• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

Archivi Mensili: luglio 2010

Pali

29 giovedì Lug 2010

Posted by colfavoredellenebbie in pareti

≈ 29 commenti

Al ponte della Pedemonta la celere friggeva: un po’ per il caldo, un po’ per il fermento.
Lo sciopero si contava  a biciclette, buttate sulle siepi e appese ai rami.
A guardare le sporte delle donne, col fondo così teso, si capiva che andava a mettersi gran male.

Il camion dei crumiri era passato: adesso stava lì a soffiare, col muso bagnato, nella corte.
Cancelli sprangati e scorta a pattugliare.
Braccianti e salariati a piedi, dappertutto: di traverso per fossi e cavedagne, col passo della rabbia e della fame.
E mezzadri  e piccoli padroni che, le biolche, potevano contarle sulla mano.
C’era da stare uniti contro i grossi, per portare a casa tutti il pane, per far saltare fuori le giornate  e arrivare a un imponibile a gradoni, ché un conto è avere mille e un conto avere dieci: i padroni sono mica tutti uguali.
Di contratti c’era gran bisogno, che mettessero in linea le cose.

Alla Gazzina e alle Core la gente della terra aveva già sfondato e stava  nell’aia come cavallette a spiegare agli agrari e a dire è anche mio. E c’era pure il prete, diceva la staffetta.
Ma la Pedemonta.
La Pedemonta era d’ortica: si chiudeva e mostrava i pugni, orgogliosa fra i suoi pioppi e le sue biolche.
Lo sciopero era su da maggio e adesso, a giugno, eccoli i crumiri.

Nell’ aia non si era mai entrati a dire bene le ragioni, a gridare che no, non si doveva fare, di prendere la gente per la fame, …che, di lavoro, si poteva darne tanto e non lasciar le terre a rovo  e i maceri con la pavarina e gli argini inselvati senza taglio, …che i ricchi, un po’ di soldi, avevano da metterli, nel fondo, e fare migliorie  e drizzare i muri delle stalle e maritare vigne e capitozze.
Invece c’era da restare fuori, col filo spinato degli agenti.
Sì, andava a mettersi gran male.

Il Gi arrivò dall’altra corte, dove le cose adesso erano quiete.
Non sapeva più quante sigarette si era già fumato e quanto sonno si teneva in tasca.
I padroni lo avevano ascoltato, quel ragazzo che pareva fil di ferro, tutta la forza andata nella voce e nelle parole che uscivano rotonde e chiare e svelte.
Si erano messe giù delle pietre buone .
Ma la Pedemonta.
La collera poteva scoppiare per un gesto, per un colpo di mortaio contro il cielo, per una canzone un poco più beffarda.

I compagni lo aspettavano sulla strada bianca.
Giii, vot ca proa sa m’è restà la mira bona? Giii, vot ca faga la ponta al baston?
No no, s’iv mat?Adesso si va  via da qui e si entra per dietro,  per il campo più lontano di confine, poi si cerca un posto per parlare.

A gruppi di dieci o venti, nel buio: la corte tutta piena, i padroni dietro le finestre, la celere al suo posto, i crumiri nel brolo.
Neanche un carretto per parlare, ma, a chiudere la corte, una catasta di pali alta e forte.
Il Gi scalò la pila da provetto, silenzio intorno, proprio silenzio.
Calmi compagni, calmi… ci vuole equilibrio per durare un’ora più dei padroni.
La pila si sciolse all’improvviso, con rumore di frana o di slavina e un ridere che portò l’aria leggera.
E Beppe Gideone, che pareva d’olmo: oh Giii, l’an ghà minga da fnir acsì, neeeh…

L’urlo fece il giro di ogni speranza e di ogni fatica, di ogni sasso tenuto in tasca e di ogni stanchezza, passò i muri e gli alberi, il cancello e le finestre…
La risata del Gi rispuntò dal tetto del rustico: Nooo, l’an ghà minga da fnir acsì. I pai in ga minga la lega, nu’altar sì, nu’altar sì. Nu’altar sì.

(dedicato a Gi e a quelli come lui)

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La Bina

21 mercoledì Lug 2010

Posted by colfavoredellenebbie in margini

≈ 26 commenti

Alla Bina piaceva stare sulla porta: avevano messo i sassi sulla strada, fin sotto il volto della torre, con le piastre di marmo lungo i lati, due strisce quasi rosa a far da marciapiedi.
La gente ora ci passava.

La Bina tirava un po’ la tenda e lasciava che lo stipite le tenesse su la schiena.
Restava lì a guardare.

Se c’era freddo, sceglieva il mezzogiorno, quando il tempo si ammucchia sopra il campanile e poi cade giù, fra tocchi spessi e grossi.
Erano svelte le donne  della spesa, con la testa ormai alla tavola e al marito: anche le chiacchiere c’erano già state e per la Bina restava quello scampolino, un breve buon giorno di passaggio.
Ma lei se lo metteva via, ogni saluto, anche il cenno della testa un po’ affrettato, ché poi li ripassava sul divano e diventavano il senso delle ore, nei giorni così lenti da passare.

