• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

Archivi Mensili: ottobre 2010

La bambina della bottega del sellaio

26 martedì Ott 2010

Posted by colfavoredellenebbie in pareti, storie di seconda mano

≈ 26 commenti

Qui da noi c’era un uomo che vendeva le sue selle quando i cavalli non c’erano già più.
Nella bottega col tavolo a traverso, come un ponte di legno fra due vuoti: solo un orlo polveroso di borse e di valigie a fare da riva alla vetrina, larga finestra che prendeva strada, senza impannate e senza imposte.
Tutte le cose stavano nell’aria: appollaiate in alto, con tralci di briglie, di basti e di collane.
In groppa alle travi, le selle erano schierate, in ordine di prezzo e di grandezza: lasciavano che il cuoio gravasse col suo odore, forte, quasi di fieno maturo o di grasso dimenticato al sole. Messaggio di un mondo superiore.
Intanto le staffe pendule dicevano il metallo e i cordami cadevano gentili, in nodi e volute mai uguali: gocciavano giusto sulla testa, sospesi in indicibile verdetto.

La bambina diceva con permesso e si fermava proprio al centro della terra, a controllare che la polvere non fosse andata via, che tutto fosse rimasto come prima. E sperava che il sellaio tardasse di un respiro: un giorno o l’altro sarebbe entrato un colpo di vento galeotto a suonare quell’orchestra in sospensione e a farne un’armonia al galoppo.

Invece non succedeva niente.
La bambina chiedeva un po’ di corda, perché nell’orto bisognava legare i tegolini.

Più che i paletti, la corda legava le parole: il vecchio prendeva a raccontare del tempo che non c’erano i landini, che s’andava a cavallo sull’argine e nei luoghi e l’erba viaggiava nei carretti, fra  sponde e catenacci.
Dovevano essere gagliardi, i finimenti, per convincere le bestie a lavorare, ma senza friggere la pelle né di caldo né di brutte sfregature: andare a cavallo è tutta una regia, di voce e di forza nelle braccia, di segnali di sella e di ginocchio.

La bambina restava seduta ad ascoltare: il solaio si sarebbe animato di scalpiti e nitriti, le corde avrebbero portato alle campane, l’erba sarebbe spuntata dal soffitto. Regali di un alto che tutto doveva contenere, svegliato soltanto dalla parlata modenese: un apriti sesamo nato lì in pianura.

Invece non succedeva niente.
Ma sarebbe servita altra corda, di lì a poco.

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La Palmira

20 mercoledì Ott 2010

Posted by colfavoredellenebbie in margini

≈ 10 commenti

Tag

margini

S’era sentita un colpo dentro.
Quando il cuore frana e poi pare poggiare sulla gomma.
Su e giù, a stringersi e a slargarsi come gli storni in volo.

Il podere verso la Contotta non ha più mezzadro, aveva detto il figlio grande. Se sposo, lo mando avanti io.
Certo che sposava.
Per esserci, la moglie c’era. Pronta già da un pezzo: bastava solo dire il giorno, anche a un’ora bassa, e la ragazza ci veniva sì, in chiesa, e senza tante storie.

La Palmira fece segno di niente e continuò a rompere le cime dei cornetti, come se il mondo, tutto il mondo, stesse nel cavo della gonna, fra le sue ginocchia.
Due colpi netti.
E nell’aria galleggiava quel rumore verde e secco. Senza cambiare nulla.

Il figlio così se ne era andato, nei giorni giusti del San Martino.
Anche l’altro, un anno dopo, a tenere la stalla delle Stoffe.

A fare i figli tardi, non li si vorrebbe più lasciare andare.

Uguale, la Palmira muoveva i materassi a settimana, nella stanza vuota dei ragazzi, perché la piuma non diventasse trista.
E le veniva da cercare i pantaloni da ripiegare bene e le giacche da riporre nell’armadio.
(Le tasche rovesciate e scosse, per togliere il tabacco, ché sennò le cuciture.)
Come, tanti anni prima, aveva imparato con la sua bambina: la stanza sempre rassettata, anche se non c’era più. Il pettine in linea con lo specchio, i mobili tirati con il panno, le lenzuola rinfrescate a primavera.

Perché le cose tengono.

E li mostrano, i segni della cura.
Restano lì, se non le cacci via.
A fare una quieta compagnia.

Eppure, in certe giornate dell’inverno lungo, la Palmira non sapeva darsi una ragione.
L’ombra, che arrivava nel cortile, entrava per la serratura e le passava diritta dentro il petto: allora la voce del fuoco si abbassava, gli odori restavano aldilà del muro.

Che ne sapeva il vecchio… Il vecchio se ne stava fuori: le carte, il vino, i conti sul libretto.
Ma lei.
Ogni gesto perdeva la misura. Il mangiare cucinato a mezzogiorno serviva anche la sera e il tempo aveva poca susta, fatto di lana da una maglia sfatta.

Allora lo chiese a suo marito, che l’ascoltò, incerto fra il ridere e lo sbattere la porta.
Voleva un torre. Una torre, come quella dei piccioni.
Una stanza piccolina sopra il tetto o un comignolo grande.
Che ci stesse una sedia.
Per guardare la sera le case dei suoi figli, da lontano: là dove c’era il lampione dell’incrocio, là dove il caseificio non spegneva il faro, là dove il buio sembrava un po’ più chiaro.

(S)agra di ottobre

03 domenica Ott 2010

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 33 commenti

La sagra di ottobre ha suoni imbozzolati: arrivano sordi, quasi l’aria fosse già infittita da un presentimento di nebbia.
In un sentore che i vecchi muri conserveranno fino a primavera.
E’ l’umido di terra e di pozzanghera, scaldato da un sole già a scadenza.
O il primo fumo di camino che intossica la casa ed il cortile, con la paura di un passero intontito, chiuso a raspare dentro il tubo.
La sagra di ottobre ha forte l’odore di un ciclico commiato, camuffato da mosto e zucca fritta.

Si parlerà, in piazza, di pioggia e di lambrusco, di confini e di amministrazioni, in cerchi separati e un poco erranti. Con l’occhio al campanile e all’orologio.
I mondi grandi visiteranno discorsi e irritazioni, solo attutite dal dolce del croccante, a bruciare d’accordo con il rame, lì nell’angolo. Profumo di giostra e tiro a segno.

Ci sarebbe bisogno di stupore.
Fosse anche un gatto di ceramica bianca e collo lungo che ci fece correre, bambini, da piazza a casa: dono a sorpresa per la Rosa.
Ci sarebbe bisogno di stupore.

Ma il tempo si scioglie così pigro: si arrotola sullo stesso bastoncino come zucchero filato nella conca.

E’ la prima domenica di ottobre.

 

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