• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

Archivi Mensili: Maggio 2004

Passaggi

28 venerdì Mag 2004

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

≈ 83 commenti

(ovvero divagazioni stradali, da appunti precedenti)

Si è usciti un attimo, questo pomeriggio, per certe usuali e randagie scorribande, quelle che non devono dar senso a niente, neppure a un’ora pendula: presente quando si va fuori e non si ha in mente una direzione e neppure un luogo?

Una passeggiata alla Walser, per capirci.

Con la differenza di uno sfondo grigio che mica nascondeva una promessa di sole: solo un grigio e basta.

Bene, si è presa una strada, che a dirla è già un programma: “strada di mezzo”, perché da una parte c’è la campagna che diventa Po, alla lontana, e dall’altra c’è la Provinciale.

Ci piace ‘sta strada di mezzo, perché ha un fosso dove arrivano aironi bianchi e grigi, e gallinelle d’acqua, di quelle che si tuffano a capriola e restano per un attimo sottosopra.

Lì c’è un resto di casa che tengo d’occhio, perché so che ha i giorni contati. È uno spaccato verticale: la parete interna di una casa che doveva essere a due piani e a due stanze; adesso è come l’intelaiatura di una finestra, con  quattro vetri di colori diversi, quei rosa- azzurro- verde- giallo, quadrilatero perfetto delle tinte anni ’50, nelle case di campagna.
Colori scaccia mosche.

E io torno a guardare con tenerezza questa parete-finestra, perché mi ricorda l’impudicizia innocente dei vecchi che fanno vedere le loro ferite, mi riporta l’immagine di quella zia ottantenne che ha subìto un’operazione e, quando la vado a trovare, mi dice con tono complice “vuoi vedere il taglio?”.

È vero, ciò che è vecchio ha un corpo tatuato.

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Aria

23 domenica Mag 2004

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

≈ 73 commenti

È la più bella mattina di sole che ci si potesse aspettare.
Il mio terrazzo rivela anche oggi il suo buon carattere. Spiegazzato dal vento di stanotte, non segnala rancori.

Il Phyladelphus sa di mandorla e limone, per il caprifoglio è questione di attimi.

C’è una pace pasquale, intorno: come una promessa di riposo, di nervi che si sciolgono, di pensieri che si allentano senza crepitare, di domenica che si apre e si abbandona come una peonia bianca.

È giorno di doni profumati.

Fase

Cammina cammina
ho ritrovato
il pozzo d’amore

Nell’occhio
di mill’una notte
ho riposato

Agli abbandonati giardini
ella approdava
come una colomba

Fra l’aria
del meriggio
ch’era uno svenimento
le ho colto
arance e gelsomini.

(Ungaretti)

Il treno sapeva di mele

15 sabato Mag 2004

Posted by colfavoredellenebbie in pareti

≈ 108 commenti

Chi continuava a studiare, dopo le medie, doveva scegliere fra il treno e la corriera.
La scuola veniva dopo.

La corriera era uno scassone blu che invadeva lo stomaco di curve odor di finta pelle.
La conoscevo bene, la corriera, troppo bene la conoscevo: ci passava sui piedi, nel viale della casa grande, e la prendeva mio papà, per andare a Mantova, quasi ogni mattina, se non era in giro in qualche posto lontano.
A turno capitava, in casa, di doverla fermare con segni agitati, finché il ritardatario non correva fuori, con la cravatta in mano e le stringhe delle scarpe da annodare.
La prendevo anch’io, la corriera, in quei pomeriggi di caldo grande, schiacciato a terra da una mano sudata. La strada, che portava alle zie, si bagnava in fondo della morgana dei miraggi, come nei deserti.
Il treno, invece, era di un verdino penicillina. Vecchie littorine, coi sedili di legno lucido: curano la scoliosi, diceva la Rosa miamamma, che trovava il buono anche in un moschino nel latte.
Littorine bruchi di ferro, sferraglianti di metallo, in forme arrotondate.
Il treno era Ferrara, fuori dalle rotte paterne, il treno era fare come aveva fatto la Diana miacugina, passare per i vagoni, cercare i posti giusti, darsi la matita negli occhi, con la Laura che ti tiene lo specchio, e anche il burrocacao, poi … poi… fare corsi di canto accelerato in nuove comunità di vicinanza. E scrivere con l’onda, che ti sbatte un po’ qua, un po’ là, l’ultimo compito dimenticato…

Andava così piano, il treno, che bastava mettersi nel primo vagone, scendere alla curva, quando quasi quasi si fermava, … al volo rubare, dai frutteti compiacenti oltre la ghiaia dei binari, le mele campanine, quelle dure spacca-gengive, infilarle nel maglione e di corsa risalire sull’ultimo vagone.
Catena umana di braccia a tirar su i temerari.
I ragazzi facevano così, poi, belli di mele e d’avventura, distribuivano i frutti con segrete strategie d’innamoramento.

