Da stamattina ronzo attorno al pc e mi invento qualche lavoro aggiuntivo, qualche faccenda da sbrigare, per prendere tempo.
Ci sono tanti racconti, tanti pensieri che mi girano in testa; vengono tutti dagli uomini di casa mia, che, la resistenza, l’hanno fatta per un’impellenza etica, perché la sentivano giusta e, quindi, necessaria. C’è, fra loro, chi è morto a trent’anni, per questo, e c’è chi ha dedicato tutta la vita al compito di portarne avanti il messaggio, con la congruenza che allinea gesti, parole, fatti e sentimenti.
L’Italia nuova, quella ‘liberata’, oggi compie 70 anni.
I vecchi di casa mia non ci sono più o restano attaccati alla vita con spilloni di ricordi e medicine.
70 anni sono l’esistenza piena di un uomo: dentro ci stanno gli amori, la speranza, i tentativi, le scelte, i compromessi, la malattia, gli errori, i successi, i sogni, le cadute, i sacrifici.
Ci stanno i padri e i figli.
Non è diversa la vita di un paese.
L’Italia bambina, figlia dei figli, è uscita resistente e partigiana dal nero di un ventennio, si è innamorata della speranza, si è liberata di gagliardetti e corone, si è data le regole belle, i valori dei nuovi padri, e li ha chiamati “costituzione”.
Si è misurata con le idee e con le cose: ha lasciato che i princìpi, i pensieri, le posizioni si mescolassero e si distinguessero, nel gioco della democrazia, imperfetta ma coltivabile con cura quotidiana.
Ha fatto boom negli anni ’60, mettendo ruote alle famiglie e ricostruendo case.
E’ cresciuta, ma come certe piante che forzano la fioritura ed esauriscono la potenza delle radici: ha gonfiato le spalle del nord e sgonfiato le gambe del sud.
Ha dato fiducia a chi non la meritava, ha vacillato sotto il peso di paure inedite, fatte di piombo e di stragi, ha visto l’altro volto, spesso sconvolgente, delle ideologie, ha provato il disinganno di mani pubbliche sempre più sporche e compromesse …, il tutto dentro un mondo che abbatteva muri simbolici, ma non colmava, anzi alimentava, il divario fra ricchezza e povertà, creando meticolosamente i presupposti di una crisi planetaria senza precedenti.
Quel piccolo orto di democrazia, imperfetta ma coltivabile con cura quotidiana, ora è una zattera su mari incerti, in un mondo sempre più ingiusto, dove l’ospitalità è negata e la corruzione tollerata.
Per questo oggi non ho voglia di fare festa, ma sento un’apprensione crescente ad ogni cattiva notizia, che racconta di inganni, di miseria e di egoismo: si sta sprecando la lezione della resistenza, una lezione d’amore per la vita e per il diritto di viverla. Un diritto che non ha confini: è lo stesso di chi chiede lavoro, rispetto o approdo, qui o su un barcone.
Allora rileggo quanto Vittorini fa dire all’uomo Ezechiele, in Conversazione in Sicilia: “Il mondo è grande ed è bello, ma è molto offeso. Tutti soffrono ognuno per se stesso, ma non soffrono per il mondo che è offeso e così il mondo continua ad essere offeso”.
E mi convinco che la resistenza ha bisogno non solo di memoria, ma di acqua viva per continuare a lavare le ferite, perché il mondo possa finalmente essere “terra, bosco e nani nel bosco; bella donna, sole, luce, notte e mattina; fumo di miele, amore, gioia e fatica; e sonno senza offesa, mondo senza offesa”. Luogo non per sopravvivere, ma per essere e contare, con la responsabilità del tutto, non solo del nostro privato.