La bambina aspettava con piacere l’arrivo della vecchia, il giorno del bucato grande e la domenica, per il giornale.
La vecchia era piccola e robusta: camminava a passi stretti, quasi dei punti dati con l’ago sulla tela: stava nel casermone con le porte in fila, sbuffi di voci a ogni finestra e l’odore della cucina magra, con l’aglio in fondo, come l’alito delle suore.
Arrivava con la bicicletta e una sporta di tela ben fissata al manubrio: cassaforte e guardaroba, dispensa e armeria.
La bambina ogni volta le chiedeva: Ce l’hai il chiodo?
E allora la sporta si spalancava come il pozzo di san patrizio e, fra carte, fazzoletti, ciabatte e borsellini, compariva un lungo grosso e arrugginito chiodo da picconatore.
Ricordo e difesa contro le ingiustizie del mondo.
Mai usato, questo, la bambina lo sapeva, ma tanto possono i racconti e il chiodo la diceva lunga sui giorni delle lotte là, in campagna, con la celere tutta dispiegata, crumiri e braccianti sui due fronti. La vecchia era stata picchiata con le altre, ai tempi della mietiliga buttata nel canale, per far dispetto ai padroni e al prete, che era in parte nell’affare. Una notte in galera, a cantare Sebben che siamo donne, paura non abbiamo, abbiam delle belle buone lingue, abbiam delle belle buone lingue…
Poi la schiena non fu più giovane abbastanza per diradare il riso e i cipollini: le restarono li bugadi longhi da fare nelle case, specie a partire dalla primavera, quando, con spazzole di crine, si mandava via il freddo e il caldo dai lenzuoli. Nei cortili c’era bisogno di donne dalle mani larghe.
Alla bambina piaceva la confusione indaffarata del giorno del bucato.
I panni stavano a dormire nelle mastelle grandi, dopo essere stati strofinati, ma lei aspettava il momento della liscivia, dell’acqua bollente versata sulla cenere e sui panni. Quando il paiolo cominciava a sobbollire, con l’acqua tortorina, il bianco della tela si gonfiava in grosse bolle. Bisognava batterle col bastone, forse quello per girare la polenta, per ricacciarle sotto, mentre la liscivia borbottava.
La bambina sperava di poter aggiungere legno al fuoco e vedere le scintille schizzare, inviperite, ma le donne la tenevano lontana. Il fornello poggiato a terra aveva qualcosa d’infernale: le lingue di fuoco salivano lungo i fianchi del paiolo, minacciose, e la schiuma tracimava. Lei poteva solo insaponare il collo delle camicie di suo padre, a cavalcioni sull’asse col piede, che, dopo tante lavature, era rosato e tenero di acqua.
Era bello sentire nell’aria l’odore del pulito fresco e ascoltare intanto la vecchia: raccontava di risaia e di fatica, la fatica di restar piegata in due, nell’acqua con le bisce e le sanguisughe. E poi mangiare freddo, un po’ di pane con cipolla e sale, dormire in grandi cameroni che sudavano miseria. Ma la vecchia anche insegnava le canzoni di mondine e di padroni dalle belle braghe bianche. Se non c’erano gli uomini di casa, accettava di mangiare a tavola, nella famiglia del bucato, con le braccia strette e la vergogna delle mani rosse e grosse, rigate da tanti tagli.
Ti fanno male?chiedeva la bambina, mentre le toccava con il dito, seduta in braccio, come fosse una di casa. Di più, se spingo? Era contenta quando l’altra scuoteva la testa per dire no.
Ma … la domenica, ah la domenica tornava, e la bambina proprio l’aspettava per vederla ‘femmina’, con i segni della festa, ogni settimana: il rossetto sperso fra le rughe e la retina sui capelli, con l’elastico che schiacciava le onde della messa in piega fresca e le tagliava la fronte, con un segno dritto, a metà.
Portava il giornale delle donne, che usciva un po’ ammaccato, dalla sporta col chiodo, perché prima se l’era studiato bene bene.
Tutto lo raccontava, il giornale, in italiano buono, dritta sulla sedia, con le donne di famiglia a cerchio, convocate.
La bambina sullo sgabello, attenta, a fare sì con la testa nei momenti giusti, insieme alla nonna, alla zia e alla sua mamma.
Bisognava ascoltare, anche se la pentola chiamava, anche se l’odore del brodo dilagava e il vapore appannava i vetri, anche se gli ovini certo galleggiavano già con la pelle un po’ crepata e promettevano delizie, anche se gli uomini di casa cominciavano a pestare, un po’ impazienti.
Il giornale si poteva comprare soltanto dopo averlo sentito, con le notizie raddoppiate in testa da mille spiegazioni.
Finalmente, i soldi già nel borsellino, il resto contato e ricontato, la vecchia accoglieva un pezzo di formaggio grana o un po’ di burro o le tagliatelle fresche del tagliere della domenica, sparite in fretta nella sporta col chiodo. Poi se ne partiva fiera, senza volersi mai fermare a tavola.
Te sei la maestra delle donne, quella volta dichiarò, solenne, la bambina, accompagnandola alla porta.
La vecchia si girò con le ‘putini’ agli occhi: Grazie per la calda parola, disse.
La calda parola.
E la bambina capì.
Capì che le parole sono gesti e calore: possono far felici, come un regalo mai aspettato, mai richiesto.