C’è una poesia di Mario Luzi a cui torno quando il vivere, di cui si sa il trascorrere sospeso tra oscuro / e manifesto, fuori della letizia e del dolore, mostra qualche smagliatura in più, qualche anello che non tiene, per eccesso di mobilità e di inquietudine.
E’ una poesia che va d’accordo con quei giorni in cui c’è bisogno di dar ragione alle cose e agli eventi. Alle mancanze, soprattutto. Annunciate e incombenti.
Allora sento le parole di Luzi come l’invito alla calma costruzione di un giusto, dialogante rapporto con la vita, nel suo magma.
Nei versi che mi regalo c’è il disegno di un paesaggio interiore attraversato, sbattuto, scrollato dal tempo. Il tempo, col suo affanno, sa essere turbine e vertigine.
L’albero di dolore scuote i rami…
Si sollevano gli anni alle mie spalle
a sciami.
Sono parole marcate dall’obliquità del vento: appare così ‘singolare’ l’albero, così numericamente in difficoltà, da risultare unico attore nello scenario desolato di uno sciame di anni che volano via.
Eppure, nel momento stesso in cui l’individuo sembra ancorarsi ad un destino di solitudine, Luzi rovescia la prospettiva e rilegge il senso o la vocazione dell’esserci.
Vivere è un andare corale, collettivo: si va, si va con i propri vivi e con i propri morti, si va in in-fusione,
penetrando il mondo
opaco lungo vie chiare e cunicoli
fitti d’incontri effimeri e di perdite.
Si va ciascuno e tutti insieme, con un unico corpo che le morti non assottigliano: eterna compresenza, che esclude appelli e bilanci e fa continuare il viaggio.
Si va filando l’amore, fino ad illimpidirlo.
Il flusso della vita non è dunque vano, sembra dirci Luzi.
Certo, in chi vive di dubbi ed incertezze, spaventato in eguale misura dal sapere e dal non sapere, le domande non tacciono: l’uomo, albero di dolore, in quale senso scuoterà la sua inquietudine? Si voterà alla caduta, alla polvere, oppure guarderà all’alto, incrocerà un qualche fuoco, purificatore?
Non giungono risposte consolatrici.
Solo il dono di due preposizioni: con e tra.
Sono fili importanti su cui caricare o scaricare la propria presa di terra.
L’albero di dolore scuote i rami …
Si sollevano gli anni alle mie spalle
a sciami. Non fu vano, è questa l’opera
che si compie ciascuno e tutti insieme
i vivi i morti, penetrare il mondo
opaco lungo vie chiare e cunicoli
fitti d’incontri effimeri e di perdite
o d’amore in amore o in uno solo
dì padre in figlio fino a che sia limpido.
E detto questo posso incamminarmi
spedìto tra l’eterna compresenza
del tutto nella vita nella morte,
sparire nella polvere o nel fuoco
se il fuoco oltre la fiamma dura ancora.
(M. Luzi, Nell’imminenza dei quarant’anni, in Onore del vero)