuote, forse sorrette da geni solitari, come certi altarini campagnoli con l’ulivo scampato ad ogni fiato.
Tutte uguali.

Eppure, sui coppi che resistono nella corte lunga, un’apparizione.
Non macchie di umido fiorito, neppure muschi affumicati.
Un biancore a placche: discreto e palpitante. Spalmato sopra il tetto. A partire proprio dal crinale.
Colombi. Una colonia di colombi.
Gonfi e accartocciati.
A sorbire quel filo di sole inesistente, vendetta sulla nebbia del mattino.
A godere di quel tetto senza crolli.

Come certi pensieri del mattino, rotolati dal buio e dalle notti inquiete.
Cercano la luce, sul tetto della nostra parvente realtà.

Pensieri in fuga 20.

07 giovedì Feb 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

≈ 15 commenti

C’è nella mia casa, porto di mare senza sirene e babele di libri fogli e foglie, la stanza per i silenzi.
E’ una stanza di buon carattere: guarda la strada, che si apre in fondo, e, se solo si sporge, incrocia i colori del ginko biloba, l’ultimo a lasciare il giallo.
In genere è quieta e sfoglia vecchie pagine.
Per ringraziarla di tante mute regalie, la accendo di ciclamini piccoli o di erica bianca, perché i fiori sono il mio modo di dipingere i pieni e i vuoti di gratitudine.
E’ l’unica stanza in cui si sta bene soli: la stanza tiene senza comprimere, diventa latte caldo se c’è freddo, diventa lavanda e menta se c’è malessere.

Una volta era la stanza eletta per ascoltare la mia musica, quella di cui neanche riconosco il nome, ma che so passo a passo, perché l’accompagno nel suo viaggio lungo la mia vita.
(Vivo nella suprema indifferenza per nomi numeri dati di qualsivoglia natura, io. Li vorrei scivolosi e malcerti…Fosse per me, anche noi cambieremmo nome, nelle nostre stagioni …)
Eppure, in questi giorni, ritirati e infittiti come una maglia di lana, persino la musica sembra far rumore.
La mia stanza lo sa e tace.
Offre una poltrona al cappotto, che è fatica riporre nell’armadio, e l’altra a me.
Sa che ho bisogno di tacere perché le energie tornino a fluire, le mani si scaldino, i pensieri si sgelino e il fare, sempre in combutta col dovere, lasci il posto a vagabondaggi non finalizzati, al perdere tempo. Ah, poter dire e sentirsi dire “non c’è obbligo”.
La mia stanza diventa lo spazio dei respiri.
Da piccola tenevo il fiato più che potevo, perché doveva pur succedere qualcosa. Magari il fiato trovava altre strade; fluitava nelle vene?
Perdevo la scommessa e aprivo la bocca.
Adesso non gioco più così: adesso respiro fondo e intanto ascolto l’anima del pavimento che risponde ai passi, il grattino del pennino sulla carta, così diverso dal suono secco della tastiera, che lascio tranquilla, perché si decomprima e mi saluti, al ritorno, senza ricordarmi il lavoro.

In questo silenzio, sto con il brusio dei linguaggi interiori, che lentamente affiorano come sgravati dai pesi. E cerco risposte morbide a quel filo di pensiero che, lento e interrogativo, sembra cercare le fessure del pavimento di legno.

Pensieri in fuga 19.

16 mercoledì Gen 2019

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

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Non so da dove arrivi l’amore per le strade.
So che s’accorda all’estro del momento, al tempo delle cose, agli umori del sole.
Anche dell’ombra.
Piace che le strade vadano nel mezzo, con svolte improvvise di platani o di pioppi.
O che si aprano, pigre ed emiliane, ad ospitare ai lati le donne in bicicletta, mercati un po’ cinesi e un poco no.

(S’aspetta che arrivi la città costeggiando furgoni di ultime arance parasiciliane e radicchi appannati, fra canali di aironi imbalsamati)

Piace che passaggi a livello mai cambiati e semafori, che pendono dall’alto, impongano soste visionarie.

(L’anatra che passava sulle strisce, quieta e ancheggiante, sotto un incrocio di sguardi divertiti. Qualche tempo fa)

Piace che si possano rubare scampoli di vita, ai bordi della provinciale.