Sarebbe stato giusto farle dormire al buio, le mele, perché s’ammorbidissero nella dolcezza dei muri, imparentate coi cachi, per strane leggi mai dimostrate.
Ma i furti richiedono sparizioni, così alle 7 e 33, nell’aria frizzantina del mattino, si mangiavano le mele.
Denti lucidi e succo di schiuma asprigna che chiama la saliva e fa venire li putìììni agli occhi.
In più, il sapore aggiuntivo degli sguardi.

Ciò che faceva preziosa la mela era il gesto che te la offriva, roba che capivi in pieno l’incavolatura della giunone con paride e tutto quanto.
Vedevano tutti chi riceveva la mela e chi no.
Mica era valido passarsela per dare un morso…: impossibile brillare di mela altrui, era la prima scelta che contava, erano gli occhi del trionfo di chi te la tirava o te l’allungava, più timido, o ti bussava sulla spalla.

A me arrivavano le mele del poeta, che non era svelto e si beccava le ultime, un po’ più rugginose e piccoline, con il sospetto inconfessabile che se le portasse da casa.

Il poeta era noioso, e con i capelli ricci che trattenevano la nebbia e il vapore. Però leggeva bene. Poesie scritte con la matita sul retro dei calendari, bei fogli grandi e un poco lucidi. I regali del tempo: quando i mesi volavano via, restava la pagina bianca da usare, dietro,… come scrivere sulla schiena dei giorni.

Le ascoltavo le poesie, le mangiavo con le mele.
Sempre una lei che nella sera andava altera, sempre una lei con gli occhi scuri che ridevano e la pelle di porcellana, sempre una lei che non capiva e che il poeta voleva riempire di baci sulla strada lunga di pioppi…
Potrebbe anche leggerle a lei, mi dicevo io, e mi scappava da ridere sciocco, quando incrociavo gli occhi in galleggiamento del poeta.

Io avrei voluto altre mele e altri sguardi

Arrivarono entrambi di sorpresa a fare un giorno diverso dagli altri.
Non quelli che cumulano foglio su foglio.
No, un giorno individuo, nello scatto dal prima al poi.
Un giorno di vena azzurra, una crepa nel muro.
Un giorno in forma di mela d’ottobre.

Ma questa è un’altra storia…

A volte

09 domenica Mag 2004

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

≈ 100 commenti

(praticamente, una giustificazione tirata un po’ per le lunghe)

A volte il tempo è una specie di bozzolo avvolgente: te lo senti addosso, con il suo ronzio, e ne indovini lo spessore ovattante.

Non sembra scandito in giorni e ore, o in fili ordinati come le frange di un tappeto, che si possono contare così bene.

No, è una matassa che tiene insieme Il Tempo Perso, Ieri, Il Tempo Che C’E’ Da Qui A Là ( beeello, quello: sembra lunghissimo), Il Tempo Che Ti Rubano Gli Altri, Oggi, Il Tempo Che Ti Rubi Tu, Il Tempo Per Restauri Alla Vita, Domani…

Nella matassa mica c’è separazione: il tempo è tutti i tempi e ciò non è male. Sta lì attorno come una nebulosa placida, come una grossa goccia o un mattone trasparente.

Il male c’è quando ti rincorre, quando le lancette sembrano mettersi d’accordo per diventare spadine, quando fa rumore e balla al passo di tachicardia, con quei suoi piedini ticchettanti.

Allora i minuti fanno la ronda…ad ogni giro d’ora si fanno sentire. Dalla mia cucina cantano con la voce del picchio, del cuculo, e pure dall’allocco… e di ora in ora mi pare che l’intervallo si abbrevi, che i minuti abbiano imparato a procedere a coppie… Vardali lì: persino a piramide, gli esibizionisti, sulla bicicletta…. Passati in trentacinque…

Ecco, io sono in questa fase: coi minuti che mi fanno lo sberleffo mentre passano e le spadine e i piedini ticchettanti. Tutto quanto.
Insomma, la mia pigrizia ha subito un durissimo colpo.
Sogno il bozzolo, la matassa, spero che i minuti cadano dalla bicicletta e che inciampino…

E che il blog mi perdoni se lo trascuro così… e gli amici anche.

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