• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

colfavoredellenebbie

Archivi Mensili: febbraio 2018

La bambina della bottega dei semi

25 domenica Feb 2018

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

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La strada spegneva piano la sua voce.
I tonfi di mannaia calavano in sordina sul ceppo del beccaio: la vetrina li teneva dentro.
(Non urlava il grembiule con gli schizzi rossi, se si passava in fretta, magari senza sguardi)

Due passi ancora e tutto si taceva, perchè la via cambiava ad ogni soglia.

E chi voleva un po’ di vita sfusa, la speranza di un bulbo addormentato o di un cespo dischiuso a primavera, lì poteva entrare, nella bottega scura: non le bastava il portico per l’ombra, c’era bisogno di una porta buia e del regalo fresco di un’imposta.
La bottega dei semi stava zitta, come con l’ovatta intorno: solo alterni pigolii dietro la tenda e dialogo di cocorite, sospeso nella gabbia.
Chi si fermava incerto sull’ingresso, nella penombra che tutto indistingueva, si lasciava chiamare dagli odori: dall’alito della terra grassa, dal cotto del sole in forma di granaglia, dalla foglia che si macera e si scioglie e dal sale amaro, ruvido alla gola. Un senso di pastone da pollaio, di umore assorbito dalla crusca.

La bambina entrava senza far rumore, con la lista piegata nella tasca.
Se la signora parlava col fattore, c’era modo di infilare la mano nei sacchi con l’orlo rivoltato.
Bello muovere le dita, sentire lo scorrere dei grani e trovarsi il palmo quasi bianco: polvere di frumento che sfarina.
Bello toccare il freddo dei cristalli azzurri, lasciarsi un poco pungere, volendo: si poteva pensarne una montagna che luccicasse contro il sole o sperare d’averne uno in dono, perché il verde rame diventa talismano prima di arrivare sul muro della vite.
E poi guardare i semi e le sementi, tutti così fini. Nei cassetti in pila sopra gli assi, a fare da parete e da granaio. Ci dormivano anche i tuberi di dalia, in certa terra soffice e sgranata.
C’era da aspettarsi che un chicco si rompesse con rumore o un bulbo si crepasse all’improvviso e un soffio verde, a punta o arrotolato, si snervasse fuori dal cassetto e diventasse foglia, tralcio addirittura, veloce come pisello magico da fiaba.

–Cosa vuoi? disse la signora.
Dopo tante meraviglie, la vergogna di leggere misure dettate da suanonna: dieci pizzichi di semi di lattuga, dieci pizzichi d’insalata ricciolina, un cucchiaio di semi di radicchio, una sessa minore per fave e fagiolini, una tazza di semi per le zucche e un po’ di zampe d’asparagi, se fresche…
A dosi di pozioni e sortilegi, tutto l’orto finiva e cominciava in cartocci di carta di giornale.

–Non ho resto di moneta spiccia. Aspetta che ti do una cosa.
La donna sparì dietro la tenda e tornò con un pulcino giallo.
-Ti spiego come devi fare.
C’era da tenere le ali tutte ferme, strette nel pugno, senza aver paura, ma la bambina aveva mani piccole: servivano proprio tutte e due.

Ricevette il caldo del pulcino come l’oracolo nel gioco, quando in cerchio, con i palmi a conca, si aspettava l’arrivo del tesoro: l’amica lo teneva nelle mani giunte e passava in rassegna le altre mani, con un gesto quasi di preghiera. In quale conca sarebbe scivolata la biglia oppure la conchiglia? Chi avrebbe premiato nel segreto della filastrocca?
Attesa di un segno d’elezione.

La bambina restò come incantata, l’orto ficcato nelle tasche e le mani piene di bellezza. Bellezza viva. Perfetta nel becco di un pulcino che cercava un pertugio fra le dita. Perfetta nel solletico di piuma, proprio sul polso, sulla vena azzurra.

 

 

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Pensieri in fuga 7.

19 lunedì Feb 2018

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

≈ 16 commenti

Dalla libreria, segno premonitore, stamattina è scivolato un libro, anni ’70, degli Editori Riuniti …
Ricordi a frotte, a piedi, in bicicletta e in motorino.

