• Pesci di nebbia

colfavoredellenebbie

~ I racconti non finiti, le schegge di parole, le arie che si fischiano, le conte e gli scongiuri, che non hanno padri né nomi, sono pesci di nebbia dolce: nuotano e svaniscono.

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Qui come altrove 38

30 sabato Ago 2014

Posted by colfavoredellenebbie in qui come altrove

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Qui come altrove c’è il bambino in piedi, appeso al collo della madre, che quasi gli è pari per statura.
Dà le spalle al mondo. Non vuole vedere chi entra nella stanza dai colori densi alle pareti, a strisce di estro vagabondo.
Ad ogni passo, che segna un nuovo ingresso, il bambino arrotola sul dito i capelli lisci della donna. Ne fa riccioli e onde, campanili precari e scivolosi, girandole piumose, forse trottole per l’aria, chiocciole che sognano la sabbia.
La madre non dà segni di stanchezza, lascia fare: sa di essere il suo gioco, il suo unico cortile.
Lo bacia ogni tanto sulla testa, che ha solo una peluria di pulcino.

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Viserbeide 5, la visita

22 venerdì Ago 2014

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

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Il prendisole della Rosa pendeva già stirato dalla gruccia, con i giaggioli dipinti su un cielo azzurro chiaro.
La piccola aspettava che l’abito fiorisse sulla mamma, che la gonna si aprisse dolce attorno ai fianchi  per dare vita ai fiori.
Come sei bella, le disse nell’orecchio. La Rosa sorrise e si mise gli orecchini di madreperla bianca, in forma di foglia seghettata.
Aiutami, chiese alla bambina, perché non si sapeva pettinare. La figlia fermò i ricci con i pettinini  e ne lasciò uno pendulo sul collo, come un punto di domanda alla rovescia.
Dai che andiamo in spiaggia, imperò la Iris, splendente nella sua sottana a righe, che copriva il costume dalla vita in giù con onde prese in sbieco (se l’era fatta lei, copiando un modello parigino). Il rossetto lucido, al sole delle nove.
Tanta eleganza si spiegava presto: quello era il giorno di un arrivo.
Le bambine non davano segno di sapere, ma le avevano sentite parlottare, le grandi: meglio farlo arrivare al mare, dicevano, mica nello stanzone corridoio, ché poi chissà cosa racconta, quello, in paese. Meglio non farsi vedere col costume, restare più coperte, ché poi chissà cosa racconta, quello, in paese.
Così se ne andarono in spiaggia in gran parata, ad aspettare l’uomo del mistero che avrebbe portato la busta con i soldi. Il nonno voleva facessero un altro po’ di mare, perché coi formaggi era andata bene e la mediazione era già arrivata.
Le mamme, con sprezzo del  costo del noleggio, affittarono un moscone bianco  e restarono in posa a fare da vedetta: una a guardare a destra, l’altra a sinistra, perché non si sa mai. Le bambine lì vicino a curiosare, con la scusa edilizia di un castello.
Arrivò che era quasi mezzogiorno, quando le mamme erano già cotte ed appassite.
Ma è il fratello del fornaio, quello piccolo e brutto, disse la Diana, che sperava in meglio.
Smorto e magrolino, già in costume, con vestiti, calze e scarpe sotto il braccio, l’uomo appariva un po’ provato. Volle sdraiarsi all’ombra.
Che caldo, continuava a dire, ma voi non vi svestite?
La Iris e la Rosa cambiavano discorso, chiedevano notizie del paese, raccontavano le loro passeggiate, allora lui faceva il grosso : li conosceva tutti i mari, quello di Cervia, quello di Bellaria, quello di Riccione, persino quello di Cattolica, che la piccola già vedeva con le suore schierate sulla spiaggia.
Il tempo non passava mai: c’era una gran voglia di schizzare in acqua ma come si faceva con l’ospite noioso che parlava parlava e ancora non aveva compiuto la missione.
Finalmente si conversò di tuffi.
Chi mai poteva sospettare di trovarsi di fronte ad un campione? Il meglio certo lo dava con le grandi altezze, in avanti, all’indietro ed anche rovesciato. Peccato non ci fosse un trampolino. E la Iris, perfida, pronta a dire che c’è chi si tuffa anche da riva …
Ma certo, disse l’improvvido, basta una bella, energica rincorsa.
Si pizzicò quelle gambette corte, le mise in tensione in un baleno, come i pettirossi sgranchiscono le zampe. Gonfiò il petto e corse con sincronica fermezza, mangiandosi il mare con gli occhi, il cuore oltre gli ostacoli.
Per questo non vide il bel castello, con le guglie di sabbia arabescata che le bambine avevano innalzato.
Si sentì un tonfo con un rimbombo sordo: ora Giovanni era un cristo morto caduto dalla croce, le braccia spalancate inutilmente, quasi a benedire il bagnasciuga.
Lo aiutarono ad alzarsi e con mani gentili  gli tolsero le alghe dalla faccia, le conchiglie piccole piccole stampate sopra il mento, la sabbia bagnata entrata dentro il naso.
Ma l’orgoglio no, quello non si poteva riparare: ormai era una vescica sgonfia, trafitta da un ago arroventato.
La corriera aspettava, lì vicino.