Col caldo, la scusa si faceva buona: la porta sbiecata chiamava la corrente e teneva l’aria del mattino,sulle piastrelle  tirate con la cera. La casa prestava un poco di frescura per una sosta quasi di ristoro: vieni, diceva la Bina, con la promessa muta di acqua col limone e anche di una dalia, all’occorrenza.
Qualche donna si fermava volentieri, entrava nel corridoio fresco, stupita di quanto fosse tutto ben pulito eppure con l’odore della pelle vecchia, di un sudore che non si è più sfogato e resta freddo appena sotto traccia.

La porta scostata anche d’autunno cominciò a dare da pensare: la Bina era lì già dalla mattina, a inseguire con gli occhi facce nuove, a invitare almeno a una parola, a salutare senza riconoscere nessuno.

Quando la notte la videro nell’angolo, col grembiule leggero di cucina, sghemba e spersa come mai, la presero a braccetto: pochi passi, fino alla sua casa.
Non volle entrare: troppa gente, dentro, bambini e cavalli, voci e grida.

Troppo pieno quel vuoto. Troppo pieno.

Non c’era più posto per nessuno.

Aestivalia

14 mercoledì Lug 2010

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 28 commenti

Non è che ce l’ho con l’estate, non è che sono prevenuta per capriccio: in effetti io riesco a farmi male in ogni periodo dell’anno, però col caldo di più.
Col caldo io faccio le bronchiti, le parotiti, mi vengono gli eritemi, mi scotto anche all’ombra, mi pungono insetti stranissimi e cattivi…
Non solo, a quanto pare.

Una settimana fa, quasi con un pizzico di allegria, ci si avviava sul far dell’alba a fare opportuni prelievi (ematici) al locale presidio ospedaliero: bisogna arrivare presto ed entrare in una sorta di burosaurica rassegnazione, fino ad obiettivo raggiunto.
Covata con titanica determinazione l’impresa, che ha del mistico col suo digiuno preparatorio, si va a piedi: son quattro passi, l’edificio è proprio lì sul viale…
Io mi respiro l’aria del mattino, che sembra quasi fresca e senza zanzare tigre, e dico, temeraria, quello che non avrei mai dovuto dire: ma che bello camminare a quest’ora, bisognerebbe farlo tutti i giorni.
Inciampo immediatamente in un sassolino (risultato, ad investigazione postuma, piccolo, rotondo e liscio) e torno bambina, perché d’un tratto mi ricordo com’è duro l’asfalto e come si affeziona subito alla pelle con quel suo stronzetto pietrisco granulare.

Si fa presto a dire ‘cadere’.
Questo è un rovinare; tocco terra con ogni parte del corpo: caviglia destra, ginocchio sinistro (per la par condicio), avambracci assortiti.
Vengo raccolta con l’aiuto un po’ stupito di un ex allievo (ma cosa ci fanno gli ex allievi a quest’ora in giro), prelievata, perché mica si può perdere un’occasione così ghiotta…

Son fratturata al malleolo, naturalmente, tutorata e tutto quanto.
Devo stare quieta, meglio se immobile, 35 giorni.
L’unico viaggio consentito è quello in bagno, con l’aiuto delle stampelle.

Peccato che il bagno abbia deciso diversamente.
Le acque bianche di tutti i sanitari hanno convenuto di fare fronte unico e di andare a finire nella vasca da bagno: apri il rubinetto del lavandino e l’acqua riaffiora dall’altra parte, il bidé, che ha sempre sofferto di un complesso di inferiorità, imita il lavandino e fa la stessa cosa…

L’idraulico di famiglia, un caro ragazzo tutto soda caustica e caustici rosari mantovano-rodigino-modenesi, che evocano non solo tutti i santi nelle loro diverse età ma anche la new entry Barabba, ammette la sua sconfitta. Amaramente.
Dopo risucchi, soffi e pompaggi dai rumori equivoci, l’acqua staziona nella vasca da bagno con un’aria grigia e sinistra.
Il pavimento blu della stanza è ormai un ricordo: il muratore, intervenuto successivamente, ha ingaggiato la sua personale caccia al tesoro col trapano alla ricerca dei tubi.
Stamattina ne è stato avvistato uno.
L’idraulico (a volte tornano) in questo momento sta sezionandolo.
Forse siamo salvi.
Forse.
Forse c’è solo da rifare il bagno, cambiare i tubi e i manicotti, e ricostruire il pavimento.
Forse.
Forse non allaghiamo la banca sottostante (e nella mia ottimistica immobilità vedo già fili del bucato e banconote appese coi ciappini, ad asciugare).
Forse.
W l’estate

Le domeniche di luglio

04 domenica Lug 2010

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 15 commenti

Le domeniche di luglio non hanno né capo né coda.
Sono dei cerchi d’aria calda e lenta.

Trovano strada fra gli scuri appena accostati (giusto perché l’ombra sembri quella buona dei pioppi cipressini), poi colano sudate nella stanza.

Il mattino è già pomeriggio e tiene al di qua del fare.

Non c’è cosa che sembri possibile.

Solo si galleggia  fra i pensieri, chiusi come le ali degli aironi, sentinelle immobili fra le stoppie del grano appena tagliato.

A guardia dell’invisibile (o dell’invivibile), sono predatori di toporagni che si nascondono o di ricordi che non si schiudono: dove potrebbero mai volare?

Meglio restare acquattati, nell’attesa che una lepre attraversi una cavedagna: orecchie diritte a captare il primo filo di vento della sera e a stornare altri occhi, altre direzioni.

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