Era bellissima la carta-premio che mio padre riceveva dal partito e mi faceva sentire ricca di trentamila lire di libri, da scegliere fra quelli bianchi strisciati di rosso, con parole difficili e forti, e quelli con la copertina di cartone avorio e il timone d’oro.
E non c’era criterio, per scegliere: solo ascoltare la musica di un nome sirena, che chiama, che chiama. Majakovskij, allora, arrivò per caso, su una nuvola in pantaloni, col suo flauto di vertebre a reclamare un amore immediato, nelle sere di novembre, quando gli altri dormivano e io restavo nella cucina solo mia.
Quattordici anni,
Arrivarono i libri, da allora, puntuali ogni anno, a cancellare rinunce così lievi da non essere avvertite o da diventare il gioco fra noi, nella casa che, da grande, era diventata piccola per risparmiare il riscaldamento. Non si poteva scappare agli odori, ma neppure alle canzoni di miamamma.
Arrivarono i libri cui tagliare le pagine unite; con la smania di non perdere tempo, da covare in attesa di poterli capire.
Libri da buttare dentro, da riscrivere in quaderni piccoli per paura di perderli.
Libri dove mettere la testa e il cuore, dove gustare l’incontro e sapere che sarebbe stato per sempre.
Libri per riconoscere, nelle parole già scritte, ciò che si sente e pre-sente: sconnesso, non chiaro, perché non vissuto ma adesso trovato, descritto così per bene da diventare specchio. O memoria.
Un sovramondo di parole che cancella il salnitro sui muri, l’umidità che fa sembrare lucidi i pavimenti, i soprabiti riadattati con finta allegria.

Libri anti-dolore, ma il dolore ti trova sempre; anche nei porti sicuri.
E non è schiaffo. Non è sferza.
E’ riprendere, di colpo, lo sguardo vero.
Quello nudo e freddo, non quello coltivato come una carezza che accetta o traveste il poco che hai, fino a farti credere che va bene così …

Sì, arrivò anche il dolore, ma c’erano altri libri da aprire.

 

Pensieri in fuga 6.

12 lunedì Feb 2018

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

≈ 20 commenti

Tanti mi chiedono perché non esco mai.
Infatti non esco mai.
A volte penso che la casa sia il mio corpo, e allora cosa esco a fare.
Senz’altro un corpo.
Oggi la sento respirare.
Sono sfiati di luce che sbiancano la penombra, polvere fra le fessure di questa finestra, socchiusa come una bocca.
Anch’io respiro al ritmo della casa.
E l’ascolto.
Sembra che fermarsi sia questione di un attimo, il prossimo.

Da piccola tenevo il fiato più che potevo, perché doveva pur succedere qualcosa. Magari il fiato trovava altre strade. Fluitava nelle vene?
Perdevo la scommessa e aprivo la bocca.

Adesso, se la bocca si aprisse si romperebbe qualcosa, forse il silenzio, forse questa regolarità.
I rumori di fuori, sfusi, senza corpo, si ascoltano da dentro, smerigliati dalle pareti.
Arrivano a schegge, con le ultime lame gialle che rigano la stanza.

Si tace per non perdere anche questo sogno d’interezza, oltre a quanto già si è perduto.

 

Pensieri in fuga 5.

03 sabato Feb 2018

Posted by colfavoredellenebbie in pensieri in fuga

≈ 15 commenti

Chi pensa mai all’amore bambino…
Quando un maglione steso all’aria ad asciugare sembra il messaggio di una presenza lasciato solo per te, briciola di pane nel bosco.
Quando, per simpatia, si amano tutte le persone col ciuffo, se il tuo moroso pensato ha il ciuffo, e tutti quelli biondi, e tutti quelli con la bicicletta blu, e tutti quelli che si chiamano Marco.
E’ un amore per classi, per generi, per insiemi, pagato a fughe davanti ai segni, alla voce che nomina, all’ombra che disegna.
Si scappa, seminando scie di vergogna color rosso-pito e di gioco, in chi sa.
E tutti, inevitabilmente tutti, sanno: dai fratelli che fanno i furbi, alle amiche che si danno di gomito, e, ai rari passaggi (attesi come apparizioni), si riempiono gli occhi al tuo posto.
Perché, chi è innamorato bambino, si innamora attraverso gli occhi degli altri.
Chi è innamorato bambino non ha la persona, ne ha il nome, da ripetere in una filastrocca che smemora, da scrivere e cancellare, ovunque, sui vetri di vapore che si condensa, il nome da rubare ai giornali, da misurare in lettere e numeri.
E poi da dimenticare, domani, quando il nome assume concretezza: senti il nome parlare, per caso, e avverti nella sua voce una nota che stona; vedi d’un tratto il nome passare, scendere goffo dalla bici e non è più il tuo amore di prima.
E’ attento alle sfumature, l’amore bambino, e si disamora di un nulla, per sempre.

 

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