Viserbeide 4, ma-la notte, ma-la notte

14 giovedì Ago 2014

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

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Che la notte fosse compromessa si respirava nell’agitazione.
Arrivava il nervoso nelle gambe, un nervoso fatto a serpentina, che avviticchiava le lenzuola, insieme a briciole di sabbia, pizzicotti e risatine. Allora bisognava provare i materassi, con qualche salto, con qualche capriola. Meglio ancora, si poteva tentare una candela, con le gambe per aria e i gomiti a fare cavalletto. Gli occhi fissi, comunque, alla finestra, che brillava tutt’intera col suo cielo: quasi si sperava in un’altra visita importuna, in un altro pipistrello vagabondo. Così bello urlare di paura, con l’emozione che diventa voce…

Le grandi spensero persino l’abat-jour, eppure il sonno andava a spasso per la stanza: non si acchiappava più, c’era solo da fingere la quiete.
Rassegnata al silenzio, la piccola pensava Al buio le lenzuola son più bianche, come con la biacca delle scarpe. Allora dovrebbero essere più fresche. E intanto cercava un orlo senza caldo per succhiare, dopo averlo testato con le dita, quando un grido giunse improvviso dalla brandina della Diana.

Al buio quattro ombre apprensive circondarono il letto di dolore: Brucia da morire, piangeva la Diana, lucertola pentita, e tutte le toccarono la schiena. Sì, certo bruciava da morire e la si immaginava rosso pito, una schiena scottona che bisognava raffreddare.
La Rosa aveva vocazione e fu, subito, eletta infermiera, addetta a salvazione. C’era da trovare nei bagagli la crema prodigiosa, quella che la Dina aveva fatto preparare. Serviva per le ragadi da eterno allattamento, quindi, con logica stringente, perfetta come doposole.
Al buio, per evitare altri inconvenienti, la Rosa frugò e frugò e tornò vittoriosa con la scatoletta: una bella spalmata tutta larga, con convinta, sollecita energia. La stanza d’incanto si trasformò in pineta, col profumo di un balsamo che apriva bronchi e naso: note di menta, forse di eucalipto, e quell’odore che naviga gli armadi e diventa cristallo nei cassetti.
Il pianto della Diana ruppe l’idillio boschereccio.
Alla luce apparve la sua schiena: aveva un bel color cremisi, quello degli stendardi della giostra. Lucida e unta faceva un grande effetto.
La Rosa guardò bene l’unguento: vicks vaporub, quello per il raffreddore.
La notte passò fra impacchi e bisbigli, con qualche lacrima di sconsolazione. E soffiatine, a turno, per spegnere il calore.

Sedute sopra il davanzale, la schiena alla luna, ché quella non abbronza.

 

Viserbeide 3, la notte

04 lunedì Ago 2014

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

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Le bambine salirono su per la scaletta, fra passi di formica e saltelli di gallina, un po’ per gioco e un poco per paura, nascosta a conte e cantilene.
Le donne ancora giù, nella stanza di sotto, fra rumori di stoviglie e chiacchiere e pacchi da svolgere, in fretta.
La sera intanto si faceva spessa, come colata giù tutto d’un colpo.