(Case anni ’50. Alcune con zoccoli di marmo ad arlecchino e il gioco di un volume rientrante, giusto per muovere un poco la facciata. Balcone in muratura appeso a due colonne, dipinte a finto marmo. Stile geometrile, si dice qui da noi)

Sul portone di una casa gialla, una vecchia, molto anziana e corpulenta, sta salendo sulla bicicletta, manubrio largo e ben squadrato, da primo dopoguerra.
Il marito è alle spalle di questa laboriosa operazione.
Si salutano, ma l’uomo non rientra: ferma la moglie con un eh, poi la raggiunge, le rialza il bavero e le sistema i capelli, dietro al collo.
La signora è in fragile equilibrio sulla pista, ora.
Sorride.
Ferma al semaforo, mi prendo questa scena e mi dico che forse c’è speranza, se restano i gesti: quelli semplici, semplici e sufficienti a fare casa.

Pensieri in fuga 18.

24 mercoledì Ott 2018

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

≈ 6 commenti

Sto pensando ai fili che collegano i pensieri alle parole.
I pensieri vivono nel disordine della fluidità: non hanno stacchi né separazioni, si muovono con l’andamento dei sogni, ad anse lente e tangenti. Onde pigramente mobili. E sovrapposte.

Le parole hanno bisogno di distanza. Le mie, almeno, da sempre cercano la differita.
Per questo ripercorrono spesso la strada del ricordo. Per questo stanno bene nell’attesa.
Ricordo e attesa sono i due modi della distanza temporale. Le due direzioni.

I giorni del silenzio, mi dicevo una volta, hanno l’ovatta intorno: non cose, non persone, non parole. Solo pensieri, invece, a fare fitto, a prestarsi paure rasoterra, domande che s’arricciano come bruchi e brevi respiri di sollievo.
Senza distanze.

C’è solo da accoglierli.
Nell’elogio della pazienza.

Pensieri in fuga 17.

12 venerdì Ott 2018

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

≈ 18 commenti

‘Spinello’ è una parola che mi fa venire in mente l’odore dell’olio 31.
E allora mi metto a ridere.
Perché mi riporta alla mia capacità di essere imbranata in qualsiasi situazione: basta prenderne una a caso e so darne una interpretazione estemporanea, ma adeguata.
Io non fumo: per una questione di imprinting.
Non fumo proprio nessuna cosa: l’odore delle sigarette mi dà fastidio, il fumo mi fa venire male agli occhi, mi chiude il naso e via scocciando. Però non disturbo chi fuma: gli chiedo solo di farlo in bagno, meglio se chiuso a strati nell’armadietto Billy, o sul terrazzo sotto un sole torrido o passeggiando davanti a casa nei giorni di gelo. Solo questo.

Bene. Questa è la premessa.

