• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

Archivi Mensili: dicembre 2010

Nidi, ancora

27 lunedì Dic 2010

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 32 commenti

C’è il sole.
A scadenza, ma intanto c’è. Dà una luce fra il giallo e il grigio, come certe crete toscane.
Dopo tanta pioggia, fango su fango, gocciolanti le siepi (un mondo gonfio), si è andati dove riposa una  gran parte di noi.
Piace.
È un luogo fra prati, cimitero di campagna, senza bellezza senza paura. Da piccola scappavo lì, per dare l’argento alle catenelle: c’era Sesto il buono a insegnarmi come fare, con la pazienza della sua mitezza.
Adesso torno, abbastanza spesso, per un bisogno mio di saluti e di sorrisi.

Oggi, approfittando di una tregua temporale, occorreva tagliare ciò che resta delle peonie, dallo zio.
Fiorite, sono impenetrabili, poi lasciano che il verde conservi memoria del loro segreto.
L’inverno ne fa impietosa giustizia: i bastoni fradici tutti in evidenza.

Si tagliava, dunque, con le forbici grandi.
Abbiamo trovato un nido, un pugno di nido. Con le pareti fasciate d’erba secca, basso, nascosto quasi fra le radici.
Forse di pettirosso, che ha voce sottile e chiede così poco.
Passaggio d’ali, dunque, e fruscii proprio qui, all’ombra di una tomba.
Segno che la vita può attecchire ovunque.

Tornata a casa contenta.
Questo lo devo scrivere, mi sono detta.

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Gonzaga e la memoria

19 domenica Dic 2010

Posted by colfavoredellenebbie in pareti

≈ 35 commenti

Sembra ci si arrivi per vie acquatiche, a Gonzaga.
Per quelle liquide dei racconti che nuotano da sé (una casa, una strada, una storia) e per quelle livide dei fossi e dei canali, che scavalcano il confine, un po’ lombardi e un po’ emiliani.
Bianchi e ghiacciati, ora: certi rami prima galleggianti e adesso bloccati dentro il gelo, nel gesto smarrito di chi si addormenta all’improvviso, un braccio sfuggito alla coperta.

Faceva tanto freddo, ieri. Anche dentro. Dentro, dico. E sempre uguale.
Gonzaga è il nostro nodo d’inverno.

Mancano tutti i vecchi della nostra vita, quest’anno, e i piccoli sono ancora troppo piccoli per sfidare quella strada fatta a piedi, ripercorsa testardamente ad ogni celebrazione: l’ultimo tratto di esistenza di sei ragazzi partigiani, portati a morire in un poligono di tiro, per rappresaglia nera.
I pensieri ai loro pensieri, a quei passi, a quelle sedie, a quelle mani legate.

Si è lì per tutti: per loro e per gli altri.
Si è lì per un passaggio di consegne che non interromperemo mai. Ce lo promettiamo, stringendoci il braccio e volendoci bene senza dirlo.
È dolorosa la memoria, sempre più dolorosa: in tempi di trasformismo e di arroganza, di ‘politica’ che ha perso pudore e direzioni.
L’abbiamo così amata, un tempo. La politica, intendo: le abbiamo affidato intere età e conoscenze e lavoro e progetti.
L’abbiamo così amata.
Nella gratuità della non convenienza, del non potere: per dire grazie a quelle sedie vuote.
Per questo fa male, oggi, la memoria.
Ha radici di ghiaccio e di spine.
Lasciamo che ci prenda e che dica tutto lo scandalo della sua necessità.

Campanellini

15 mercoledì Dic 2010

Posted by colfavoredellenebbie in passaggi

≈ 18 commenti

Pensavo, nei giorni scorsi, che sono spariti i campanellini di Santa Lucia.
L’aria è rimasta ferma  anche nelle sere attorno al dodici di dicembre.
Da bambini si preparava il cuore, al primo buio: c’era da captare  l’arrivo di quel pigolio tintinnante  sotto le finestre, un suono di brina, se la brina ne avesse uno. Diceva  di una Santa Lucia che si avvicinava e poteva mostrare, nell’angolo del vetro socchiuso, la sua piccola mano guantata di pizzo.
I campanellini attraversavano il freddo e la nebbia per costruire la promessa della festa, col suo sciame di batticuori, di biglietti trovati sui davanzali e sicuramente spediti da un altrove profumato di borotalco.
Santa Lucia era in realtà non l’arrivo dei doni, ma questo apprendistato all’attesa, al proiettarsi verso…
Credo che imparare ad attendere sia uno dei riti di passaggio. Fra età.
Bambini, non si ha la pazienza dell’indugio, si ha l’impazienza del ‘subito’.
Così difficile dosare il tempo. Così difficile restare sulla soglia delle cose, sulla traccia del nuovo.
Dopo lo capiamo.
Capiamo, crescendo, che noi attendiamo per tutta la vita.
In una impercettibile inarcatura interiore.
Resistenza della speranza, direbbe qualcuno.

La ragazza del banco dei segni

02 giovedì Dic 2010

Posted by colfavoredellenebbie in storie di seconda mano

≈ 29 commenti

Non le dispiaceva in fondo quel lavoro, di morbida cadenza.
Fare e disfare, sull’orlo del mattino e della sera. Come i disegni di polvere e colore.
Le scaglie del tempo su una lastra di legno, a galleggiare sopra i cavalletti: un’armata di perle  scappate chissà da quale filo, di stampe  rimaste senza muro, e poi tazzine con l’eco di altre luci. Sua Muffità di fogli e di velette. Nelle retrovie, piattini scompagnati. A fare resistenza e geometria.

Questo banco sa di poesia, le disse l’uomo, con l’aria borgesiana di chi sa vedere oltre il buio.

La ragazza lo guardò senza parlare, la stanchezza tutta concentrata nel cadere diritto dei capelli.
Già lo sapeva: i mercati sono della gente.
Le cose stanno lì per far da levatrici. Di parole e di sogni addormentati. Di ricordi e di piaceri coltivati.
Le cose tengono la brace sempre accesa dello sporgersi affamato sulla vita, quello che s’appiglia almeno a una rivista, agli auguri di una vecchia cartolina: mano d’inchiostro azzurro e innamorato. Da portare a casa, come una promessa.

Ma l’uomo no, non lo sentiva, il richiamo silenzioso delle cose: forse parlava con un suo pensiero.

Anche lei sa di poesia, aggiunse con voce un po’ più bassa, preso di sé, dentro ad un suo giro.

La luce stava per finire, gli oggetti dovevano tornare, senza confusione, ben fasciati di carta e di cartone. La ragazza sentì di doversi un po’ scoprire. Almeno il fondo di un sorriso.

Allora le dirò cos’è l’amore, continuò l’uomo, quasi chiudendo gli occhi.

La ragazza si alzò: ci sono parole che vanno assecondate come pitepitele dentro il bosco, con gesti che dicano qualcosa, ma la vecchia le porse la teiera, cosa costa , questa qui, che è  anche un po’ scheggiata…
Il tempo di volgere la testa e chiedere un attimo d’attesa, col cenno gentile della mano.
L’uomo non c’era più. Più. Solo la nebbia.

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