La camera in alto aveva l’odore del bucato e della gomma calda, rimasta troppo sotto il sole, di sandali che sono stati in acqua e di costumi che non hanno perso il sale.

La finestra era aperta sui rami, che sapevano di resina e di salso.
Mute le cugine, affacciate a cercare il mare, così nero e lucido, là in fondo, e con la luna sciolta nell’acqua a tremolare, in righe appena mosse.
Non c’era bisogno di parlare.
Non c’era bisogno d’accendere la luce. Bastava l’abat-jour sommessa, che faceva rosa uno spicchio di parete.
Solo era bello respirare.

Ma guarda le onde che si mettono a volare, pensava quella piccolina, guardando nel giallo del lampione uno sciame di spruzzi volteggianti, pezzetti di mare alato, scuro e nervoso in aria. Forse le onde mi vengono a trovare, per fare gli schizzi anche di notte. Porteranno le conchiglie nere…

Il grido della Diana e dell’Ughetta fu un graffio di terrore.
Uno schizzo era entrato attraverso la finestra.
La bambina l’avrebbe toccato volentieri, per trovarlo fresco d’acqua e di luna, ma sentì un fruscio, un soffio molle e peloso sulla spalla destra, vicino vicino all’orecchio. Forse anche all’occhio, che per un attimo restò tutto velato.
Sgradevole come cogliere una prugna, metterla in bocca pensando chissà quanta dolcezza e poi sentirla brusca fino dentro gli occhi.

Vennero le donne con la scopa, per cacciare il pipistrello spaurito.

Viserbeide 2, l’approccio

01 venerdì Ago 2014

Posted by colfavoredellenebbie in Uncategorized

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La spiaggia promessa stava sotto un rettangolo di tela: una tenda che pareva una vela d’ombra, piantata in mezzo alla calura.
La Iris e la Rosa ne presero possesso: un colonizzare a suon di cartocci e asciugamani.

Si capirono subito gli stili di pensiero.
Le madri un po’ nervose, cartavetrate in vestaglina a fiori, facevano vedetta dallo sdraio.
La Diana era di lato, stesa a succhiarsi il sole, lucertola ragazza.
La cugina di mezzo teneva relazioni fra tettoie, cannicciati ed ombrelloni. Era curiosa di un mondo fuori dal paese: amava presentarsi, chieder nomi, notizie comparate e provenienza. Nessuno le sfuggiva, nemmeno sugli scogli.
La piccola restava accovacciata proprio in riva al mare: le gambe piegate a coltellino. Alla distanza di uno sguardo (girare la testa all’improvviso e vedere le grandi lì vicino, questo contava più di ogni cosa). Incerta se stare sulle sue o fare confidenza con l’acqua non azzurra, ma densa di sabbia di riporto.
Le piaceva, intanto, accogliere gli schizzi fino all’orlo del costume, l’onda intorno alle caviglie e sentire i granellini correr via con quel solletico ridente sotto il piede. Come profondare dentro a una carezza e chiudere gli occhi, per ascoltare meglio.
Vieni a fare un buco, bella, diceva la suazia, così dopo ci trovi l’acqua dentro.
Ma a cosa serviva cercarlo in fondo a un buco, il mare, se era tutto lì davanti: aperto, largo e sciolto come colore sfuso…
La bambina, piuttosto, aspettava che la schiuma le portasse una conchiglia, già pulita e forse trasparente, un’unghia di sirena, chiara chiara.
Questo era un bel gioco.

Si tornò che era quasi sera, con la sabbia a fare prurito fra le dita e le orecchie smerigliate dall’aria, dal sole e da quella voce nuova che sciacquetta sciacquetta e poi si rompe.
Le donne a fare presto i letti, col rumore secco di lenzuola spiegate a polsi fermi e l’odore di casa scoppiato all’improvviso, a dare un po’ di nostalgia.
Le bambine sotto la pergola, a pane e mortadella, perché il mare poteva cambiare anche la cena.
Il sonno intanto veniva su dai piedi, per le gambe che parevano legate, poi prendeva le spalle, come un gatto che fa pesante il collo
C’era così voglia della prima notte, lì…

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