In uno dei miei primi anni di insegnamento (decisamente diverso tempo fa, quindi), capito in un Liceo di città, la stessa in cui mio padre, da pendolare come me, riveste una carica molto esposta.
Una sera di gennaio avanzato, la riunione a scuola finisce tardissimo: sessanta chilometri di nebbia fitta, e pure sul ghiaccio, spaventano anche i coyote. Da fare in macchina: impossibile. E non ci sono più treni.
Sono con un’amica cara, del mio paese, con me nella stessa scuola.
E con un altro gruppetto di prof. pendolari e stanche.
E con la nebbia a parete, cui si può appoggiare una bicicletta, senza farla cadere.
Telefonata a casa.
Mio padre mi fa: si dorme lì, pensione V., dove vado sempre io. Mi conoscono, vedrai che vi trovano ‘na stanza.
Si fa così: danno a me e alla mia amica la stanza di mio padre.
Alle altre due colleghe una contigua.
Si va a mangiare una pizza, si ride come si può ridere solo dopo un collegio docenti, quando la vita ha il sapore di un’evasione e tutto ti pare leggero leggero, anche se c’è la nebbia.
Si va in camera: pensioncina piccolina, stanze con muri di vetro: quella dei padroni sullo stesso piano.
Dopo cinque minuti dalla buonanotte collettiva, bussano alla porta della stanza: sono le altre due colleghe che ridono e ridono, entrando con fare furtivo.
Ci fumiamo uno spinello: dicono. In compagnia.
Spinello?
Mai visto da vicino, io.
Molta letteratura in proposito, avanzata e improntata ad un sano antiproibizionismo, ma nessun desiderio di presentazioni ravvicinate. Né contatti.
Sotto sotto, però, mi lavora per bene la vergogna di parere una di campagna e pure bacchettona, una di strapaese, mai stata in treno, mai vista una credenza.
Le due fumano.
Tranquillamente e odorosamente.
Non gliene può importare di meno se noi non si condivide.
Nella stanza c’è l’odore che immagino appartenere ad una fumeria d’oppio. È dolce e appiccicoso.
Naufrago nell’imbarazzo, che mica è legato alla fumatina in sé, ma a quella fumatina nella MIA stanza, che poi è la stanza di MIO padre, nella pensioncina di MIO padre, nella città di MIO padre, in cui MIO padre può fare una brutta figura.
Mio padre comincia a sembrarmi gigantesco.
Potrebbe uscire dall’armadio e dirmi… belle cose che fai in giro e io non mi stupirei. Anzi sarei felice se lo facesse subito, almeno mi tolgo il pensiero.
Mio padre comincia a sembrarmi un gigantesco aspirapolvere che può sentire l’odore spinelloso stando a casa sua.
A sessanta chilometri.
Ancora di più lo potrebbero sentire i proprietari della pensioncina.
Allora geniale intuizione: spalanco le finestre e mi metto, con l’amica che mi conosce a memoria e ha la mia stessa disinvoltura di marmo, al davanzale.
Come le sorelle Materassi.
E facciamo anche finta di avere caldo: pertanto ci facciamo vento.
La gente passa sotto le finestre e guarda in su un tantino perplessa: due ragazze alla finestra di un alberghetto che si sventagliano a mano aperta.
Realizziamo che forse non è un gran bel vedere.
Le due finiscono e se ne vanno, ridanciane e spensierate. Noi restiamo pensierose e col mal di testa, lì, a spolverare l’aria e a versare ovunque gocce di olio 31.
La stanza sembra la succursale di una caramella svizzera.
E noi ora ridiamo come cretine.
Uno spinello all’olio 31.
Altroché.

Pensieri in fuga 16.

03 mercoledì Ott 2018

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

≈ 22 commenti

Mi si è scolorita la tastiera.
Mi sono morte lentamente la ‘n’, la ‘m’ e la ‘l’.

Questo getta ombre sinistre sulla mia scrittura (vagamente sbiancante: toglie colore? scioglie le lettere, specie quelle liquide, effetto candeggina?).
Vero è che la faccenda mette in cattiva luce anche le tastiere.
Ne parlavo per lettera a un amico, tempo fa: le tastiere, bisogna avere il coraggio di dirlo, hanno cattivo carattere.
Abituate a stare in basso (rispetto al monitor), secondo me coltivano complessi di inferiorità che le rendono vendicative.

Le tastiere più altezzose sono legnose e accompagnano il movimento delle mani con un ticchettìo lievemente tedesco. Ne escono scritture segaligne, che sembrano aver fatto le scuole in certi austeri collegi nordici.

Le tastiere più sensibili schizzano subito: silenziose e operose, sembrano pattini. Vuoi scrivere una ‘g’? In rapida successione fanno fitto sul monitor anche una ‘f’ e una ‘h’ . I tasti si muovono con la forza dei pensieri. Ne escono scritture ubertose, coi pampini e le foglie, docili alle idee.

Le tastiere più bugiarde, invece, hanno i tasti falsamente morbidi e retrattili, in realtà affondano solo per prendere la spinta sufficiente a creare un molleggio terribile, che assomiglia al beccheggio di certe imbarcazioni, portatore di mal di mare. Ne escono scritture vibratili ed emotive, dal sapore tremulo e ottocentesco.

Un caso a parte sono le tastiere come la mia: hanno dei momenti di auto-esaltazione che alternano ad altri di depressione.
Premi un tasto e quello si rigenera: batte le ciglia e scrive tre, quattro volte la stessa lettera, come se dicesse “visto che efficienza?”. Poi si sgonfia come una vescica e ti lascia intendere che è esaurito: si blocca perché si sente un tasto doloroso della tua vita. Lo premi a vuoto, lo senti chiuso nel suo incanto. Tasto autistico.
Tu gli sussurri… “dai, su … vero niente, nel tuo genere sei anche un bel tasto”: se si riprende c’è qualche speranza, altrimenti bisogna pensare ad una protesi…
Il risultato è comunque una scrittura diseguale: a volte un po’ ripetitiva, a volte muta come certe acque troppo quiete.

E ora?
Che scrittura uscirà dai tasti bianchi?
La pagina crepita a nuovi spazi d’indecisione

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